La guerra tra maiali, l 'esproprio proprietario e il richiamo marxista

 Reminiscenze di un altro 14 luglio 

Seconda parte
La guerra tra maiali, lo esproprio proprietario e il richiamo marxista

Dal “Diario della guerra al maiale”: 

“Un bel giorno, all'improvviso, i giovani di Buenos Aires decidono che chiunque abbia più di cinquant'anni è inutile alla società. Si scatena così una strana e misteriosa guerra: ‘la guerra al maiale', che impegna i giovani per una settimana intera nella caccia ai 'vecchi' per sterminarli. Il ciclone investe un gruppo di amici pensionati, più o meno coetanei, che tra di loro si chiamano ‘i ragazzi’".

Con un veloce sguardo si verifica che la guerra ai maiali descritta da Adolfo Bioy Casares nel 2007 è diventata una guerra diffusa tra maiali. Nulla di casuale o di sorprendente poiché questo sviluppo serve a distrarre la popolazione dall’assalto globale contro i suoi interessi condotto dallo 0,1% della popolazione e dai suoi luogotenenti e camerieri. Come aveva anticipato George Orwell in “La fattoria degli animali“ (1945), “Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri”.

Oltre alle metastasi guerreggiate interne e tra Stati in corso d'opera, le guerre tra maiali sono variegate e diversamente serie: giovani contro vecchi, bianchi contro non bianchi, grassi contro magri, automobilisti contro studenti-pedoni e ciclisti, bevitori di birra o di vino contro astemi, vegani contro vegetariani e vegetariani contro carnivori, femministe della prima ora contro femministe Instagram, maschilisti contro femministe, uomini contro donne, lesbiche contro etero ed etero contro gay, amanti dei fuochi d’artificio contro animalisti, guidatori di utilitarie contro guidatori di SUV, barbuti contro sbarbati e glabri, immigranti di prima generazione contro immigranti di terza, terrapiattisti contro scienziati e increduli, hater buoni contro odiatori cattivi...
 
E’ l’apoteosi del ritorno ai confini mentali tribali (nel senso europeo di tribù, giacché le cosiddette “tribù selvagge” trovate in Africa e America Latina sono estremamente civili e pacifiche); la fioritura di una nuova “cultura dell’odio; il ritorno di mostri occidentali come il fascismo, l’arroganza e l’intolleranza; la libertà delle macchine per opinare su ogni individuo in base alle sue abitudini di consumo e/o alla sua posizione sociale, razziale, ecc. 
La mentalità medioevale è rinata come reazione ad un movimento storico maggiore ma intende diventare un ciclo storico in sé stessa. E un’aspirazione di corto muso e tra breve tempo, mi auguro, si assisterà ad una reazione delle maggioranze. Ma  Palestina, Ucraina, Trump e Milei dimostrano che non abbiamo ancora incrociato l’inevitabile linea di rottura. 
Maggiore sarà il tempo richiesto per superarla, maggiori saranno le sofferenze presenti e maggiore sarà la violenza della trasformazione.
 
I social media non hanno dato alcun contributo significativo alla conoscenza dell’altro (dell’altro individuo, dell’altra cultura). Viceversa, hanno contribuito a potenziare sia il proprio ego che la necessità di sentirsi superiore agli altri a qualunque prezzo. La diffusione della “sindrome Trump” è una fonte illusoria di piacere (non di felicità) che provoca solo ulteriore ansia e frustrazione.
I media hanno potenziato i mostri repressi definendoci come esseri umani opposti all’altruismo, alla ricerca della giustizia e della convivenza. Insomma, “tutti piccoli Berlusconi”, ma senza aeroporti intitolati da qualche parte. 

La politica delle tribù, ossia i nazionalismi, e delle microtribù,  spesso prefabbricate dalla cultura del consumo, hanno atomizzato la politica e la società trasformando la cultura globale in una roba sempre più tossica organizzata attorno all’odio verso l’altro. L’odio e l’inevitabile frustrazione esacerbata dalla lotta per essere riconosciuti socialmente, per la fama dei cinque minuti, dalla voglia di diventare virale grazie a qualche frivolezza (“la politica del mojito”), dalla necessità di “ottenere visibilità”, un’antica ossessione della cultura statunitense adottata come roba naturale dal resto del mondo, ministri che teoricamente maldestri, si sollazzano e probabilmente si sollevano l’animo collezionando “gaffe”. Gaffeur, ma esistenti.

Come disse Umberto Eco, “i social network sono un fenomeno positivo ma danno diritto di parola anche a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Ora questi imbecilli hanno lo stesso diritto di parola dei Premi Nobel". Non potendo diventare tutti famosi, tutti “influencer”, ancor meno quando gli individui sono entità piatte, standard, prodotti in serie con minime variazioni che mi auguro considerino fondamentali per avere un proprio intimo, la necessità di riconoscimento individuale si proietta in una tribù oppure in irrazionali sentimenti nazionalisti o razzisti in cui l’amore per la bandiera del paese o per il gagliardetto di una squadra di calcio sono praticamente identici. 
Il fenomeno è diffuso al punto che un individuo come Trump ha bisogno di umiliare e degradare gli altri per sentirsi superiore. O come Javier Milei, che intervenendo al Congresso di Vox a Madrid il 19 maggio 2024, affermava: “Taluni cercano di dipingere negativamente la presidenta Ayuso per i 7.291 anziani imbecilli (pelotudos) che sono morti senza assistenza per non avere un’assicurazione privata”. 

Ovvero, l’idea umanista di uguaglianza-nella-diversità, paradigma che con la ragione e il secolarismo ha definito l'Era Moderna, ha perso buona parte del suo prestigio tornando ad essere una “novità assurda”, come si considerava fino al XVIII secolo. 

Forse a qualcuno suonerà assurdo ma mi sembra che, ogni tanto, i popoli si stanchino della pace, della giustizia e della solidarietà e abbiano bisogno di un grande conflitto, di una catastrofe immane per poter abbandonare ancora una volta “la rabbia e l’orgoglio fallaciano”, malefica tossina dell’individualismo, del razzismo, della tribù, del gruppo che si autogiustifica in funzione di un nemico, per occuparsi nuovamente dei valori della giustizia e sopravvivenza collettiva. 
A questa natura tossica non basta scaricare la sua energia primitiva negli stadi o nelle elezioni, ma deve umiliare, violentare ed uccidere. Possono farlo altri al proprio posto ma debbono farlo anche a nome mio, magari avvolti in una bella bandiera e intonando un emozionante inno. 

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