Dossier foibe

da Il manifesto



Le foibe al tempo del «populismo storico»


Memoria e ricordo . La contestazione al seminario organizzato dall’Anpi esprime in modo visibile l’emersione di un fenomeno che le «politiche memoriali», organizzate attorno all’istituzione di leggi ad hoc finalizzate all’uso pubblico della storia, hanno finito progressivamente per alimentare fino alla sua tracimazione nel discorso pubblicoSi è tenuto ieri un seminario, presso la Sala degli Atti Parlamentari della Biblioteca del Senato della Repubblica, con storici di rigore e professionalità, riconosciuti a livello nazionale e internazionale.
Come Giovanni De Luna, Franco Ceccotti e Anna Maria Vinci e Marta Verginella, e che, per il solo motivo di essersi svolto, è stato «contestato» da esponenti dell’estrema destra italiana che lo hanno definito «un oltraggio agli esuli istriani e dalmati infoibati vittime dell’odio comunista» ed un’iniziativa «dal chiaro obbiettivo negazionista». L’episodio esprime in modo visibile l’emersione di un fenomeno che le «politiche memoriali», organizzate attorno all’istituzione di leggi ad hoc finalizzate all’uso pubblico della storia, hanno finito progressivamente per alimentare fino alla sua tracimazione nel discorso pubblico: il populismo storico. Esso ha progressivamente preso corpo in tutte le società democratiche del continente, ne è esempio la Risoluzione del Parlamento europeo del 19 settembre scorso sui totalitarismi, e rappresenta il superamento del revisionismo e una sua manifestazione a base «di massa», cioè non più chiusa entro il solo perimetro del dibattito storiografico o pubblico-divulgativo. Sul piano della comunicazione nella società il populismo storico è organizzato su una reciprocità dialettica con ciò che si definisce «senso comune». Il suo impatto mediatico e la diffusione dei suoi rovesciamenti storiografici si alimentano della capacità di «ritorno» che questi ultimi producono sull’opinione pubblica, trasformata in fonte di forza e ispirazione per spinte, sempre più oltranziste, verso il ribaltamento del senso della storia.
Presentato dai suoi animatori come espressione di novità e liberazione antidogmatica dalla cosiddetta «storia ufficiale» (vale a dire dall’esercizio metodologico della disciplina e dalla trasmissione del sapere scientifico) il populismo storico ricava le proprie istanze dall’uso del più vecchio e consunto degli armamentari ideologici quello della negazione, dell’autoassoluzione e della memoria selettiva. In questo quadro la «complessa vicenda del confine orientale» richiamata nell’articolo 1 della stessa legge istitutiva del giorno del ricordo viene sistematicamente elusa dal dibattito pubblico. Sono in questo modo cancellati dalla memoria nazionale «il fascismo di frontiera» (lo squadrismo delle camice nere contro le popolazioni jugoslave prima della marcia su Roma), la guerra di aggressione scatenata dal regime di Mussolini il 6 aprile 1941; i crimini di guerra contro civili e partigiani compiuti dalle truppe del regio esercito e dalle milizie fasciste in Jugoslavia; l’impunità garantita alle migliaia di «presunti» criminali di guerra inseriti nelle liste delle Nazioni Unite per essere processati in una «Norimberga italiana» mai celebrata in ragione degli equilibri geopolitici della «Guerra Fredda». Correlata a questo si porrebbe anche la questione della «continuità dello Stato» nel quadro della transizione dal nazifascismo alla democrazia in Italia, nonché la scabrosa vicenda dei risarcimenti, dovuti e non pagati, ai familiari delle vittime delle stragi nazifasciste in Europa.
La strumentalizzazione che la destra politica compie attorno alla vicenda delle foibe riassume i caratteri nazionali di un Paese che non avendo fatto i conti col proprio passato cerca di superarlo riscrivendolo. La contestazione dei «populisti storici» agli storici, e alla storia stessa, si incardina così in quello «spirito dei tempi» che la società contemporanea si trova a vivere oggi, nel pieno di una delle sue crisi più profonde.

La funzione della storia rimane quella di organizzare un «orizzonte di senso» rispetto al tempo trascorso attraverso il metodo scientifico ovvero un processo in grado di comporre una relazione di significati il più possibile precisa che connetta le vite diverse di generazioni di persone, popoli e società. La storia, in sostanza, non solo spiega da dove veniamo e rende visibili le radici d’origine ed i processi d’impianto delle nostre società ma soprattutto ci mostra le ragioni e gli sviluppi attraverso cui siamo diventati ciò che siamo, nel bene e nel male.
Enucleata dall’onere specifico e dirimente di offrire una «resa di complessità» la storia finisce per essere rappresentata attraverso forme monodimensionali o retorico-celebrative che ne impoveriscono il portato culturale o la trasfigurano in strumento propagandistico della debole politica dei giorni nostri come forma di regolazione e controllo selettivo della memoria collettiva, finalizzato al governo del presente. Su questo terreno diviene indispensabile la resistenza della cultura e delle coscienze.
05.02.2020

