Sanzioni, crisi energetica e riarmo: dove ci sta portando l’UE?
Economia di guerra oggi parte XXII
Sanzioni, crisi energetica e riarmo: dove ci sta portando l’UE?
L'Unione Europea dopo aver approvato
il 17° pacchetto di sanzioni alla Russia, sta approntando il 18° nonostante i
pesanti effetti sulla propria economia creati dai precedenti e il caro petrolio
causato dall’attacco israeliano e Usa all’Iran.
Le politiche di riarmo procedono
spedite affossando ulteriormente le spese sociali
Martedì 20 maggio l'Unione europea ha
approvato il 17esimo pacchetto di sanzioni contro la Russia accompagnato dalle
solite dichiarazioni enfatiche dei suoi vertici.
L'ennesimo atto
coercitivo adottato contro Mosca ha, tuttavia, sollevato perplessità e
critiche, fra le associazioni imprenditoriali e nell'opinione pubblica europea,
ancora maggiori rispetto alle 16 precedenti, sia per motivazioni di carattere
economico che di strategia geopolitica.
Le precedenti tranche di sanzioni introdotte
da Bruxelles hanno, infatti, determinato, secondo il Fondo Monetario
Internazionale, un forte rallentamento dell'economia dell'eurozona nel 2023 e
nel 2024 (+0,4% e +0,9%9) e spinto in recessione (-0,3% e -0,2%) quella
tedesca, mentre Mosca è cresciuta del +4,1% in entrambi gli anni.
La crisi
industriale di Germania e Italia
A ciò va aggiunta la pesante contrazione della
produzione industriale europea, in particolare della Germania e dell'Italia. Nel nostro paese addirittura giunta con il
26esimo mese consecutivo,
da febbraio 2023 a marzo 2025, di riduzione calcolata su base tendenziale, vale a dire rispetto
al corrispondente mese dell’anno precedente, con due picchi del -6,7% ad aprile 2023 e a dicembre 2024
(grafico 1).
Grafico 1:
variazione della produzione industriale mensile su base tendenziale dell’Italia
negli ultimi 3 anni, aprile 2022 – marzo 2025. Fonte Istat.
La Germania segue
da vicino il nostro paese con il 22esimo mese consecutivo, da giugno 2023 a marzo 2025
compresi (grafico 2), di riduzione tendenziale negativa della produzione industriale con un picco massimo
del -7,4% maggio 2024.
Con il settore dell’automotive
a trainare la crisi produttiva, in entrambi i paesi.
Grafico 2:
variazione della produzione industriale mensile su base tendenziale della
Germania negli ultimi 3 anni, aprile 2022 – marzo 2025. Fonte Destasis
Flessione e
ripresa della produzione industriale russa
Le prime tranche di sanzioni adottate sin dal
23 febbraio 2022, hanno creato un immediato impatto negativo sulla produzione
industriale russa, tant’è che dal picco di +9,1% di aumento tendenziale di
gennaio dello stesso anno, è precipitata a -1,7% ad aprile, per restare in
campo negativo fino a febbraio 2023, rimanendo sempre sopra la soglia del
-2,0%, salvo dicembre (-2,2%) e gennaio (-2,9%) (grafico 3).
Tramite le contromisure di natura monetaria, commerciale
ed economica, dopo la crisi economico-produttiva del 2022, Mosca è riuscita ad
invertire la fase di contrazione e ad intraprendere quella espansiva sostenuta
da un significativo incremento della spesa pubblica, soprattutto verso la
produzione di armamenti e le spese militari in generale, queste ultime passate da
una stima di 86,4 miliardi di dollari del 2022 a 149 miliardi del 2024.
Grafico 3:
variazione della produzione industriale mensile su base tendenziale della
Russia negli ultimi 5 anni, aprile 2020 – marzo 2025. Fonte Federal State
Statistic Service of Russia – Rosstat
La crisi
economica e la miopia geopolitica dell’Unione Europea
La crisi industriale dell'Eurozona secondo le
organizzazioni datoriali, Confindustria in primis, è causata dall'aumento del
costo dell'energia e del gas in particolare, provocata dalla decisione
dell'Unione Europea di rinunciare alle convenienti forniture di gas russo via
conduttura, sostituendole con quelle di Gnl, principalmente statunitense, ben
più costose.
In sostanza le sanzioni si sono rivelate un pesante
boomerang pagato dai cittadini comunitari in termini di aumento del costo del
gas e della luce, di inflazione, di rialzo dei tassi di interesse, di riduzione
dei salari reali e di crisi industriale, come abbiamo ampiamente documentato
nei precedenti saggi[1].
