Riflessioni sulla scuola e il potenziamento
Riflessioni sulla scuola e il potenziamento
Per un'educazione trasformatrice
di LAURA TUSSI
Per formare le nuove generazioni alla cittadinanza
attiva e globale e planetaria è necessaria la formazione di educatori che siano
animati non da una cultura della trincea e dell’arroccamento, ma da una cultura
degli avamposti e dunque del rischio, del cambiamento e della trasformazione.
In questo articolo mi metterò a comunicare alcuni pensieri sulla
trasformazione, sul contesto mediatico, sul clima di paura e di insicurezza che
produce il fatalismo e il fanatismo che impediscono il cambiamento, sempre
nell’ambito del diritto costituzionale e internazionale.
Il concetto di trasformazione è l’intuizione più originale che è contenuta
nel curriculum Oxfam, poiché nel
rapporto all’UNESCO della commissione internazionale per l’educazione del XXI secolo, presieduta da
Jacques Delors, quel concetto non esisteva: si parlava di imparare a conoscere
e a far vivere, a fare, a essere, ma non si faceva riferimento alla necessità
di imparare a trasformare come pilastro fondamentale della nuova educazione.
Ora però diventa importante per l’educatore avere la consapevolezza che la
vera trasformazione inizia sempre da se stessi e che soltanto chi è già nel
nuovo nella sua mente sarà capace di innovare.
Quanti di noi per esempio sono già usciti dal Novecento e si impegnano ad
abitare nel XXI secolo con il proprio pensiero e con le idee? quanti cioè hanno
già compiuto questo trasloco culturale che somiglia tanto a una vera migrazione
cognitiva? e quanti invece sono ancora prigionieri delle vecchie e stantie
ideologie del passato (fascismo e nazismo) e delle falsità della
contemporaneità?
L’educatore crede in una trasformazione.
È colui che provvede a un aggiornamento continuo, dotandosi di anticorpi
cognitivi e che possiede forza e parole generatrici.
Ogni considerazione che possiamo ancora fare in merito alla necessità di
trasformare la realtà deve oggi tener conto del nuovo contesto mediatico.
Voglio dire che i media e i mainstream convenzionali non sono soltanto
mezzi di informazione che collegano il mondo con nuove forme di potere,
influenzando i cittadini che vivono nel contesto globale e planetario. Tanti
segnali ci portano a ritenere che nei nostri paesi si sta passando da una
democrazia rappresentativa a una democrazia ed opinione in cui nessuno
rappresenta più nessuno e si diffonde la crisi sia dei partiti politici e dei
sindacati, sia delle associazioni e dei movimenti. In questa situazione di
disgregazione sociale e di sfarinamento, i singoli individui sono in balia dei
media e del potere.
Per catturare il consenso dei cittadini, i politici si servono di sondaggi
d’opinione trasformando in questo modo la democrazia in mediocrazia. E questo
che si intende dire oggi quando si parla di populismo mediatico e di regime
mediocratico. Evidente che in tale contesto l’educazione diventa un’impresa
difficile, quasi impossibile. Ha ragione Postman quando osserva che la scuola
ha senso soltanto se riesce a svolgere un’azione di contropotere, decostruendo
e ricostruendo le idee, fornendo ai giovani la possibilità di scegliere tra un
pensiero allineato e conformista e un pensiero libero e divergente. Esempi di
divergenza sulla de-globalizzazione (Walden Bello) rispetto alla globalizzazione.
La decrescita (Serge Latouche) rispetto allo sviluppo. La cultura del dono (gruppo del Mauss) rispetto alla competitività del mercato. Non è
facile dunque dare concretezza all’obiettivo della trasformazione perché oltre
il condizionamento dei media vi è quello provocato dal clima di paura e di
insicurezza che danneggia e genera sfiducia nel cambiamento e ingenera spirito
di rassegnazione. Oggi gli educatori devono capire che la paura non è solo una
categoria psicologica, ma una vera categoria politica.
Questo significa che la scuola dovrebbe interessarsi di più del codice
delle emozioni e dell’educazione dei sentimenti perché come scrive il biologo cileno
Maturana ciò che spinge le donne e gli uomini a agire non è la ragione, ma le
emozioni. Non basta allora soltanto una mente razionale e cognitiva, ma occorre
fare ricorso alla molla sentimentale ed emotiva delle passioni.
Ecco perché diventa importante trasformare nei giovani la capacità di empowerment e di resilienza
rafforzando i nessi di immaginario della speranza, facendo conoscere esperienze
di protagonisti positivi e l’autosviluppo dei più poveri e delle donne.
Avviandomi a concludere, se vogliamo dare vita a un’educazione
trasformatrice dobbiamo innanzitutto partire da noi stessi e realizzare quella
riforma di pensiero che secondo Edgar Morin ci consente di entrare con la testa
nel XXI secolo, liberandoci dalle vetero - ideologie del '900 e avviando una
nuova ecologia della mente. Essere cittadini liberi e capaci di futuro nella
nostra società mediatizzata significa concepire la scuola e l’educazione come
luogo di contropotere e baluardo di libertà per riaccendere il motore del
cambiamento e aprire una nuova strategia di speranza che ci consente di uscire
dal tempo delle passioni tristi.
È importante dedicare più attenzione alla sfera delle emozioni, dei
sentimenti e delle relazioni. Gli educatori devono tornare ad essere dei
soggetti sociali e culturalmente eversivi perché l’educazione rafforza sempre
nei cittadini il senso della possibilità in contrasto con ogni determinismo. Un
educatore in quanto insegnante non può mai accettare di essere considerato un
impiegato o un funzionario. Per formare le nuove generazioni alla cittadinanza attiva e
globale e planetaria è necessaria la formazione di educatori che siano animati non da una
cultura della trincea e dell’arroccamento, ma da una cultura degli avamposti e
dunque del rischio, del cambiamento e della trasformazione, nella nostra
società complessa, sempre nell’ambito del diritto costituzionale e
internazionale.
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