Rompiamo la catena dello sfruttamento
riceviamo e pubblichiamo
Organizzarsi
per rompere le catene dello sfruttamento
Davanti
all’attacco borghese la lotta della classe oppressa e sfruttata
deve superare le decine di organizzazioni sedicenti comuniste che
disperdono in mille rivoli le poche avanguardie coscienti, facendoli
combattere in ordine sparso
Anni
di battaglie operaie, proletarie e sociali hanno prodotto molte
avanguardie di lotta. Oggi è arrivato il momento - e ne siamo in
grado - di cominciare a fare un bilancio basandoci su dati concreti.
Lotte
di resistenza, a volte eroiche, che però non sono riuscite a formare
avanguardie comuniste. La mancanza di un’organizzazione politica
unitaria della classe rappresenta il fallimento di tutti noi
impegnati da decenni nel tentativo di costruire un’organizzazione
dei comunisti in Italia e, sebbene ne siamo in parte tutti
responsabili, la responsabilità più grave è quella degli
intellettuali e dei dirigenti dei vecchi partiti pseudo comunisti e
revisionisti.
Alcune
di queste forze – il PCI e successivamente Rifondazione Comunista e
il Pdci - una volta nell’area del governo sono state responsabili
delle guerre imperialiste, chiamandole “umanitarie” o “missione
di pace”, difendendo gli interessi del capitale e dell’imperialismo
italiano nel mondo, tradendo la stessa “Costituzione nata dalla
Resistenza” (Costituzione borghese frutto di rapporti di forza dopo
la lotta antifascista/antinazista), negando persino l’art. 11 che
recita: “L'Italia
ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri
popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie
internazionali…”.
Gli
operai comunisti che hanno preso coscienza e conoscono le leggi che
stanno alla base della società capitalista sono quadri capaci di
organizzare, orientare, dirigere sia le lotte sindacali, economiche e
sociali che politiche, sia parziali o generali, e oggi sono in grado
di non delegare più agli intellettuali la costruzione del loro
partito.
Gli
intellettuali di cui oggi ha bisogno la classe operaia sono gli
operai che, attraverso lo studio e la comprensione dei classici del
marxismo-leninismo, hanno assimilato nello scontro di classe e nel
rapporto prassi-teoria-prassi la giustezza di questa teoria.
Gli
intellettuali e i militanti comunisti provenienti da altre classi
sociali diventano intellettuali rivoluzionari e sono benvenuti nelle
nostre file solo se si pongono al servizio della classe e del loro
partito.
L’esperienza
storica ci insegna che pochi quadri comunisti ma organizzati, possono
essere egemoni sulla grande massa e che anche un’organizzazione
piccola può essere alla testa di grandi masse.
In
questi anni la mancanza di una politica di classe, marxista, ha
contribuito a sottomettere gli operai ai partiti borghesi. Evidente a
tale riguardo è la divisione prodotta dalla separazione fra lotta
economica e politica, che ha visto da una parte coloro che lottavano
per costruire il “sindacato di classe” e dall’altra quelli che
concepivano la lotta politica come mera lotta parlamentare e
istituzionale. Concezioni che hanno cristallizzato la frammentazione
e favorito la dispersione delle lotte in mille rivoli di conflitti
parziali, in aziende, fabbriche, settori produttivi e territorio
portandole, a volte anche di là dalle loro intenzioni, tra le
compatibilità borghesi.
La
divisione delle organizzazioni rivoluzionarie - in Italia come
altrove - non è solo soggettiva e organizzativa, deriva da
condizioni materiali e storiche. Il capitalismo e l’imperialismo,
da sempre, corrompono strati di aristocrazia operaia e dirigenti di
movimenti pseudo-rivoluzionari, concedendo briciole derivanti dai
sovrapprofitti a capi e capetti che si ritagliano i loro piccoli
spazi e prosperano nelle nicchie del sistema.
Quindi,
anche se la classe è una, oggi purtroppo sono molte le
organizzazioni e i partiti sedicenti “comunisti” che si arrogano
il diritto di rappresentarla presentandosi come l’unico vero e
autentico partito comunista. Spesso queste organizzazioni e
mini-partiti - alcuni senza un operaio al loro interno - in
concorrenza feroce fra loro, non riescono a trovare momenti di unità
d’azione neanche nella lotta anticapitalista.