Per quanto
riguarda l'aspetto geopolitico, la decisione di Bruxelles assume una linea
divergente rispetto all’orientamento strategico di Trump che mira a porre fine
al conflitto in Ucraina. Infatti, mentre
l'amministrazione Trump ha profuso nelle settimane passate un significativo
sforzo in tale direzione, in Europa è stata data vita alla sedicente
“Coalizione dei volonterosi”, per proseguire la guerra ad oltranza, e abbiamo pure
è adottato il 17° pacchetto di sanzioni, non introdotto invece da Washington.
Una classe politica che affossa la propria
economia e impoverisce i propri cittadini, tramite le sanzioni, e che è
intenzionata a proseguire il conflitto fino alla remota possibilità di
sfinimento della Russia, mentre gli Stati Uniti stanno riallacciando le
relazioni diplomatiche e commerciali con Mosca, mostra, non solo la propria
inadeguatezza al ruolo che riveste ma anche, la limitata capacità di
interpretazione della fase geopolitica attuale.
Ulteriore conferma in tal senso emerge, in primis, dall’aver
ormai approntato il 10 giugno anche il 18esimo pacchetto di sanzioni alla
Russia[2],
con ulteriori restrizioni all’acquisto di idrocarburi dalla Russia a pochi
giorni dell’esplosione della guerra in corso, causata dall’attacco israeliano del
13 giugno all’Iran, che sta causando danni agli impianti di idrocarburi e alle
strutture portuali per l’esportazione degli stessi. A ciò va aggiunto lo
scellerato pesante bombardamento statunitense ai siti di nucleari iraniani di
Fordow, Natanz e Isfaham delle prime ore del 22 giugno che ha fatto salire
ulteriormente la tensione nell’area del Golfo Persico con immediate ripercussioni
sulla quotazione del petrolio (+13% nelle ore successive) e con possibilità di
blocco dello stretto di Hormuz, anche alla luce dell’approvazione all’unanimità
da parte del parlamento iraniano di una mozione in tal senso. Anche se la
decisione definitiva è di competenza del Consiglio supremo di sicurezza nazionale[3]
iraniano, la situazione è estremamente delicata per quanto riguarda il mercato
mondiale degli idrocarburi, considerando che dallo stretto di Hormuz transita
circa il 30% del petrolio e il 20% del Gnl commercializzati a livello mondiale[4].
Altra conferma dell’inadeguatezza
della classe politica comunitaria, proviene dalla decisa politica di riarmo intrapresa
l’Unione Europea con il piano ReArme Europe da 800 miliardi di euro, articolato
su tre linee di sviluppo[5].
Fra queste, la prima prevede il ricorso da parte dei singoli stati a
finanziamenti per la Difesa, per un massimo di 650 miliardi di euro complessivi
a livello comunitario per il periodo 2025-2028. Prestiti che, in deroga al
Patto di Stabilità, saranno scorporati dai vincoli di bilancio fino ad un
massimo di -1,5% di deficit annuo, ma che andranno in ogni caso ad aumentare il
debito pubblico degli stati che ne faranno utilizzo.
Probabilmente la freddezza con cui è
stato accolto dalla nostra presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, è
riconducile allo stretto spazio fiscale che abbiamo a disposizione essendo già
oberati da un debito pubblico di 3.000 miliardi di euro, corrispondenti al 130%
del Pil.
Tutt’altra accoglienza ha invece
avuto a Berlino dove la politiche di riarmo marciano spedite e il rapporto
debito/Pil è solo al 63%[6],
peraltro dopo aver già approvato il piano da 500 miliardi di investimenti, una
parte dei quali indirizzati all’industria bellica, e un finanziamento
straordinario pluriennale di 100 miliardi di euro per la Difesa.
La seconda linea prevede lo stanziamento
150 miliardi di euro per prestiti del Fondo Safe[7]
(Security Action For Europe) per investimenti nella produzione di armamenti. Il
piano industriale sottinteso dai vertici comunitari, probabilmente, va nella
direzione della conversione del declinante comparto automobilistico europeo verso
la produzione di sistema d’arma.
Mentre la terza contempla l’aumento dei finanziamenti della
Banca europea degli investimenti (Bei) alle industrie belliche, fino ad oggi
escluse per questioni etiche, e movimentazione di capitali privati, soprattutto
risparmio delle famiglie e fondi pensione, tramite l’istituzione dell’Unione
del risparmio e degli investimenti. Ciò
al fine ultimo di attivare la stratosferica cifra di 10.000 miliardi di euro (oltre
4 volte il Pil dell’Italia) depositati in conti correnti bancari, trasformandoli
in capitali di rischio a beneficio del riarmo e del comparto
industrial-militare europeo.
