100 ANNI DALLA MORTE DI GIACOMO MATTEOTTI. ALCUNE RIFLESSIONI.
100 ANNI DALLA MORTE DI GIACOMO MATTEOTTI. ALCUNE RIFLESSIONI.
di Tiziano Tussi
Cento anni trascorsi sono un ricordo importante. Anche se Matteotti è stato ucciso in giugno ed il suo corpo ritrovato in agosto del 1924 facciamo ancora in tempo per rimanere nell’anno del ricordo del suo assassinio, un secolo fa. Uccisione roboante e strafottente. Mussolini la rivendicherà, qualche mese dopo, all’inizio del 1925, chiudendo, senza scossoni significativi, un episodio truce del suo regime, uno dei primi e più eclatante.
Il regime fascista, da poco ben saldo in sella al potere mette fuori gioco un oppositore tenace. A Varese da poco si è concluso un convegno sulla sua figura organizzato dal Professore Fabio Minazzi che ogni anno, circa di questi tempi, mette assieme convegni di rilievo. Quest’anno Matteotti. Lo presenta nella presentazione-catalogo dell’incontro. Da lì partiamo per una panoramica su Matteotti. La presentazione che richiamo mette l’accento su binomio diritti civili-rivoluzione. Matteotti dice di sé di essere un “riformista rivoluzionario”.
Questo binomio mette in campo diverse questioni cruciali, a sinistra, per quanto riguarda il comportamento politico da tenersi per un orizzonte di presa del potere in una società moderna. Certo l’approccio riformista in una situazione tragica come quella del primo ventennio del 1900 poteva essere un approccio dirompente.
Le masse dei lavoratori poco prese in considerazione, la povertà allargata, il divario economico tra le classi, una situazione di ravvicinato dopo guerra potevano disgregare la società dell’epoca. E pare anche quella dell’oggi, dove la situazione non è così diversa, salvo la questione del dopoguerra, ma troppi fronti di guerra internazionali sono attivi e ci interessano, ci comprendono, in qualche modo, in attesa di una non improbabile guerra totale. Anche ieri, come oggi, una posizione politica veramente riformista può essere considerata come una vera rivoluzione politica. Matteotti la impersonifica.
Del resto, fu l’unico deputato che ebbe il coraggio di criticare radicalmente il fascismo in Parlamento e la sua, diciamo così, vittoria alle elezioni del 1924. Alla fine del discorso disse, chiaramente:” e adesso preparate il mio funerale: “Terminato il discorso disse rivolgendosi a Giovanni Cosattini seduto accanto a lui, indirettamente ai suoi compagni di partito: «Io, il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me.» (Diverse fonti) Non faceva fatica ad essere profetico, ma non fu facile tenere un discorso di critica e di negazione della vittoria del listone fascista, che avvenne con pratiche di impedimento e di costrizione violenta verso gli elettori, costretti, in larga parte, a votare il listone fascista. La sua fu una posizione riformista, attenta ai valori civili, tra i quali il voto libero, e la difesa della libertà di espressione.
Certo un singolo che ha il coraggio di fare questo passo, non poteva, se non fosse stato lucido, non immaginarsi il destino che lui stesso si era creato. La fiducia nella difesa civile della pubblica opinione in una situazione così drammaticamente segnata da alcuni anni dalla volenza fascista, ora al potere, non poteva che essere la condanna a morte, in qualche modo. Si sarebbe certo sostanziata, così come avvenne.
Questo atteggiamento, quasi da martire, lascia al di fuori qualsiasi rapporto con la violenza che andrebbe in qualche modo contrastata efficacemente al suo livello. Sappiamo che con le parole ben poco si riesce a fare, se non ad indirizzare messaggi etici o morali al prossimo. Ma alla volenza si dovrebbe rispondere adeguatamente: la critica delle armi diventa l’arma della critica quando penetra tra le masse. Masse che avevano votato, volente o nolente, per il fascismo.
Quando la seconda condizione – penetra tra le masse - non è in atto, almeno non in termini significativi, il martirio di sé e quantomeno ovvio. Perciò la dichiarazione solitaria del perverso comportamento politico fascista non avrebbe sortito che conseguenze negative per chi la esprimeva ed ecco perciò la sua uccisione. Minazzi nella presentazione del convegno fa bene a sottolineare questa grande dirittura morale, ma andrebbe anche adeguatamente ricordate le condizioni sociali ed i limiti politici del comportamento disarmato di Matteotti allora in atto, allora ed ancora di più oggi.
Occorre dunque rinforzare il pensiero critico dandosi strutture che permangono, al passo con i nostri tempi. La lotta, per non essere inane, deve essere ben strutturata con armi critiche che possano veramente incidere sulla società. Non bastano certo i magnifici spiriti che non hanno davanti a loro possibilità di bucare la coltre, sempre più pesante del potente potere avverso.
Matteotti poteva ben saperlo, ed il suo coraggio gli fa veramente onore, ma in fondo è stata un coraggio disarmato e solo oggi, a cent’anni dalla sua uccisione, noi lo ricordiamo, ricordiamo quanto accadde, non nel convegno citato, ma in molte occasioni pubbliche, per lucidare una medaglia al valore civile, etico, e forse politico, che tanto bene fa alla nostra addormentata società odierna.
Certo ce lo ricordiamo e tanti studi lo ricordano, così come il convegno da cui siamo partiti. Ma quanto materialmente resterà di questi interventi e del suo ricordo? Desolatamente poco, così come accade di ogni anniversario di cui possiamo dire tutto il bene del mondo.■
Antonio Gramsci oggi
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