L’aumento esponenziale delle spese militari fa bene all’economia italiana ma non ai proletari

 

L’aumento esponenziale delle spese militari fa bene all’economia italiana ma non ai proletari

La crescita delle esportazioni di armamenti pesanti italiani si attesta all’86%. Quali sono le priorità per l’Italia e per la Ue ? Investire nei settori redditizi e nello sviluppo delle tecnologie dual use, riscrivere, come avvenuto a fine 2023, il Pnrr in funzione dell’autonomia energetica e per coprire le nefaste conseguenze della guerra in Ucraina sull’economia Ue, aumentare la produzione dei nuovi sistemi di guerra ad alto tasso tecnologico Se la guerra conviene al capitale lo stesso discorso varrà per i proletari?

 


L’Italia è al sesto posto nella classifica mondiale dei produttori di armi e il 71% del made in Italy è indirizzato ai paesi mediorientali. Gli Stati Uniti dominano incontrastati questa sinistra classifica, diminuisce la produzione Russa e l’Europa complessivamente raddoppia le importazioni a beneficio degli Usa.

Se l’export di armi made in Italy un anno fa era cresciuto del 45%, oggi si attesta a + 76% e, stando a quanto scrive il Sipri, la crescita della “nostra” spesa militare è tra le maggiori di quelle registrate a livello europeo a conferma che la politica estera del governo Meloni, di aperto sostegno all’Ucraina e ad Israele, si comprende bene alla luce di questi dati o da una semplice considerazione: se le guerre aumentano di numero e di intensità cresceranno esponenzialmente anche gli affari.

Ma la domanda che sorge spontanea dovrebbe essere un ‘altra: a guidare il nostro paese è forse l’intricata lobby delle armi? E possiamo riprodurre il modello economico statunitense in Italia? Stando ai numeri l’industria di armi italiana è meno rilevante nell’economia nazionale di quanto avvenga negli Usa o in Israele, alla base di ogni decisione c’è un calcolo politico ed economico:  legarsi indissolubilmente al carro Usa e Nato.

Dalla Bussola europea ad oggi molte cose sono cambiate, dalla Guerra Nato in Ucraina alla Palestina, dalla riscrittura del Pnrr nell’ottica della digitalizzazione, della svolta energetica, rispetto ai governi precedenti l’atlantismo oltranzista del governo Meloni è un dato di assoluta novità, quando si parla genericamente di fronte anti Nato dovremmo fare i conti con i cambiamenti economici, con l’approvigionamento energetico e dei materiali necessari per la svolta Green.  Sta cambiando il ruolo della Nato in questa fase storica cambiano anche le politiche europee e, in questa ottica, va inquadrato l’aumento della spesa militare e degli investimenti per le tecnologie dual use. Torneremo con altre considerazioni sull’argomento ma intanto focalizziamo l’attenzione sul commercio d’armi attingendo dati direttamente dal rapporto Sipri.

Le esportazioni di armi degli Stati Uniti sono cresciute del 17% tra il 2014-2018 e il 2019-23, oggi le esportazioni di armi Usa sono attestate al 42% del commercio mondiale, 6 punti in più rispetto agli anni pre pandemici.  Gli Stati Uniti e i paesi dell’Europa occidentale raggiungono il 72% delle esportazioni mondiali di armi, siano sufficienti questi dati per comprendere come proprio i paesi della Nato stanno intensificando ricerca, produzione e commercio dei sistemi di arma. Questa tendenza non è una novità ma dura da almeno un decennio

Possiamo spiegare questa tendenza alla Guerra come risposta ai Brics ma anche e soprattutto alla ricerca di egemonia militare ed economica da proiettare nel futuro investendo risorse nelle tecnologie dual use.

In Europa le esportazioni di armi sono aumentate del 47%  ben più della stessa Russia che nell’immaginario collettivo occidentale investirebbe invece ingenti risorse nella ricercar e produzione di armi.

Tutte le produzioni europee vanno in prevalenza verso alcuni paesi del Golfo e anche questo dato va preso in seria considerazione.

Le esportazioni di armi russe sono diminuite del 53% tra il 2014-2018 e il 2019-23

Il Sipri sintetizza i dati in poche righe: Considerando gli altri 10 principali esportatori di armi dopo Stati Uniti, Francia e Russia, due hanno registrato un aumento delle esportazioni: Italia (+86%) e Corea del Sud (+12%); mentre cinque hanno registrato diminuzioni: Cina (-5,3%), Germania (-14%), Regno Unito (-14%), Spagna (-3,3%)

Le importazioni di armi da parte degli Stati europei sono praticamente raddoppiate in meno di dieci anni e oltre la metà di queste armi sono di produzione Usa con una dipendenza tecnologica dal paese egemone della Nato.

Se poi analizziamo la destinazione extra europea delle armi Usa ci rendiamo conto che vanno verso alcuni paesi di Asia e Oceania.  E nel continente asiatico dopo la Cina troviamo in forte ascesa non l’India ma il Pakistan e soprattutto il Giappone-

Le vendite di armi Usa sono in funzione anti cinese facendo leva sulle presunte minacce della Cina alla stabilità dell’area asiatica e oceanica come del resto dimostrano le continue esercitazioni militari in queste aree del Globo.

Paesi produttori di greggio come l’Arabia Saudita investono i proventi del petrolio nelle armi , stesso discorso vale per il Quatar. Le importazioni di armi principali da parte degli stati africani sono diminuite del 52%

Gli Stati Uniti rappresentano il 69% e la Germania il 30% delle importazioni di armi da parte di Israele, un paese ormai produttori di armi di ultima generazione con ampio utilizzo , a fini militari, della intelligenza artificiale.

Bibliografia

https://www.sipri.org/media/press-release/2024/european-arms-imports-nearly-double-us-and-french-exports-rise-and-russian-exports-fall-sharply

https://www.sipri.org/visualizations/2024/steep-rise-european-arms-imports

https://www.sipri.org/sites/default/files/2024-03/fs_2403_at_2023.pdf

 

 

 

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