Foibe, a Basovizza le destre nostalgiche riscrivono la storia


Lunedì prossimo a Trieste per il «giorno del ricordo» arrivano nel sacrario dell’eccidio Gasparri, Meloni, Salvini e le loro truppe. Un convegno sul Narodni Dom attribuisce agli sloveni l’incendio fascista
C’era stato il grande Concerto dell’Amicizia con il maestro Muti in Piazza Unità a Trieste, con il presidente Napolitano fianco a fianco, per la prima volta, con i presidenti di Slovenia e Croazia. Assieme, avevano voluto testimoniare «la ferma volontà di far prevalere quel che oggi ci unisce su quel che ci ha dolorosamente diviso in un tormentato periodo storico». Era il 2010 e sembrava che finalmente tutti avessero capito che questa è una terra mistilingue dove si vuole, e si può, vivere in pace. La frontiera è luogo privilegiato di scambi, di commistioni, di arricchimento reciproco: questo andrebbe ricordato e tutelato sempre. Invece, anno dopo anno e con furia crescente, in Italia si è cominciato a tentare di riscrivere la storia e di rialzare i muri.
NON C’È CONTESTO, non c’è rispetto per la storia ma è un canto di sirene che sta diventando mainstream. Il risultato è che sono sempre di più quei connazionali che non sanno nulla di cosa sono state le guerre di occupazione italiane, dalle colonie alle conquiste “imperiali” fino alla Jugoslavia, quelli che pensano che nei campi di sterminio sono stati mandati soltanto gli ebrei e soltanto da quei pazzi dei nazisti tedeschi e sempre di più quelli che cominciano a dare per scontato che nelle foibe del Carso ci siano davvero i resti violati di decine di migliaia di «italiani solo perché italiani» e che tutti gli italiani d’Istria siano dovuti scappare per non essere infoibati dalle orde slavo-comuniste. Finisce così che non solo si tradisce la verità ma si fanno crescere nostalgiche ideologie revansciste pericolose per ogni vivere civile, come il secolo breve dovrebbe avere insegnato.
MA VALLO A SPIEGARE a chi pensa di costruirsi un successo politico gridando «Italia!» mentre guarda verso Fiume con la mano appoggiata sulla testa della statua di D’Annunzio messa in una delle più belle piazze di Trieste (architettonicamente proprio asburgica, se si volesse guardare). E adesso, alle cerimonie per il «giorno del ricordo» lunedì prossimo, con l’effetto scenografico del Sacrario alla foiba di Basovizza, arriva a Trieste un tris d’assi: Maurizio Gasparri, Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Difficile non immaginare che si sentirà odore di intolleranza e contrapposizione interetnica, il contrario di quel che sarebbe necessario e giusto.
SAREBBE NECESSARIO chiedersi perché quando si onorano le vittime del nazifascismo si pensa al superamento dei conflitti e alla pace mentre le vittime delle foibe sono onorate con tricolori teschiati, saluti romani e tutto l’armamentario tipico del suprematismo da sempre guerrafondaio. Meglio non si potrebbe fare per far suonare un nuovo campanello d’allarme in Slovenia e in Croazia. Meglio non si potrebbe scegliere per ferire ancora una volta gli sloveni, ma anche quei triestini che qui vivono da sempre.
INTANTO IN CONSIGLIO regionale la maggioranza leghista propone una legge che affida la diffusione della conoscenza delle foibe e dell’esodo istriano esclusivamente alla Lega Nazionale, al Comitato 10 febbraio e a un paio di associazioni degli esuli istriani (si accettano scommesse per quale rappresenta con maggior vigore la destra nazionalista). Come dire che solo l’oste può dichiarare la bontà del proprio vino. Il massimo che riesce a fare l’opposizione piddina è chiedere che si possa aggiungere qualcuno che di mestiere studia e insegna la storia ma i sodali di Fedriga sono irremovibili.
SULLA TORTA DI QUESTO 10 febbraio del ricordo, a 75 anni dalla fine della guerra, c’è una ulteriore ciliegina, non bastasse il terzetto di parlamentari presenti a Basovizza, inevitabilmente attorniati da molteplici divise e gonfaloni, compreso quello della X Mas che ormai da mesi fa la spola tra Trieste e Gorizia. Il Comune del capoluogo giuliano ha pensato bene di patrocinare un Convegno che presenterà un vero scoop: il Narodni Dom, la casa degli sloveni dei croati e dei cechi di Trieste che ospitava in un unico grande edificio l’albergo Balkan, le banche, le sedi delle associazioni e delle organizzazioni sportive e culturali, la biblioteca ecc, incendiato dai fascisti capeggiati da Francesco Giunta nel luglio del 1920, in realtà sarebbe stato dato alle fiamme … dagli sloveni.
Non c’è limite allo scempio. Ma questa iniziativa, ospitata in una sala pubblica e pubblicizzata dalle locandine fatte pubblicare dal Comune, è proprio paradossale: il 13 luglio prossimo, a cento anni esatti dall’incendio, alla presenza del nostro presidente della Repubblica Mattarella e del presidente Sloveno Borut Pahor si terrà la cerimonia di restituzione alla comunità slovena dell’edificio, per diritto di proprietà e per correttezza storica «viste le ottime relazioni bilaterali ed i forti legami sul piano politico economico e culturale e le amichevoli relazioni contraddistinte da un elevato livello di cooperazione», come recita il comunicato ufficiale.
EFFETTIVAMENTE È da un bel po’ che a questo confine orientale d’Italia sarebbe il caso di prestare attenzione perché vien da pensare che c’è qualcuno che rimesta nel torbido.


