La trappola della previdenza integrativa

 


Il punto è il contributo che arriva in sé dal migliore trattamento fiscale. Per valutarlo correttamente, occorre riportarlo su base annua, cosa che l’industria del risparmio gestito evita di fare. Viene fuori infatti che con redditi medio-bassi la redditività di lungo periodo aumenta solo di uno 0,2-0,5% annuo. Quindi facilmente meno di commissioni, costi e spese.

Aderendo a un fondo pensione un lavoratore va incontro a costi pluriennali congiunti con l’irrevocabilità della scelta. Un trentenne che vi destina il proprio Tfr, non sfugge a oltre trentacinque anni di addebiti. E spesso bastano i soli costi espliciti per annientare il vantaggio fiscale e portare in negativo il saldo netto, pure a prescindere dai rischi di malversazioni e da tutti gli altri aspetti negativi. A scanso di contestazioni, si è lavorato sull’Ics (indicatore sintetico dei costi) medio per categorie, ufficialmente pubblicato dall’organo di vigilanza (Covip), benché sia una stima per difetto.

Viene fuori così che con stipendi medio-bassi appare svantaggioso aderire a un fondo chiuso prima dei 48 anni e a un fondo aperto prima dei 60. Quindi i giovani hanno un valido motivo per tenersi il Tfr. Gli sbandierati regali del fisco risultano quindi specchietti per le allodole di sindacati, padronato e risparmio gestito per mettere le mani sul Tfr dei lavoratori.

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Nei prossimi mesi o anni Sindacati, datori e Governo proveranno altre strade per convincere i lavoratori a investire nella previdenza integrativa, eppure per essere credibile e coerente il sindacato dovrebbe individuare altre soluzioni. E quali?

Un calcolo dei contributi più generoso per i futuri pensionati magari ripristinando il sistema retributivo prendendo la media dei 5 anni economicamente più vantaggiosi, una scelta invisa dal Governo eletto con la promessa di ridurre le tasse alle imprese.  In questi mesi si fa come chi invece di pulire nasconde la polvere sotto il tappeto, si rinviano i problemi a un futuro per altro prossimo in cui gli assegni previdenziali, come i salari, avranno visto erodere parte rilevante del potere di acquisto e a quel punto al posto dell’intervento pubblico e statale si pensa al risparmio e agli investimenti del lavoratore.

E così operando non solo trionfa lo Stato leggero ma si scarica sui risparmi del lavoratore il compito di sostenere l’aumento del costo della vita, se vogliamo delle pensioni dignitose servirebbe solo un calcolo diverso dei contributi ed esigere maggiore  contribuzione dalle imprese pubbliche e private


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