I luoghi comuni sulle partecipate
Quando si parla di aziende partecipate bisogna sempre ricordare che si tratta di aziende un tempo pubbliche nelle quali i soldi dei contribuenti hanno rappresentato, e in parte rappresentano ancora oggi, un supporto indispensabile.
Che poi alcune partecipate siano state create per bisogni della politica è anche vero ma non possiamo fare di ogni erba un fascio, piuttosto aprire un ragionamento sugli utili, sul loro impiego a fini sociali e lavorativi, sulle modalità di gestione di queste aziende spesso "piu' private" delle private al 100%.
Sarà per questa ragione che sentir parlare di esuberi e mobilità interne per dipendenti di partecipate è poco attinente alla realtà visto che gli addetti alle partecipate crescono negli anni per esigenze produttive, oggi sono circa 885 mila, poche centinaia di unità in piu' di quanto fossero due anni fa.
Anche la spending review e la soppressione delle partecipate "inutili" non ha prodotto grandi risultati, visto che in due anni il calo è inferiore al 2 per cento. Sarà perchè quasi 4 partecipate su 10 sono SPA, poi ci sono aziende con a capo un dirigente della Pubblica amministrazione, pari al 18% del totale, mentre la parte del leone la fanno le aziende partecipate dal pubblico ma con managers.
Bisogna infatti distinguere tra aziende partecipate direttamente da una amministrazione pubblica da imprese sotto il controllo di partecipate , distinzioni per addetti ai lavori ma sicuramente rilevanti ai fini della conoscenza del settore.
La domanda da porci è quindi un'altra: cosa sono le partecipate odierne, il controllo del pubblico ove pubblico detiene partecipazioni significative avviene oppure no, quali sono gli indirizzi e i controlli effettuati dalla parte pubblica? Quali le politiche del personale e destinate all'occupazione? E sul frronte delle tariffe? Domande dirimenti per non cadere nel tranello di ripensare le partecipate solo nell'ottica di s\vendere le azioni pubbliche o favorire processi di trasformazione a vantaggio solo del privato. Anche di questo il sindacato dovrebbe occuparsi direttamente ma è come predicar nel deserto tra chi invoca il modello tedesco (la partecipazione dei sindacati ai cda delle imprese) e quanti invece non riescono neppure a immaginare una riflessione seria su queste aziende
Che poi alcune partecipate siano state create per bisogni della politica è anche vero ma non possiamo fare di ogni erba un fascio, piuttosto aprire un ragionamento sugli utili, sul loro impiego a fini sociali e lavorativi, sulle modalità di gestione di queste aziende spesso "piu' private" delle private al 100%.
Sarà per questa ragione che sentir parlare di esuberi e mobilità interne per dipendenti di partecipate è poco attinente alla realtà visto che gli addetti alle partecipate crescono negli anni per esigenze produttive, oggi sono circa 885 mila, poche centinaia di unità in piu' di quanto fossero due anni fa.
Anche la spending review e la soppressione delle partecipate "inutili" non ha prodotto grandi risultati, visto che in due anni il calo è inferiore al 2 per cento. Sarà perchè quasi 4 partecipate su 10 sono SPA, poi ci sono aziende con a capo un dirigente della Pubblica amministrazione, pari al 18% del totale, mentre la parte del leone la fanno le aziende partecipate dal pubblico ma con managers.
Bisogna infatti distinguere tra aziende partecipate direttamente da una amministrazione pubblica da imprese sotto il controllo di partecipate , distinzioni per addetti ai lavori ma sicuramente rilevanti ai fini della conoscenza del settore.
La domanda da porci è quindi un'altra: cosa sono le partecipate odierne, il controllo del pubblico ove pubblico detiene partecipazioni significative avviene oppure no, quali sono gli indirizzi e i controlli effettuati dalla parte pubblica? Quali le politiche del personale e destinate all'occupazione? E sul frronte delle tariffe? Domande dirimenti per non cadere nel tranello di ripensare le partecipate solo nell'ottica di s\vendere le azioni pubbliche o favorire processi di trasformazione a vantaggio solo del privato. Anche di questo il sindacato dovrebbe occuparsi direttamente ma è come predicar nel deserto tra chi invoca il modello tedesco (la partecipazione dei sindacati ai cda delle imprese) e quanti invece non riescono neppure a immaginare una riflessione seria su queste aziende
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