Foibe, la memoria corta degli italiani


Foibe. Se nello sterminio degli ebrei furono complici dei nazisti, nel caso delle foibe furono coinvolti da un insieme di circostanze più complesse, che solo la memoria corta degli italiani e l’ipocrisia di buona parte della classe dirigente hanno espulso dalla memoria collettiva
A poco più di due settimane dal giorno della Memoria in ricordo della Shoah, gli italiani sono chiamati a celebrare con il giorno del Ricordo l’orrore e la tragedia delle Foibe. In entrambi i casi come vittime, ma in entrambi i casi come vittime non innocenti. Se nello sterminio degli ebrei furono complici dei nazisti, nel caso delle foibe furono coinvolti da un insieme di circostanze più complesse, che solo la memoria corta degli italiani e l’ipocrisia di buona parte della classe dirigente hanno espulso dalla memoria collettiva.
Già altre volte abbiamo sottolineato le responsabilità del regime fascista nella snazionalizzazione degli sloveni e dei croati che dopo il 1918 vennero a trovarsi entro i confini dello stato italiano. Nel 1941 l’aggressione dell’Italia alla Jugoslavia e l’annessione violenta della provincia di Lubiana a Regno d’Italia contribuirono in modo decisivo alla dissoluzione dello stato Jugoslavo e alla apertura della fase storica che sfociò nella Jugoslavia di Tito. In ciascuna di queste fasi le autorità politiche e militari italiane, al di là di ogni problema geopolitico, si mossero nel presupposto che le popolazioni slave rappresentassero, come ebbe a dire nessun altri che Mussolini, una razza inferiore e barbara nei cui confronti fosse possibile e lecito imporre il pugno duro e purificatore dei dominatori.
Le foibe si inseriscono in questo contesto e nella spirale di violenze che fecero seguito. Al di fuori di questo quadro non c’è la possibilità di comprendere le ragioni degli orrori dei quali parliamo e dei quali rischiamo di tornare a rimanere vittime. Nessuna menzogna potrebbe capovolgere questa realtà della storia o avvelenare la nostra memoria, impedendo la consapevolezza e le nefandezze di un passato che avremmo potuto considerare ormai alle nostre spalle. Se così non è dobbiamo tornare a riflettere sulla superficialità con la quale i politici di turno si sono impossessati di una questione di forte impatto emotivo per alterare la storia e la memoria e sfruttare la credulità di una opinione pubblica anestetizzata dalla retorica patriottarda.
A pensarci bene la questione delle foibe serve a coprire il vuoto di consapevolezza a decenni di distanza della vera realtà della sconfitta del Paese, ma anche della capacità della popolazione di rialzare la testa e di affrontare i sacrifici che hanno consentito la ricostruzione. Mettere al centro dell’attenzione le foibe non serve a sottolineare le offese subite ma a perpetuare uno sterile vittimismo che non contribuisce a fare i conti mancati con il passato, ma neppure a consolidare il consenso a questa nostra democrazia minacciata da tante insidie. Una di queste è la negazione della verità che mistifica la menzogna e alimenta l’ipocrisia.
L’enfatizzazione delle foibe ha ritardato la riconciliazione con le vicine popolazioni slave, ha reso più difficile la cicatrizzazione delle ferite della guerra, ha oscurato i drammi veri delle popolazioni costrette a lasciare le loro case e la loro terra, le uniche che abbiano pagato per tutti gli italiani le malefatte di un regime criminale senza che ci siano stati gesti ufficiali da parte dello Stato democratico di rottura e di risarcimento nei confronti di un passato da condannare senza riserve.
La prassi tutta italiana di coprire con l’oblio passaggi storici che avrebbero meritato un forte impegno di autocritica e di verità in questo, come in tanti altri casi, si è alleata alla rimozione di memorie scomode e allo loro banalizzazione. L’orrore delle foibe deve servire a richiamarci periodicamente alle nostre responsabilità storiche e non certo a rinnovare il rito del nostro vittimismo. E alla fine spiace constatare che il presidente della Repubblica Mattarella non condivida questa per noi ovvia conclusione.

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