Il Governo della precarietà
Il Governo della precarietà
Il decreto Dignità ha forse rappresentato uno dei pochi tentativi di limitare il ricorso strutturale al tempo determinato divenuto nel tempo la tipologia contrattuale di riferimento in molti settori e ambiti lavorativi.
Ma contro quel decreto, fin dalla approvazione, ad onor del vero, non si mossero solo le associazioni datoriali ma anche i sindacati, perfino alcune sigle oggi assai critiche con l'operato dell'attuale Governo o in consulenti del lavoro il cui ruolo nel corso del tempo è stato decisamente rafforzato.
Stando ai dati ufficiali a inizio 2023 gli occupati erano gli stessi del 2019
Ma se prendiamo i dati Istat, ripresi e magnificati pro domo sua dal Governo Meloni, il numero degli occupati a metà 2024 era superiore di migliaia di unità a quello di un anno prima con la ripresa delle partite iva (crollate in tempo di covid e incentivate dalla Flat tax) e una piccola riduzione del tempo determinato.
Se poi analizziamo l'occupazione nel dettaglio, il Meridione continua ad essere in crisi, i giovani stentano a trovare un impiego che resta ad appannaggio di una fascia di età avanzata, forza lavoro già formata e impiegabile da subito sul mercato del lavoro.
Al contempo si vanno rafforzando le sperequazioni salariali e contrattuali, i rinnovi avvengono con aumenti pari a un terzo della inflazione con secca perdita del potere di acquisto.
E arriviamo all'anno 2024, al decreto Milleproroghe e agli ultimi provvedimenti Governativi in materia di lavoro, si estende fino al 31 dicembre 2025 la possibilità, da parte aziendale, la possibilità di stipulare contratti a termine più lunghi di 12 mesi con il ricorso a causali “morbide” già previste dal decreto lavoro approvato nel 2023.
Nei fatti hanno disinnescato il decreto dignità prevedendo che le parti, azienda e sindacato rappresentativo, possano prevedere contratti a tempo determinato con una motivazione onnicomprensiva e assai astratta come esigenze di natura tecnica, produttiva e organizzativa che demanda alla parte padronale ogni decisione.
Vince chi ha potere negoziale e di conseguenza il tempo determinato viene liberato da molti lacci e lacciuoli pensati per incentivare non il precariato ma una occupazione stabile
Sempre il decreto Lavoro 2023 aveva permesso di superare, per i tempi determinati, il termine dei 12 mesi, fino a un massimo di 24 mesi, proprio con le causali sopra riportate rinviando ai soliti contratti di categoria nei quali i diritti sono ridotti al lumicino e attraverso accordi aziendali sottoscritti anche da organizzazioni sindacali "di comodo"
Quando invece si tratta di sottoscrivere intese aziendali o di settore migliorative rispetto al CCNL applicato il Governo mostra ben altra liberalità facendo riferimento solo a intese con sindacati rappresentativi come nel caso della estensione della durata dei tempi determinati di cui abbiamo parlato sopra.
Come si evince da questi pochi fatti, siamo davanti a un Governo sensibile alle ragioni delle imprese ma assai chiuso rispetto alle istanze dei lavoratori e delle lavoratrici.
E prova ne sia non solo il Milleproroghe da poco legge con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale ma anche la Legge di Bilancio varata dal Senato sul finir dell'anno 2024 con tante promesse elettorali rimangiate in corso d'opera, dalla riduzione delle tasse per i ceti medi all'aumento delle pensioni medio basse fino all'impegno della Lega di estendere la flat tax alle partite iva per ricavi superiori agli 86 mila euro. Il Governo non solo destina risorse irrisorie a scuola sanità e welfare, rinnoverà i contratti con il recupero di un terzo della inflazione reale ma persevera nella politica dei bonus, taglia il cuneo fiscale anche alle imprese che non investono in occupazione e processi tecnologici innovativi.
La necessità di accontentare Bruxelles con una manovra di Bilancio ben diversa da quella annunciata è la classica dimostrazione che dopo mesi di annunci il Governo si muove nell'alveo delle compatibilità Ue proprio come gli Esecutivi precedenti. E al contempo non è capace di imporre delle tasse progressive in base al reddito percepito con 3 miseri scaglioni.
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