Perchè la lotta dei portuali genovesi va sostenuta e ampliata sul territorio italiano
Intervento all'assemblea indetta dalla Federazione Anarchica Livornese
Da mesi i portuali di Genova sono in lotta contro il commercio di armi e il transito delle stesse lungo le banchine.
I
portuali di Genova mostrano una grande sensibilità poltica e sindacale
che non ritroviamo tra i colleghi di tante altre città italiane nelle
quali le armi transitano senza alcuna protesta.
L'importanza di questi scioperi è dimostrata anche da altri fatti oltre a
quelli legati alla guerra sui quali torneremo piu' avanti. Ci
rifeferiamo alla catena logistica che attraversa i porti, la logistica è
sempre
più un fattore di produzione, per questo motivo ha poco senso escludere
questa categoria dai lavoratori dall'industria poichè innumerevoli
settori terziari rispondono da tempo a regole e modalità organizzative
analoghe a quella della fabbrica.
E non è
casuale che le associazioni datoriali vogliano escludere dalle materie
negoziabili nel nuovo contratto nazionale proprio l’organizzazione del
lavoro nei porti, gli orari e i tempi, le modalità con le quali il
lavoro viene gestito. E proprio l’automazione è organizzazione del
lavoro nel senso più puro e preciso
del termine
Per queste ragioni i padroni
del porto non ne vogliono parlare con il sindacato, liberi di portare
avanti processi di ristrutturazione che modificheranno radicalmente il
modo di lavorare nei porti abbattendo il numero della forza lavoro e
costruendo meccanismi di controllo che si ripercuoteranno negativamente
su noi tutti, con aumento dei carichi di lavoro e con l'uso delle
tecnologie a fine capitalistico, non certo per migliorare le condizioni
di vita, lavorative, contrattuali e retributive, men che mai per creare
nuova occupazione.
Nel corso del tempo il lavoro
portuale ha subito alcune trasformazioni diventando sempre meno lavoro portuale tradizionale.
La
posta in gioco è elevata, non ultima i processi di automazione e di
riorganizzazione della logistica attorno ai poli portuali e
aeroportuali, la frammentazione della forza lavoro tra differenti datori
e molteplici contratti determina crescenti difficoltà a costruire una
vertenza comune che metta insieme lavoratori e lavoratrici uniti da
rivendicazioni comuni.
L'importanza dei porti è
dimostrata da quanto accade anche sul nostro territorio con il
collegamento via acqua della Base militare Usa di Camp Darby al Porto di
Livorn, analogo discorso vale per il potenziamento della stazione di
Tombolo, abbandonata da lustri, in funzione del trasporto di armi via
ferrovia.
Non essere riusciti a costruire
un movimento sindacale e popolare contro il potenziamento della base Usa
di camp darby è stato un grave limite, l' insuccesso è anche
riconducibile all'approccio ideologico di molti ad un problema che poi è
legato alle crescenti servitu' miliari, ai processi di ammodernamento
delle basi stesse rese piu' funzionali al trasporto di armi e truppe, al
supporto nevralogico verso le aree di guerra che vedono sempre piu'
impegnate Usa e Nato.
La radicalità della
azione intrapresa dai portuali genovesi, a partire dagli scioperi contro
la nave saudita nella primavera scorsa, dimostrano concretamente che la
forza lavoro puo' esercitare un ruolo dirimente e di forte impatto
sull'opinione pubblica, se sappiamo unire istanze di lotta legate ai
contratti, alla salvaguardia della salute e sicurezza dei lavoratori
rifiutando il concetto che ogni opportunità occupazionale debba essere
valorizzata, anche quando si tratta del trasporto di armi ad alimentare
conflitti contro i popoli con stragi, devastazione dei territori e la
catena di servitu' , miseria e carestie che i conflitti bellici
determinano da sempre.
Da anni ormai non si
parla piu' di riconversione dell'industria di guerra, se ne parla solo
in termini strumentali e mai come elemento portante di una
rivendicazione complessiva, tanto che la perdita di memoria e di
coscienza finisce con il giocare brutti scherzi anche agli smemorati
politici locali che anni fa votarono ordini del giorno nei consigli
degli enti locali per la riconversione delle basi militari salvo poi,
negli ultimi anni, accordare favori, aiuti, supporti tecnici e
logistici, finanziamenti al potenziamento delle basi militari in
territorio italiano.
Per queste ragioni
crediamo che la lotta intrapresa dai portuali di Genova sia da esempio
per i portuali di tutte le altre città italiane e l'occasione per
rilanciare le parole d'ordine antimilitariste antimperialiste un tempo
patrimonio del movimento operaio.
In alcuni
porti, come in tanti territori italiani, l'arrivo di finanziamenti da
parte di multinazionali, è avvenuto di pari passo alla militarizzazione
dei territori, sindacati complici ed enti locali hanno accolto a braccia
aperte i cosiddetti salvatori dei posti di lavoro, salvo poi scoprire
che i posti di lavoro non sono stati salvati e al contempo abbiamo
sostenuto tacitamente i processi di privatizzazion e di militarizzazione
dei nostri territori anche quando hanno portato malattie (come in
Sardegna attorno al famigerato poligono militare), servitu' e la debacle
politica e sindacale
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