Nidi: tra obiettivi del Pnrr e privatizzazioni
Nidi: tra obiettivi del Pnrr e
privatizzazioni
a cura della CUB di Pisa
Strada
facendo abbiamo compreso come la riscrittura del Pnrr abbia sacrificato
interventi importanti a tutela del territorio, dei borghi, la messa in
sicurezza di siti inquinati, la efficienza delle reti idriche prive, ormai da
decenni, di manutenzione.
E tra i
tagli derivanti dalle direttive Ue ritroviamo anche i fondi destinati agli
asili nido.
Si rende
necessaria tuttavia una premessa, i nidi sono servizi a domanda individuale e
gravano in parte sulle famiglie con rette mensili collegate all’Isee.
Per
esperienza diretta posso asserire che una famiglia con redditi bassi prima di
iscrivere un figlio o una figlia a un nido faccia due conti sulle disponibilità
economiche e sovente, ove sia possibile ci si appoggia su genitori e parenti
rinunciando, per ragioni di spesa, a una esperienza formativa che, per essere tale, dovrebbe
essere invece inclusa tra i servizi della pubblica istruzione.
Oltre 20
anni fa si mobilitarono sindacati, lavoratrici e realtà sociali per includere i
nidi nei servizi della pubblica istruzione , di questa rivendicazione si è
persa traccia ed è finita letteralmente nel dimenticatoio.
Molti Enti
locali hanno deliberatamente scelto di esternalizzare la gestione dei nidi,
dovevano restare dentro parametri di spesa Ue imposti per favorire i processi
di privatizzazione dei servizi .
Le
privatizzazioni hanno favorito la gestione dei nidi da parte del terzo settore
dentro cui opera una forza lavoro con retribuzioni da fame, contratti
sfavorevoli.
Questo autentico dumping contrattuale tra strutture pubbliche e privati, per svolgere le stesse attività, è stato favorito anche dai sindacati firmatari di contratti che hanno favorito la nascita di ccnl sfavorevoli.
L’obiettivo del Pnrr per gli asili nido a inizio anno è sceso a 150mila nuovi posti da creare entro la fine del 2025, rispetto ai 264mila inizialmente previsti dal piano finanziato con il Next Generation Eu.
Il Governo Meloni si erge a difesa
delle famiglie e della infanzia ma accoglie passivamente le istanze Ue che
optano per investimenti redditizi a favore della digitalizzazione e
dell’economia green. Non parliamo per altro di asili nido a gestione diretta,
vedremo tra qualche anno i soggetti beneficiari di questi investimenti. Nel
frattempo è evidente l’incremento dei costi e le carenze esecutive degli enti
locali alle prese con croniche carenze di organico tanto che alcuni Comuni
hanno già rinunciato ai fondi assegnati.
Stando ai Pnrr e agli obiettivi Ue
l’Italia deve raggiungere i target
comunitari ossia il 33 per cento dei
posti offerti in rapporto al numero dei bambini da 0 a 2 anni. Al 31 dicembre 2020, secondo i dati Istat, in
Italia erano attivi solo 350.670 posti negli asili nido, la metà (49%) dei quali pubblici mentre tra 0 e 2 anni i
bambini e le bambine erano 653.487 bambini
Ammesso di raggiungere il target
europeo la domanda che sorge spontanea è un’altra: perché non è stato inserito
il nido tra i servizi della pubblica amministrazione e perché non si guarda
essenzialmente alle strutture pubbliche?
La risposta è sempre la stessa :il
privato con i salari da fame conviene al Governo, alla Ue e alle logiche di
austerità salariale
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