“DUDAL JAM”, a Scuola di Pace

 

“DUDAL JAM”, a Scuola di Pace. Un’esperienza di dialogo cristiano-islamico, che vede la differenza come un diritto personale e comunitario 

di Laura Tussi



È stata una bella storia di dialogo, rispetto e speranza quella che ha preso vita quasi dieci anni fa, quando in un tempo segnato da tensioni e chiusure, il CEM-Mondialità ha scelto di scommettere sulla forza del confronto tra culture e religioni diverse. In quel periodo, si è riusciti a creare un contesto sociale fondato sul dialogo interculturale e interreligioso, un ideale di vita comunicativa e comunitaria che ha saputo aprirsi all’altro, mettendo in discussione identità, certezze, preconcetti. Le persone coinvolte si erano messe in gioco, riconoscendo nel confronto la possibilità di crescita personale e collettiva.

In quell’esperienza, la differenza non era percepita come un ostacolo, ma come un diritto: ogni persona – donna, uomo, bambino, anziano – aveva avuto la possibilità di esprimere pienamente la propria identità, trovando negli altri uno specchio di reciprocità e arricchimento.

Con questo spirito era nata *Dudal Jam*, la Scuola di Pace del Sahel. Promossa dal CEM Mondialità in Italia, aveva fatto conoscere la cultura del Burkina Faso, un piccolo paese dell’Africa Occidentale, attraverso un progetto straordinario che affondava le sue radici proprio nel dialogo tra cristiani, musulmani e custodi delle religioni tradizionali africane. Era stato un esempio prezioso di ciò che si poteva costruire quando si mettevano da parte le barriere, e si sceglieva di camminare insieme.

La campagna *Dudal Jam – Scuola di Pace* aveva tracciato un ponte simbolico e concreto tra Africa ed Europa. Era nata per favorire un autentico arricchimento reciproco, uno scambio profondo di valori, esperienze e ideali, permettendo a molti di conoscere da vicino il Sahel e il popolo burkinabè, superando ogni narrazione semplificata o distorta.

La Scuola di Pace aveva rappresentato anche l’occasione per mettere in discussione il modello di sviluppo occidentale, basato su consumismo e disuguaglianze. Al suo posto, aveva promosso un’altra visione: una cultura della conoscenza, del rispetto, della cooperazione tra comunità. Un’alternativa reale, vissuta giorno dopo giorno, per costruire la pace attraverso l’educazione, il dialogo e l’incontro.

Quell’esperienza aveva avuto anche un valore profondamente educativo: i giovani, africani ed europei, si erano confrontati sul campo, vivendo e testimoniando l’importanza della diversità, del pluralismo religioso, della libertà di culto e di pensiero. Insieme, avevano gettato le basi per una nuova idea di civiltà, fondata sulla nonviolenza, sulla giustizia, sull’uso equo delle risorse del pianeta.

Nel cuore del Sahel, “Dudal Jam” era diventata molto più di un progetto: è stata una testimonianza viva che un altro mondo era davvero possibile. Un mondo costruito non sul profitto, ma sulla solidarietà, sull’ecologia, sulla dignità di ogni persona. Un’esperienza che, anche a distanza di anni, continua a parlare con forza a chiunque creda che la pace non sia un’utopia, ma un cammino da percorrere, insieme.

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