La produzione di armi è strategica per le economie capitaliste? La Bussola europea e l'impresa di guerra
Nei due anni pandemici le sole attività industriali che non hanno conosciuto crisi sono state quelle legate al settore militare.
Magari la produzione sarà stata arrestata per qualche giorno, quando i contagi erano ai massimi livelli, ma il fatturato dei 100 principali gruppi industriali del settore militare ha chiuso il 2020 con una crescita pari all'1,3%.
Urge tuttavia ricordare, a scanso di interpretazioni errate, che il numero dei dipendenti del complesso industriale italiano non è cresciuto nel suo complesso e il carattere strategico di questo ramo industriale verrebbe anche smentito da altri numeri, ad esempio analizzando le esportazioni e l'apporto sul Pil nazionale. Nel 2018 l'industria della difesa produceva un giro di affari inferiore allo 0,7% del Pil nazionale, pensiamo che il solo turismo supera il 6%. Sempre stando ai dati si scopre che il 10% dei fondi alla ricerca e allo sviluppo è destinato al settore militare.
Fatto sta che la tecnologia militare diventa, e il caso Israeliano è eloquente, fondamentale se funge da traino per quella civile, se processi di innovazione tecnologica diventano brevetti impiegabili nelle industrie non solo militari. Ma l'enfasi con la quale si promuove produzione ed export di armi, almeno nel caso italiano, risulta ingiustificata se consideriamo il numero degli occupati, le esportazioni e l'apporto al Pil nazionale.
Resta innegabile che siano le guerre a incentivare la produzione di armi e l'avvento distruttivo di nuova tecnologia, ergo la guerra in Ucraina diventa il banco di prova per testare nuove armi e incentivarne la produzione utilizzando le notizie di cronaca con abilità per favorire continue forniture (è il caso degli scudi antimissili e dei droni armati alcuni dei quali prodotti anche dall'Italia)
Altro aspetto dirimente è l'incentivo alla produzione di armi, armamenti e di sistemi d'arma e la presunta necessità dei paesi di dotarsi di nuovi sistemi di sicurezza utilizzandoli magari per il pattugliamento dei mari.
La realtà racconta di uno stretto legame tra industria di armi e Ministero della difesa, tra imprese e politica, con contributi diretti e indiretti alle attività delle imprese.
L'influenza di alcune grandi aziende sulle scelte dei Governi è evidente come noto il passaggio da incarichi politici a ruoli dirigenziali nelle stesse (o viceversa). Stesso discorso potremmo sviluppare attorno al ruolo delle potenti lobby di armi la cui influenza è risaputa.
Altrettanto rilevante è il processo riorganizzativo delle imprese militari, soprattutto quelle pubbliche, tra acquisizioni, fusioni, alleanze strategiche con imprese di altri paesi (joint venture e partecipazioni a progetti europei) per produrre sistemi militari e armamenti guadagnando spazi di mercato. E in questo caso il sostegno dei Governi all'export militare è stato determinante....
L'industria bellica italiana non è costituita solo da grandi imprese ma anche da piccole aziende impegnate nella realizzazione di parte dei sistemi, una rete assai ramificata (e non mancano casi di passaggi dal civile al militare) e presente soprattutto in alcune Regioni.
Uno dei principali obiettivi comunitari era legato alla necessità di sviluppare un consorzio unico dei produttori di armi nella Ue al fine di competere con altri produttori.
Tensioni e divisioni non mancano basti ricordare che non è stato possibile coinvolgere tutti i paesi europei nella costruzione di un unico caccia da guerra, quasi il 90% della spesa militare Ue è rivolta a programmi nazionali quando invece la scommessa della Bussola europea è quella di costruire una unica cabina di regia e progetti di ampio respiro oltre a un esercito comunitario. La cooperazione tra industrie produttrici diventa dirimente per le sorti della Ue, da qui la necessità di incrementare la spesa militare, come richiesto dalla Nato, ma allo stesso tempo ragionare in termini di industria europea e non più in chiave nazionale.
La guerra in Ucraina ha accelerato la integrazione tra industrie di armi europee nella prospettiva di costruire una grande industria della difesa centralizzando a Bruxelles alcune scelte dirimenti. Da qui il finanziamento di un progetto ad hoc, nella tarda primavera 2022, destinato a sostenere star up innovative e le imprese di armi tecnologicamente innovative per finanziare progetti di ricerca da mettere a disposizione comunitaria.
Detto in altri termini la Ue finanzierà in misura crescente le imprese militari ma in un'ottica comunitaria imperialista e non solo a sostegno di produttori nazionali, la idea del nuovo esercito europeo cela un disegno strategico di ampio respiro ad esempio la crescita della produzione continentale, processi di fusioni e joint venture tra aziende, una produzione legata a prodotti tecnologicamente avanzati che poi si tradurranno in armi di ultima generazione. E il ruolo della Guerra in Ucraina, per quanto nefasto per l'economia europea, fa da traino a processi riorganizzativi e decisionali rilevanti che incentiveranno la produzione di armi e gli investimenti tecnologici in questo settore che a prescindere dai dati diventerà sempre più rilevante.
La bussola strategica dell’Unione europea è un piano strategico volto alla realizzazione di un progetto di difesa del territorio Ue, ma non solo. Oltre a questo scopo infatti ve ne sono altri, come quello relativo alla gestione della crisi, per esempio. Il piano in questione però si compone anche di altri elementi importanti e il fine principale è quello di rendere l’Ue autonoma nel campo della difesa.
Bussola strategica dell’Ue: che cos’è - Unione Europea
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