Sempre piu' legati alla Nato , ecco il destino italiano?
Con Guerini ancora più
legati al Pentagono
di Manlio Dinucci
«Relazione storicamente privilegiata, che bisogna rafforzare il più possibile»: così, nella sua visita a Washington (29-31 gennaio), il ministro della Difesa Lorenzo Guerini (Pd) ha definito il legame dell’Italia con gli Stati uniti.
Il segretario Usa alla Difesa Mark Esper ha definito l’Italia «solido
alleato Nato» che, ospitando oltre 34.000 militari e altri dipendenti
del Pentagono, «svolge un ruolo vitale nella nostra proiezione di forza
in Europa, nel Mediterraneo e Nord Africa».
Il
ruolo dell’Italia è più importante di quanto dica lo stesso Esper. Il
Pentagono può lanciare dal nostro territorio, attraverso i comandi e le
basi Usa/Nato, operazioni militari in un’area che dall’Atlantico si
estende alla Russia e, a sud, all’intera Africa e al Medio Oriente. Sempre col consenso e la collaborazione dello Stato italiano.
«Entrambi i paesi – sottolinea il comunicato ufficiale del Pentagono – riconoscono
l’influenza destabilizzante dell’Iran in Medio Oriente e concordano nel
continuare a operare insieme per contenere le sempre più dirompenti
attività iraniane». Viene così cancellata la posizione formale assunta
dal Governo italiano (e quindi dallo stesso Guerini) che, dopo
l’uccisione di Soleimani ordinata da Trump e la reazione iraniana, aveva
sottolineato la necessità di «evitare una ulteriore escalation e
favorire un abbassamento della tensione attraverso la diplomazia».
Confermando
che a decidere è Washington e non Roma, Guerini ha dichiarato, nella
conferenza stampa al Pentagono, che «l’Italia ha deciso di rimanere in
Iraq dopo una conversazione telefonica col segretario Esper».
Guerini
– informa il Ministero della Difesa –è stato ricevuto anche dal
consigliere del presidente Trump Jared Kushner, «promotore del recente
piano di pace per il Medio Oriente», ossia del piano di creare uno
«Stato palestinese» sul modello delle «riserve indiane» create dagli Usa
nell’Ottocento.
Il
ministro Guerini ha avuto da Esper anche qualche tirata d’orecchi:
l’Italia deve impegnarsi di più per portare la propria spesa militare
(circa 70 milioni di euro al giorno) almeno
al 2% del Pil (circa 100 milioni di euro al giorno); deve inoltre
limitare o bandire l’uso di tecnologia cinese 5G, in particolare della
Huawei, che «compromette la sicurezza dell’Alleanza».
Subito dopo, però, il ministro Guerini ha avuto la sua più grande soddisfazione: il capo del Pentagono lo ha ringraziato per
«aver rafforzato il ruolo dell’Italia quale fondamentale partner degli
Stati uniti nell’industria della Difesa, e per il suo forte sostegno al
programma del caccia F-35 nel quale l’Italia, partner di secondo
livello, ha fatto importanti investimenti in ricerca e sviluppo».
A
Washington, si legge in un comunicato pubblicato a Roma, il ministro
Guerini ha incontrato «esponenti dell’industria italiana della Difesa e i
principali think tank del settore».
Al
primo posto, sicuramente, i dirigenti della Leonardo – la maggiore
industria militare italiana, di cui il Ministero dell’economia e delle
finanze è il principale azionista – che negli Usa fornisce prodotti e servizi alle forze armate e alle agenzie d’intelligence, e in Italia gestisce l’impianto di Cameri dei caccia F-35 della Lockheed Martin.
Guerini ha incontrato a Washington anche i dirigenti di Fincantieri, controllata per oltre il 70% dal Ministero
dell’economia e delle finanze. Negli Usa il Fincantieri Marine Group
costruisce navi da combattimento litorale per la US Navy.
Quattro
navi dello stesso tipo vengono ora costruite da questa azienda
Fincantieri per l’Arabia Saudita in base a un contratto da 2 miliardi di
dollari stipulato dalla Lockheed Martin.
Nel
2019, mentre Fincantieri, controllata dal Governo, firmava il contratto
di costruzione delle navi da guerra per l’Arabia Saudita, la Camera
approvava una mozione, presentata dalla maggioranza di governo, che
chiedeva l’embargo sulla vendita di armamenti all’Arabia Saudita.
(il manifesto, 4 febbraio 2020)
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