A DAVOS LA PAURA FA 90



 di Marco Bersani

Al congresso sono tanti / dotti, medici e sapienti / per parlare, giudicare / valutare e provvedere” . Non serve scomodare Edoardo Bennato per percepire come a Davos, tra sorrisi rassicuranti e sguardi cortesi, la paura dei potenti abbia assunto, per la prima volta, le vesti della padrona di casa. Il fatto è che sono giunti contemporaneamente al pettine due nodi potenzialmente devastanti per il destino del capitalismo, tanto caro ai partecipanti, accorsi da tutto il pianeta. 
 
Il primo nodo è paradossalmente dovuto al successo del sistema che, nell'epoca della finanziarizzazione spinta, ha prodotto un tale accentramento di ricchezze e, specularmente, una tale diffusione di povertà, da scatenare rivolte di massa in diversi paesi e regioni (dal Medio Oriente all'America Latina, dall'India alla Francia), contro le politiche di austerità e contro le élite politico-economiche, divenute, in questi decenni, vere e proprie oligarchie. 
 
Ecco allora Klaus Schwab, nientemeno che fondatore e direttore del World Economic Forum, fare un accorato appello (intervista a 'La Repubblica' 18 dicembre 2019) affinché inizi “l'era del capitalismo responsabile”, motivandola con il fatto che oggi il mito della globalizzazione positiva non regge più perché “grazie al web c’è una nuova consapevolezza per cui l’accesso a salute, scuole e condizioni di vita decenti per tutti è diventato fondamentale. Nessuno può essere lasciato indietro. E chi resta indietro ha la capacità di mobilitarsi con facilità, come dimostrano i gilet gialli”. 
 
A questa prima preoccupazione, se n'è aggiunta con prepotenza un'altra, dettata dall'accelerazione della crisi climatica, 



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