Industria 4.0:una lettura di classe

Il termine Industria 4.0 nasce in Germania nel 2011 e sta ad indicare la quarta rivoluzione industriale. La storia dello sviluppo tecnologico nel ciclo produttivo è stato sempre caratterizzato da paradigmi tecnologici che hanno condizionato sia le strutture profonde economiche del capitalismo (i modi e i cicli di produzione, la distribuzione delle merci e l’utilizzo della forza lavoro) sia le sovrastrutture statali. E’ impossibile pensare al processo di unificazione degli stati nazionali, quali la Germania, l’Italia, la Polonia, ecc., senza pensare al ruolo decisivo dell’invenzione del treno che permetteva trasporto di persone e merci in tempi inimagginabili prima. Permettendo così di relalizzare le economia di scala e mercati sempre più vasti, condizioni necessarie per il modo di produzione capitalistico.

Dopo la prima rivoluzione industriale a fine ‘700 segnata dalla centralità della macchina a vapore nei processi produttivi, la seconda rivoluzione industriale di inizio ‘900 vedeva la centralità della catena di montaggio e la produzione di massa. Doppo la terza rivoluzione industriale iniziata nel 1960 con l’introduzione dei primi computer nel processo produttivo, la quarta rivoluzione industriale, Industria 4.0, si pone l’obiettivo dello Smart Manufacturing in cui il ruolo dei computer del cosiddetto Internet of things avrà un ruolo preminente nella produzione.

Quali sono gli obiettivi di Industria 4.0 e cosa comporterà in pratica? Gli obiettivi sono quelli di ottimizzare tutti i processi produttivi e soprattutto distributivi attraverso un uso massimo della digitalizzazione, della rete internet e del lavoro fatto dalle macchine (robot), in cui il concetto di macchina è molto più esteso che nel passato: in Industria 4.0 le macchine hanno una loro intelligenza e possono imparare durante il processo di impiego. Questo il significato di Fabbrica Intelligente (smart manifacturing). I vantaggi per alcuni settori, come la logistica sarebbero notevoli, abbattimento dei magazzini e dei tempi di stoccaggio della merce, per esempio.

L’utilizzo in economia dei computer e della rete non è affatto una novità, oggi la vita produttiva e soprattutto quella del capitale fittizio (impropriamente chiamata finanza) sono fortmente condizionate dall’esistenza di notevoli capacità di calcolo da parte dei computer e della rete Internet. Per avere una idea oggi del ruolo dell’informatica basti pensare a due casi: la distruzione di una centrale nucleare in Iran tramite un virus informatico (stuxnet), e le transizioni finanziarie ad alta velocità (ogni transazione avviene in frazioni di millisecondo).

In dettaglio, la possibilità di avere varie componenti del processo connesse in rete tra di loro avranno notevoli ripercussioni in vari ambiti della produzione manifatturiera legati alla innovazione di processo che avrà effetti anche nell’innovazione di prodotto. Tra i principali possiamo annoverare:
1) Sistemi produzione interconnessi e modulari che permettono flessibilità e performance. In queste tecnologie rientrano l’uso massiccio dell’automazione e della robotica avanzata.
2) Sistemi di visione con realtà aumentata per giudicare meglio gli operatori nello svolgimento delle attività quotidiane, un esempio i Google Glass.
3) Simulazione dei processi a priori tra macchine interconnesse per ottimizzarne i processi una volta in funzione. Si simula il processo prima per vedere i limiti e migliorare il processo da sviluppare su scala industriale.
4) Comunicazione tra tutti elementi della produzione, non solo all’interno dell'azienda, ma anche all’esterno grazie all'utilizzo di internet. Gestione di grandi quantità di dati.



I pericoli per la classe lavoratrice e la Composizione organica del capitale
Per capire gli effetti di Industria 4.0, come del resto ogni salto innovativo nel campo della produzione, occorre richiamare il concetto di composizione organica del capitale, concetto che Marx ha espresso in modo esemplare nel libro terzo de Il Capitale.