L’avanguardia
rivoluzionaria, i futuri capi del movimento operaio non possono
essere che gli operai intellettuali, che uniscono pensiero e azione,
operai che partecipano alla lotta di classe avendo assimilato la
teoria rivoluzionaria della liberazione proletaria.
Oggi
molte “avanguardie comuniste” si sono diluite nelle lotte o
inserite nei giochi del parlamentarismo borghese, costituendo
agguerriti stati maggiori i cui capi sono sempre ospitati dai media
borghesi in TV o sui giornali nella misura in cui si limitano a
criticare aspetti secondari del capitalismo, limitandosi a proporre
“miglioramenti”, senza mai evidenziare un progetto o una visione
alternativa al capitalismo e dichiarare apertamente di lottare per
distruggere lo Stato borghese a favore del potere proletario e del
socialismo.
Per
questo è più valida che mai l’affermazione che “l’emancipazione
della classe deve essere opera della stessa classe operaia”, anche
se - come ricordavano Marx ed Engels nel Manifesto del Partito
Comunista - “... questa organizzazione dei proletari in classe, e
quindi in partito politico, torna ad essere spezzata in ogni momento
dalla concorrenza tra gli operai stessi”.
La
classe operaia e il proletariato mondiale da troppo tempo non hanno
un loro partito, una internazionale operaia comunista con sezioni nei
vari paesi, con una strategia unitaria contro il capitalismo e
l’imperialismo.
La
guerra di classe - che il capitalismo internazionale, l’imperialismo
(nonostante le contraddizioni fra blocchi imperialista contrapposti)
conduce giornalmente contro i popoli oppressi e il proletariato per
rapinare le materie prime, nella ricerca del massimo profitto -
continua a produrre morti, feriti e invalidi in tutto il mondo e
mai, come in questo momento, mette in pericolo persino la stessa
sopravvivenza del nostro pianeta.
La
lotta fra le classi, sebbene latente in molte parti del mondo, in
altre si manifesta violentemente.
Le
recenti lotte e sollevazioni popolari contro i governi (Francia) e
regimi al servizio degli imperialisti in Cile, Ecuador, Bolivia,
Haiti e la resistenza antimperialista–antisionista del popolo
palestinese, dei popoli e governi venezuelano e siriano e altri che
resistono alla penetrazione imperialista, per quanto importanti e che
per questo vanno sostenute, hanno però il limite di non porsi
l’obiettivo della distruzione del sistema capitalista/imperialista
e della conquista del potere politico in mano alla classe operaia
rivoluzionaria.
La
storia dimostra che anche le lotte più radicali per cambiare la
realtà economica, politica e sociale responsabile dello sfruttamento
capitalista necessitano di uno strumento in grado di unificare il
proletariato e la classe operaia sui suoi interessi immediati e
storici, per superare la frammentazione del proletariato, la
divisione, e per la sua ricomposizione politica verso l’obiettivo
dell’abbattimento del sistema capitalista.
Oggi
serve un’organizzazione unica del proletariato rivoluzionario, la
sola in grado di dirigere questo processo. Da troppi anni la classe
operaia italiana è priva di un’organizzazione politica, di un
partito comunista che dichiari apertamente di battersi per la
distruzione del sistema borghese e per il socialismo.
Davanti
all’attacco borghese, oggi la lotta della classe oppressa e
sfruttata ha necessità di superare le decine di organizzazioni
sedicenti comuniste che disperdono in mille rivoli le poche
avanguardie coscienti, facendoli combattere in ordine sparso.
Quindi
oggi non abbiamo bisogno di una formazione politica che agisca “in
nome” del proletariato, ma di un’organizzazione, di un reparto
d’avanguardia della classe operaia composta in maggioranza da
appartenenti all’unica classe realmente antagonista al capitale: la
classe operaia. Un’organizzazione di operai e proletari
rivoluzionari, di militanti comunisti che hanno assimilato e
praticano quotidianamente nello scontro di classe e nel conflitto
sociale la teoria della liberazione del proletariato dallo
sfruttamento.
Bisogna
ripartire dalla materialità dei rapporti di produzione, dalla
centralità della classe operaia e proletaria che, al di là della
sua coscienza attuale, ha interessi antagonistici al capitale.
Rimettere al centro del lavoro politico rivoluzionario la centralità
della classe significa usare e applicare il marxismo leninismo come
una guida per l’azione. Il proletariato liberando se stesso libera
tutta l’umanità.
Michele
Michelino, dalla rivista “nuova
unità”,
febbraio 2020
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