A ciò dobbiamo aggiungere la quasi certa approvazione,
prevista all’imminente Vertice annuale della Nato che si terrà a L’AJa nei
Paesi Bassi il 24 e il 25 giugno prossimi, dell’aumento delle spese militari al
5% del Pil da raggiungere entro il 2035. Scellerata decisione che comporterebbe
al nostro paese, secondo l’osservatorio sulle spese militari Milex[8],
un aumento di spesa dai 45 miliardi di euro annui attuali a 145 nel 2035, con
un aumento a regime di circa 100 miliardi (tab.1).
Tabella 1: la progressione
dell’aumento del Pil e delle spese per la difesa in Italia. Fonte Milex
Conclusioni
La situazione attuale sia dal punto di vista geopolitico, con
il proliferare incontrollato delle guerre, che geoeconomico, con una potenziale
grave crisi energetica alle porte, risulta indubbiamente molto critica e dagli
sviluppi, incerti tant’è che dalle analisi dell’Oxford Economics Departiment
emerge che un eventuale blocco di Hormuz provocherebbe un aumento del costo del
petrolio fino a 130 dollari al barile con possibile crisi economica globale, e
quasi certa europea, aggiungiamo noi, vista la dipendenza energetica dall’estero
e dal Medio Oriente in particolare.
In sintesi rileviamo come, da un
lato, l’austerità fiscale rigidamente imposta per le spese sociali fino ad oggi
flette, come pagliuzza al vento, sotto il furore riarmista, dall’altro, i danni
provocati all’economia dell’eurozona, e della Germania in particolare, sembrano
non aver indotto sino a ieri alcuna riflessione sul boomerang innescato dalle
politiche sanzionatorie.
Miracolosamente sembrerebbe che oggi 22 giugno a Bruxelles
qualcuno inizi a prenderne atto. In particolare ci riferiamo alle dichiarazioni
del commissario europeo all’Economia Valdis Dombrovskis: “Il conflitto tra Iran
e Israele ha già provocato prezzi del petrolio e dell’energia più alti. Se
persistono i rialzi, possono filtrare nei costi alla produzione e nelle
bollette energetiche dell’Ue”.
Siamo in trepida attesa degli
sviluppi della guerra all’Iran e delle decisioni che verranno adottate dai
vertici europei in merito al 18° pacchetto di sanzioni alla Russia, in un
momento così delicato con i prezzi dell’energia in rapida crescita e con una
crisi energetica dietro l’angolo, e un rallentamento economico in corso dal
2023.
Nel caso, nonostante la dichiarazione di Dombrovskis, venisse
approvata un’altra tranche di provvedimenti restrittivi contro il settore
energetico di Mosca saremmo in presenza di un’ulteriore capitolo poco onorevole
per l’establishment dell’Ue, sempre più preda della sindrome di Tafazzi, con la
prosecuzione della scellerata politica sanzionatoria, e sempre più irrilevante
dal punto di vista di geopolitico. Tant’è che Trump non ha nemmeno ritenuto
necessario di informarla preventivamente dell’attacco all’Iran pur
trascinandoci di fatto in guerra, come emerge dal beffardo titolo dell’articolo
pubblicato da Alberto Negri, nelle ore successive al bombardamento Usa: “Siamo
entrati in guerra senza saperlo”[9].
Andrea Vento
22 giugno 2025
Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati
[1]
Vedi i saggi in tema della serie Economia di guerra oggi a cura del Giga
pubblicati da questo stesso sito
[2]
https://www.eunews.it/2025/06/10/ue-18-pacchetto-sanzioni-vdl-kallas/
[3]
https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2025/06/22/parlamento-iraniano-chiudere-lo-stretto-di-hormuz_b4e9e67f-b0e7-4d71-ac4b-2c3d68298ba2.html
[4]
https://energiaoltre.it/hormuz-prezzi-petrolio/
[5] https://www.settimananews.it/informazione-internazionale/il-riarmo-europa/
[6]
https://www.borsaitaliana.it/borsa/notizie/radiocor/finanza/dettaglio/gam-la-svolta-fiscale-della-germania-contro-la-spirale-del-deficit-usa-parola-al-mercato-nRC_22062025_1128_134504867.html
[7]
https://it.euronews.com/my-europe/2025/05/21/tutto-quello-che-ce-da-sapere-su-safe-lo-strumento-di-difesa-dellue-da-150-miliardi-di-eur
[8]
https://www.milex.org/2025/06/18/con-il-5-sul-pil-la-spesa-militare-salirebbe-di-oltre-400-miliardi/
[9]
https://ilmanifesto.it/siamo-entrati-in-guerra-senza-saperlo
Commenti
Posta un commento