Il modo di produzione capitalistico è caratterizzato da una spinta continua all’aumento della produttività. Come abbiamo visto, questa spinta si evidenzia nel rivoluzionamento incessante delle condizioni di lavoro, attraverso la continua innovazione di metodi e tecniche di produzione. In pratica, la caratteristica principale del modo di produzione capitalistico è la tendenza all’aumento della forza produttiva del lavoro salariato. Questo aumento della forza produttiva del lavoro salariato, che ha come scopo quello di realizzare il massimo profitto, entra in contraddizione molto presto e genera le crisi economiche che conosciamo.

Infatti, il capitale è denaro che viene investito allo scopo di realizzare un profitto. L’investimento si realizza tramite l’acquisto di forza-lavoro, e quindi di salario, che costituisce la componente di capitale, nota come capitale variabile, che crea il plusvalore (Marx chiama questo capitale vivo) e si realizza anche tramite l’acquisto di mezzi di produzione, vale a dire macchine e strumenti di lavoro, edifici e magazzini, materie prime, energia. Questo ultimo capitale è detto è detto da Marx capitale costante perchè non produce plusvalore, ma si limita a incorporare il suo valore nel valore della merce. Il punto chiave è che il capitale tende ad aumentare il saggio di plusvalore in parallelo alla produttività della forza-lavoro. In questo modo ogni lavoratore è messo nella condizione di produrre una unità di prodotto in tempo inferiore. Questo meccanismo di aumento del saggio di plusvalore sta alla base di tutte le rivoluzioni industriali di cui si è accennato prima. Il miglioramento della macchina, e delle tecnologie ad essa legate, nel ciclo produttivo sono il mezzo più potente per aumentare la produttività. Da qui nasce anche la contraddizione che stanno alla base delle crisi economiche. Vediamo perchè.

Il fatto che ad ogni ciclo di accumulazione ci sia sempre un continuo innovare le macchine e le tecnologie implica che ad ogni ciclo, la parte del capitale costante sul capitale totale tende ad aumentare, mentre la parte del capitale variabile tende ad aumentare. La proprozione in cui si trovano capitale costanete e capitale variabile è stata identificat da Marx ed è nota come composizione organioca del capitale, si tratta di una frazione ( del tipo a/b) in cui al numeratore (a) si trova il capitale costante, chiamiamolo C, e al denominatore si trova il capitale variabile, chiamiamolo V, quindi C/V. Quindi l’innovazione tecnologica in termini di macchine e di organizzazione del lavoro ha come obiettivo l’aumento della composizione organica del capitale, C/V, ma tale aumento si realizza sempre con l’introduzione di macchine, che nell’aumentare la produttività, tendono a sostituire la forza lavoro, portando all’espulsione di lavoratori, capitale variabile, dal ciclo produttivo.

Questo perchè nella composizione organica del capitale, se diminusico la V che è il denominatore, aumenta il valore totale di C/V a parità di C, analogamente posso aumentare la composizione organica del capitale anche aumentando C a parità di V. Una conseguenza importantissima della tendenza all’aumento della composizione organica del capitale è la caduta tendenziale del saggio di profitto. Tutti i sistemi di governo, dalla nascita del capitalismo come sistema i produzione centrale nella società umana, hanno messo in atto i meccanismi di contrasto di questa legge fondamentale della caduta tendenziale del saggio di profitto. I meccanismi individuati da Marx sono 6 (vedi Il Capitale, libro terzo), oggi, alla luce delle politiche colonialiste e imperialiste ancora poco sviluppate ai tempi di Marx, se ne individuano circa 10.

