Adolescenza, educazione e affetti nell’epoca dell’insicurezza globale
Adolescenza, educazione e affetti nell’epoca dell’insicurezza globale
di Laura Tussi
L’adolescenza è sempre stata una fase fragile, fatta di passaggi incerti, domande aperte, tentativi. Ma in questi anni – segnati da crisi globali, tensioni internazionali, immagini di guerra vicine e lontane – quel terreno emotivo si è fatto ancora più instabile. Molti ragazzi, già percepiti come “difficili” per comportamenti che non rientrano nei modelli condivisi, esprimono un disagio che non nasce soltanto dalle dinamiche familiari o scolastiche, ma anche da un senso diffuso di vulnerabilità collettiva. Vivere in un clima permeato da minacce belliche, instabilità politica e paura per il futuro amplifica le fragilità interiori e rende più complesso il compito educativo.
Disagio, affetti e intenzionalità spezzata
Gran parte dell’approccio pedagogico e psicologico continua a ricordarci che il percorso rieducativo parte dalla storia personale del ragazzo: dalle relazioni affettive primarie, dai modelli comunicativi della prima infanzia, dal contesto familiare. È lì che affondano le radici di molti comportamenti problematici.
Ma oggi a tutto questo si aggiunge un ulteriore fattore: la percezione di un mondo instabile e minaccioso. Quando le notizie di conflitti imminenti, aggressioni internazionali e discorsi sulla guerra attraversano i social, i telefoni, le conversazioni quotidiane, i ragazzi finiscono per respirare un clima di insicurezza che non sanno decifrare. E spesso reagiscono a modo loro: con chiusura, rabbia, svalutazione del sé o fuga in comportamenti distruttivi.
Nei casi più gravi, la mancanza di intenzionalità – quella capacità di attribuire senso e significato alla realtà – si traduce in un vero smarrimento. L’adolescente allora cerca un appiglio in un coetaneo o in un adulto, proiettando su di lui la propria fragilità. Oppure tenta di affermarsi attraverso un eccesso dell’io, in un narcisismo esibito che rivela, al contrario, una profonda incapacità di comunicare con l’altro.
In questo quadro, l’intervento educativo ha una missione complessa: ricostruire l’intenzionalità ferita, aiutare il ragazzo a riconoscere il mondo non come una minaccia, ma come uno spazio in cui poter agire, creare, trasformare. L’educazione al bello, alla responsabilità, all’impegno – oggi più che mai – diventa un antidoto al disorientamento generato anche dal contesto geopolitico.
Educare in un tempo che cambia: il contributo del Minotauro
Il centro “Il Minotauro” di Milano lavora da decenni su questi temi, portando avanti il metodo dei codici affettivi ereditato da Franco Fornari. La sua sfida è sempre stata uscire dal setting psicoanalitico tradizionale per portare la comprensione dei conflitti affettivi nei contesti reali: scuole, gruppi, istituzioni.
La ricerca continua rappresenta il cuore di questo lavoro: non si può educare senza conoscere il gruppo, l’istituzione, le culture adolescenziali dentro cui i ragazzi vivono. E queste culture cambiano rapidamente, soprattutto in un tempo in cui il futuro appare minacciato e l’immaginario collettivo è attraversato da paure nuove.
A differenza della psicoanalisi classica, il Minotauro rifiuta l’idea che l’adolescenza sia una semplice riedizione dell’infanzia. L’attenzione si sposta invece sul futuro: **sono le rappresentazioni del domani** – spesso incerte, cupe, angosciate – a orientare oggi l’evoluzione psicologica del giovane. Ed è proprio l’assenza di un futuro percepito come possibile che genera molti blocchi evolutivi.
Per questo è essenziale conoscere fenomenologicamente come vivono i ragazzi: quali mode seguono, quali linguaggi usano, quali narrazioni li influenzano, quali angosce collettive interiorizzano. Anche la paura della guerra, ormai parte del loro orizzonte quotidiano, entra di diritto fra queste narrazioni.
Clinica, consultazione e nuovi strumenti per comprendere il disagio
La consultazione psicologica continua a rappresentare lo spazio più accessibile attraverso cui molti adolescenti possono transitare utilmente, mentre la psicoterapia resta adatta a casi specifici e più complessi.
Ma per essere davvero efficace, ogni intervento richiede una conoscenza preliminare non solo della psicodinamica del singolo, ma anche degli affetti sociali e culturali attraverso cui i giovani esprimono il loro disagio. E questo significa capire come vivono i conflitti del mondo, quali paure interiorizzano dalle cronache internazionali, in che modo l’instabilità globale influisce sulla loro identità in formazione.
Il distacco dal modello clinico tradizionale, che il Minotauro propone, è allora un passo necessario: permette di leggere i ragazzi non solo attraverso le categorie dell’infanzia, ma alla luce di un presente complesso e di un futuro da ricostruire insieme.
Oggi, più che mai, educare significa restituire ai giovani un orizzonte possibile, una prospettiva che li tenga lontani dal nichilismo, dalla disperazione e da quel senso di impotenza che li attraversa quando percepiscono il mondo come un luogo senza pace.
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