Ma se si continuano a sottoscrivere contratti nazionali con paghe orarie da fame, chi potrà parlarci della inutilità di un salario Minimo

 

·       Estrapoliamo un passaggio dall'ultimo lavoro di Emiliano Gentili e Federico Giusti a conferma che la dinamica salariale al ribasso continua la sua folle marcia verso la dissoluzione del potere di acquisto. I due autori hanno preso in esame uno scritto  sulla contrattazione collettiva pubblicato dagli allievi di Marco Biagi


Il testo è il seguente:


 La contrattazione collettiva in Italia (2022), XI Rapporto ADAPT. Adapt University Press, 2023, p. XXIII.





Ormai è fin troppo facile parlare del ritorno alla regolare sottoscrizione (ossia nei tempi previsti) dei rinnovi contrattuali rispetto al decennio precedente, se la firma di tanti contratti conviene alla parte datoriale e avviene con il sostegno di un Governo che mira direttamente alla pacificazione dei luoghi di lavoro. Inoltre, ogni Ccnl rinvia alla contrattazione decentrata sia parti economiche piuttosto rilevanti che la definizione e l’applicazione di un vasto sistema di deroghe. In tutto ciò l’atteggiamento della Cgil non è limpido: da un lato va a sottoscrivere intese deprecabili che comportano erosione del potere di acquisto e della capacità di contrattazione, mentre gestisce previdenza e sanità integrative con la Cisl, ma dall’altro vorrebbe ergersi a sindacato diverso, conflittuale e dalla parte dei salariati;


·       in merito ai contenuti della Legge delega sulla contrattazione decentrata, registriamo una incredibile attinenza tra i temi trattati nei tavoli della contrattazione nazionale e i punti salienti della stessa legge… come se la contrattazione decentrata, anche per volere della Cgil, seguisse pedissequamente i dettami del Governo attraverso la mediazione delle associazioni datoriali.


Stando ad una ricerca Adapt, il lavoro a tempo determinato è stato trattato nel 35% degli accordi, facendo particolare attenzione alle causali (che giustificano l’utilizzo del contratto precario), che non a caso vorrebbero rimuovere; nel 20% dei rinnovi considerati si è parlato della retribuzione degli apprendisti e della loro formazione, tirando sempre in ballo gli Enti bilaterali; nel 36% degli accordi di rinnovo si è parlato di orari di lavoro all’insegna della flessibilità e degli interessi aziendali; in 8 casi su 10 esiste un Capitolo del Contratto appositamente dedicato a salute e sicurezza, anche se poi tutto si riduce a tutele individuali per gli ammalati a lungo termine o alla gentil concessione di uno smart che sovente è pure accompagnato da carichi di lavoro aggiuntivi; e, per chiudere, la formazione, che dovrebbe essere tra i capitoli più gettonati da imprese che lamentano di non trovare professionalità sul mercato… ebbene, solo nel 20% dei contratti il capitolo formativo ha trovato spazio; solo in pochi casi si è parlato di inquadramento e di professionalità, come se da questi elementi non dipendesse anche la corretta attribuzione di adeguati livelli in base alle prestazioni erogate e alle conoscenze acquisite. 


Ancora una volta è evidente quali siano gli interessi delle aziende: abbattere il costo del lavoro, ottenere aiuti fiscali generosi dallo Stato, accrescere la flessibilità e le deroghe, rinviare gran parte delle decisioni alla contrattazione di secondo livello, dove hanno maggiore forza;


·       è emblematica l’esclusione della disabilità da quasi tutti i nuovi contratti stipulati. Prima si diceva che una certa sinistra privilegiasse i diritti civili al posto di quelli sociali, ma oggi non tutela più nemmeno quelli;


·       il tema in assoluto più gettonato è il welfare aziendale. Questo conviene sia alle aziende che allo Stato, perché permette di ridurre il welfare universale, favorisce la privatizzazione con pacchetti di servizi offerti nelle strutture sanitarie private, agevola la contrattazione di secondo livello (che porta con sé tutte le agevolazioni fiscali possibili e deroghe peggiorative rispetto ai Ccnl);

·       in quasi la metà dei contratti nazionali siglati si parla di coinvolgimento dei lavoratori sui processi decisionali. Insomma, il modello Cisl – che è stato avallato, fino a questo punto, anche dalla Cgil – è già vigente; bisogna solo perfezionarlo e migliorarlo, cercando di pettinarlo al punto giusto per scongiurare sul nascere ogni elemento di conflittualità e di estenderlo – cosa ancor più difficile – dalle grandi alle piccole aziende, dove il padroncino non è avvezzo a discutere ma solo ad imporre le proprie decisioni. Parleremo in un altro articolo della Legge sulla partecipazione dei lavoratori (L. 76/2025), che sul tema introduce molte novità.

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