Questi sono: (i) Aumento del grado di sfruttamento del lavoro; (ii) Riduzione del salario al di sotto del suo valore; (iii) Diminuzione di prezzo degli elementi del capitale costante; (iv) la sovrappopolazione relativa; (v) Il commercio estero; (vi) L’aumento del capitale azionario. A questi vanno aggiunti altri meccanismi comunque legati ai primi sei e tipiche di politiche imperialiste: creazione di monopoli; distruzione del capitale tramite conflitti bellici su scala sempre maggiore. Senza entrare nel merito di questi meccanismi, quello che ci interessa qui è vedere come l’aumento della composizione organica del capitale nell’ottica di Insutria 4.0 porta a una serie di consequenze negative per la classe lavoratrice. I pericoli sono soprattutto legati alla ridefinizione del concetto di lavoro e alla perdita netta di posti di lavoro sotituiti dalle macchine. Va anche segnalato che l’utilizzo di macchine a intelligenza artificiale hano ormai da tempo un ruolo centrale nella produzione bellica, e sono ampiamente utilizzate negli scenari di guerra. Vediamo meglio in dettaglio questi pericoli per la classe lavoratrice.
Nella ridefinizione del concetto di lavoro, Indutria 4.0 avrà effetti notevoli perchè si tratteranno di produzioni in cui la macchina, da strumento a disposizione del lavoratore, ne diventerà un sostituto, anzi, la forza-lavoro umana (per distinguerla dal robot) – il cui operato è facilmente controllabile – perde sempre più la propria autonomia organizzativa.


I posti di lavoro persi supererano di gran lunga quelli creati – negli Usa si stima che, ad oggi, il 47% dei posti di lavoro siano minacciati dalle nuove tecnologie, in Europa tra il 40% e il 60% – soprattutto nei settori manifatturiero, contabilità, traduzioni, vendite, ecc., dove la manualità viene sostituita da macchine intelligenti e serivi che utilizzano internet.

Un altro rischio deriva da un nuovo processo di delocalizzazione dei servizi, vale a dire dal delegare mansioni e compiti a lavoratori ben istruiti che vivono in paesi dove il costo del lavoro e le tutele sono nulli (è il caso, ad esempio, degli informatici indiani o filippini, che fanno concorrenza ai colleghi europei e statunitensi), compiti svolti a distanza che vengono spesso pagati a cottimo, anche a meno di tre dollari l’ora.
Infine, una nuova forma di polarizzazione sociale in classi con la scomparsa del ceto medio. Saranno infatti proprio coloro che hanno un’istruzione di livello medio, medie competenze e salari medi ad essere maggiormente tagliati fuori dal mondo del lavoro, schiacciati tra un’élite altamente qualificata e una massa di lavoratori a bassa professionalità. Una polarizzazione che potrebbe trascinare verso il basso la sicurezza sociale e erodere la base fiscale imponibile.

I paradigmi di Industria 4.0, l’uso massiccio di macchine intelligenti interconnesse tra di loro e capaci di prendere decisioni autonomamente è già prassi comune nei teatri di guerra. La produzione bellica, e soprattutto gli scenari di guerra sono stati un enorme stimolo per dare alle macchine compiti sempre più impegnativi, limitando il ruolo umano a una supervisione remota e, quindi, limtando i relativi rischi. Il Future Life Insitute del Massachusetts ha dimostrato la possibilità di una guerra mondiale scatenata e gestita in modo autonomo da sistemi di mcchine ad intelligenza artificiale, e non in un futuro prossimo, ma già oggi.

Alcune considerazioni sulla situazione produttiva italiana
Il panorama manifatturiero italiano è stato caratterizzato negli ultimi 25 anni (post ’89, per intenderci) dalla scomparsa della grande industria, che era gestita da fondi pubblici, e dalla presenza di piccole e medie aziende (PMI) che per dimensioni e natura produttiva hanno risentito fortemente dall’entrata nell’area dell’euro, una moneta forte tipica di economie votate all’esportazione di prodotti ad alta tecnologia e basso mercato interno, in pratica l’economia tedesca. La lira e l’autonomia monetaria hanno fatto in modo che l’Italia pre-89 privilegiasse produzioni a basso valore aggiunto in termini di tecnologia e innovazione e basso costo del lavoro, e favorita dalle continue svalutazioni della lira. Di fatto, nel processo di globalizzazione avviato a partire dai primi anni ’90, la fetta di mercato accessibile a livello internazionale alle aziende italiane nella mondo è stato polverizzato dalle produzioni asiatiche.

Oltre al passaggio da una moneta debole (lira) a una forte (l’euro), i processi di privatizzazione delle grandi industrie, l’impossibilità di svalutazioni strategiche, la forte dipendenza da idrocarburi hanno modificato il panorama produttivo italiano, che rimane comunque il secondo a livello europeo dopo la Germania per addetti nel settore manifatturiero. La crisi sviluppatasi nel 2008 e ancora in corso ha portato i quasi 3 milioni di lavoratori impegnati nel manifatturiero agli attuali 2.400.000, con una perdita di oltre 500 mila posti di lavoro. Di fatto l’attuale crisi e le politiche di austerità adottate in Europa hanno visto scomparire il mercato interno che sosteneva le aziende con produzioni con scarsissimo valore aggiunto. La fotografia dell’attuale sistema produttivo italiano vede la concentrazione delle aziende praticamente nel Nord Italia. Qualcuno ha fatto notare che si è ricreata una sorta di Linea Gotica (vedi il numero di Limes Usa-Germania duello per l’Europa, Giugno 2017). Il paragone non è poi così campato in aria. Le aziende del Nord Italia producono principalmente come indotto per le grandi aziende tedesche. La Toscana segna proprio l’immaginaria linea di demarcazione.

Cosa c’entra l’Industria 4.0 in tutto questo?. Una della caratteristiche di Industria 4.0 è quella di avere una produzione di massa personalizzata. Sembra un ossimoro, ma non lo è. L’utilizzo massiccio di internet cambia il modo con cui il cliente si rapporta con il prodotto finale, in pratica ogni cliente può personalizzare i prodotti che intende acquistare e ordinarli online. La produzione quindi può personalizzare in tempo reale le richieste individuali di ogni cliente e poi recapitare a casa del cliente stesso il prodotto finale.

Questa tipicità produttiva richede che l’azienda madre e quelle dell’indotto siano fisicamente vicine, ed è denotata dal termine produzione di prossimità. La produzione di prossimità sta alla base dei recenti processi di reshoring, cioè, dopo il processo di delocalizzazione, si riporta la produzione manifatturiera nei paesi di origine delle multinazionali.

I processi di delocalizzazione saranno comuqnue sempre molto attivi nell’ambito dei servizi. Nell’ottica della produzione di prossimità e del reshoring, la Germania ha quindi creato il proprio bacino produttivo inglobando aree produttive in Polonia, Repubblica Ceca, Austria e Nord Italia. Non sono estranee a questa politica di localizzazione dettata dalla produzione di prossimità le politiche della Lega volte a portare nel nord Italia produzioni localizzate al Centro o Sud Italia, un esempio su tutti quello dell’Alenia (http://napoli.repubblica.it/cronaca/2011/09/23/news/alenia_corteo_a_pomigliano_contro_lo_scippo_della_lega-22093037/ ). In molte delle crisi aziendali di aziende del nostro territorio c’è la non dichiara volontà, ma esplicita a osservatori che conoscono le esigenze produttive delle multinazionali tedesche, di portare la produzione al di là della immaginaria Linea Gotica nel bacino produttivo logisticamente prossimo a quello richesto dalle aziene tedesche. All’interno di questa logica ci sono i numerosi casi di delocalizazioni di produzioni dall’Italia alla Polonia, dove non solo il costo del denaro è minore, ma la produzione può essere logistacamente più favorevole alle aziende tedesche. E’ secondo voi una casualità che nell’attentato di Berlino del dicembre 2016, sia stato utilizzato un TIR polacco con autista polacco partito da un’azienda della Brianza? E che poi l’autore dell’attentatore sia tornato nel punto di partenza?

Recentemente anche l’Italia ha presentato un proprio piano d’azione sul tema con alcuni primi provvedimenti operativi che sono contenuti nella Legge di Bilancio per il 2017. Per quanto riguarda la Toscana, che ha nel proprio territorio la linea di demarcazione dell’area produttiva italiana per conto delle grandi aziende tedesche, linea che ingloba le aree produttive di Firenze, Prato, Pisa, Livorno, ha ovviamente sposato la logica di Industria 4.0, in quanto le direttivee europee essenzialemente dettate dalle linee guida delle multinazionali tedesche prevedono finanziamenti nell’ambito del paradigma Industria 4.0. Nel sistema produttivo toscano significa indirizzare i finanziamente verso l’innovazione di processo, mentre sarebbe necessario alle aziende toscane l’innovazione di prodotto.

Quale è la differenza allo stato attuale nel panorama produttivo toscano tra innovazione di processo e/o di prodotto? Con l’innovazione di processo le aziende si preparano ad entrare nell’orbita eventuale di produzione di prossimità per le multinazionali tedesche, con l’innovazione di prodotto invece avrebbero autonia sui mercati potendo presentare prodotti innovativi. Purtroppo l’innovazione di prodotto non si improvvisa, oltre a richiedere un forte lavoro di innovazione da sviluppare con università ed enti di ricerca, richiede anche politiche adeguate, sia a livello nazionale che comunitario. Di fatto si delega al sistema produttivo tedesco la capacità di fare innovazione di prodotto.

Considerazioni finali e inattuali
Come abbiamo visto, le dinamiche del modo di produzione del capitale sono quelle di massimizzare la composizione organica del capitale. Come ha capito per primo Marx, la composizione organica del capitale è contraddistina da un rapporto, una frazione in cui al numeratore c’è il capitale costante e al denominatore il capitale variabile, i lavoratori. Aumentare questo rapporto significa inevitabilemente portare nel ciclo produttivo macchine rese sempre più efficiente e sofisticate dalla tecnologia e ridurre il numero di addetti.

In questo modo ogni singolo lavoratore produce sempre più plusvalore. A partire dagli anni ’60 le prime introduzioni della automizzazione in fabbrica controllata dai computer ha di fatto reso impossibile la piena occupazione, del resto il sistema produttivo capitalista ha bisogno di una certa quantità di disoccupazione per contrastare la tendenziale caduta del saggio di profitto. Oggi, con Industria 4.0, le macchine a intelligenza artificiale e la rete di internet insieme, la sostutuzione del lavoratore può essere totale. Le macchine hanno una loro capacità di capire e decidere autonomamente nel processo produttivo, fabbriche senza essere umani presenti, ma collegati a distanza, sono già una realtà. Negli scenari di guerra, dove si mette in pratica il punto più alto della innovazione tecnologica, ormai è prassi consolidata lasciare alle macchine tante operazioni in modo da infliggere perdite al nemico, ma non averne nel proprio esercito.

Che fare? E’ urgente oggi più che mai portare all’ordine del giorno la necessità di una transizione al Socialismo. Qui ci sarebbero da fare tante considerazioni, ma esulano dall’obiettivo di questo documento.


Bibliografia
Un pò di blibliografia per una lettura di classe ad opera di Tiraboschi e Seghezzi dell’Università di bologna può essere trovata qui
https://labourlaw.unibo.it/article/view/6493

Una ottima puntata di Presa Diretta sulel fabbriche sempre più robotizzate le conseguenze
http://www.presadiretta.rai.it/dl/portali/site/puntata/ContentItem-22f0909b-7c15-4af6-bae3-05f337c6c0e7.html

Si consiglia anche la lettura della vicenda Stuxnet
https://it.wikipedia.org/wiki/Stuxnet
da notare che le centrifuche per l’arricchimento dell’uranio nella centrale iraniana erano della Siemens

e delle transizioni ad alta frequenza in ambito finanziario
https://it.wikipedia.org/wiki/High-frequency_trading
e il capitolo del libro Capre a Calcoli di Leporini e Marvaldi.

Naturalmente occore avere sempre presente il Capitale, soprattutto, il Libro Terzo.

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