Per andare oltre il capitalismo

 Per andare oltre il capitalismo


Tiziano Tussi

 

da www.resistenze.org






Un convegno tenuto a Varese dal titolo Ripensare oggi Karl Marx, scienziato e rivoluzionario, 30 e 31 ottobre, organizzato da Fabio Minazzi, docente dell'università dell'Insubria. Un tema fuori dagli schemi per questo nostro tempo mondo così appiccicoso. Mi pare in ogni caso il motivo per una discussione su alcuni aspetti che riguardano Marx ed il marxismo attuale e verso tutto lo scenario che si richiama al superamento del capitalismo.

Il manifesto del 29 ottobre pubblica un estratto della relazione di Stefano Petrucciani al convegno. Leggendolo non si può fare a meno di pensare alle questioni più significative dell'opera di Marx il cui indirizzo di lavoro resta inalterato come s/fondo di ogni serio riflettere sulle tematiche del capitalismo. Una mancanza in questi nostri tempi moderni, nello srotolarsi della discussione potrebbe essere una puntuale attenzione alla questione del potere proletario da costruire dato anche che il capitalismo è ancora qui, ben vivo e vegeto, alla sommità della nostra vita sociale.

Petrucciani vede nell'opera di Marx i preannunci della scomparsa, della disintegrazione del capitalismo. Questi alleva, dice, i propri becchini, gli operai. Marx non poteva che dire così. Nella sua vita l'allargamento a macchia d'olio del capitalismo strutturale, delle fabbriche, aveva infatti questa controindicazione mortale che lo caratterizzava, o almeno così pareva. Ma decenni dopo possiamo dire che questa forma di becchinaggio è scomparsa, con gli operai e con i partiti comunisti storici, quindi con le loro azioni politiche di rilievo.

Ed anche che l'organizzazione capitalistica che ha saputo spezzare le catene del medioevo (Manifesto del Partito comunista) ora ha reintrodotto rapporti sociali che aveva distrutto, medioevali, per difendere la sua esistenza, accompagnandosi a un ritorno della schiavitù, tra i lavoratori, quelli che ancora lavorano, e che non sono stati sostituti dalle macchine o dai robot.

Schiavitù e capitalismo convivono. La classe operaia si è molto ridotta e non è stata sostituita dai nuovi lavori e da lavoratori in termini corrispondenti che hanno preso da lei il testimone dell'interramento del capitalismo. Almeno a livello quantitativo, di una certa importanza, è stato così. Risultato: aumento della povertà e della miseria nel mondo, con la presenza di guerre prolungate e genocidiarie, condotte contro un altro popolo, una etnia, un gruppo umano più meno allargato. Disseminando miseria attorno allo scontro, e non risolvendo nulla di definitivo, pronti per ritornare a combattere ancora per quelle stesse motivazioni.

L'allargamento del welfare, altra conquista operaia si sta sbriciolando. Quindi anche le trincee socialdemocratiche stanno andando, sono andate, in fumo. Pure Petrucciani nella sua relazione ci dice che non è chiaro chi possa prendere il posto degli operai. Riposta: nessuna altra classe. E se si rimane solo sul terreno della dialettica teorica, la sconfitta reale è sicuramente lì ad aspettare le classi meno abbienti.

Quello che sembra mancare alla discussione attuale, partendo ovviamente dal lavoro di Marx ed Engels, è una presa di petto del senso profondo del potere. I suoi meccanismi non sono sconosciuti a Marx, ed a Engels, ma credo si debba riflettere proprio sul senso profondo e strutturale del potere in sé, come foriero di possibilità di sconvolgente cambiamento sociale. L'unico che lo può produrre. Qui dobbiamo riandare alla figura di Stalin. Considerato come la personificazione della negatività politica ed umana da molte parti politiche, anche da sinistra, interpreta il senso profondo del potere comunista in epoca moderna.

Ora non sto dicendo che aveva visto tutto e fatto tutto bene, che era virtuoso. Sto dicendo che in sé Stalin rappresenta la solidificazione delle possibilità comuniste in versione comunista. Certo avrebbe potuto comportarsi meglio (?) in alcuni passaggi politici; certo poteva essere più democratico, oggi si dice "inclusivo", dato che anche la Rivoluzione francese fa parte del nostro baule dei ricordi; certo avrebbe potuto essere più scaltro ed acculturato (il paragone con Lenin gli è sfavorevole), ma rimane lui e non Lenin proprio l'esempio del potere che può permettere al comunismo di essere e di essere qualcosa.

Questa organizzazione del potere, di Stalin, questa struttura è l'unica che potrebbe permettere di cambiare veramente lo stato delle cose esistenti in senso comunista. Infatti, quello che manca a chi dice che "bisogna andare oltre il capitalismo", quello che non viene detto è il cosa si trova oltre quel confine, salvo elencare una serie di bei propositi che lasciano il tempo che trovano: ecologia, inclusione, uguali diritti sociali ecc. La bontà e/o la bellezza sono solo aspirazioni e/o comportamenti sperati. Il potere serve per fare, ergo il potere ed il fare agiscono in connessione stretta e naturale.

Il capitalismo si è rafforzato ed ha aumentato il senso della contraddizione portandola in sé stesso e usando la centralizzazione e concentrazione di ogni problema che viene ad esistere nel suo seno. Risultato, per ora: i grandi capitalisti di oggi non sono neppure lontanamente paragonabili a quelli di fine Ottocento e del Novecento. I loro guadagni viaggiano nell'ordine dei miliardi, di centinaia di miliardi, euro o dollari poco importa. E vi è uno di loro presidente del più importante Paese mondiale, gli USA.

Non è una controtendenza significativa il caso della Cina che resta sfuggente alla vulgata capitalista ma anche là, oltre la maschera comunista dello stato, vi sono decine di miliardari che evidentemente hanno una incidenza in quel Paese, su quella società. Certo lo yuan è circa l'ottava parte dell'euro ma in ogni caso stiamo parlando di miliardi di yuan. Quindi la particolarità dello stato cinese a livello economico è complementare e all'interno del treno capitalistico, con voglie di egemonia politica ed economica mondiale.

Perciò nessuno stato si è messo sopra il capitale, con la parziale eccezione della Cina. Altri esempi sono inutili, e perciò sono il capitale ed i capitalisti che fanno viaggiare le cose nel mondo. A questo occorrerebbe rispondere sul piano del potere, sia economico sia politico. A ben vedere, per chi si volesse confrontare con la forza del capitalismo, dovrebbe essere politico prima che economico. Ecco il senso profondo di Stalin, cioè la personificazione di questo binomio. Possiamo fare meglio di lui e di più, a livello almeno teorico, ma sulla carta, nella storia, un tentativo è già accaduto ed è per questo che Stalin rappresenta la bestia nera di qualsiasi politico ed economista moderno.

Il potere ci permetterebbe di portare su altri binari la vita sociale mondiale o perlomeno nazionale. Aver chiaro in mente questo aggancio misura la differenza tra sognatori e realisti. Poi tutto è ancora da organizzare di nuovo e bene e meglio in senso umano. L'umanità di ognuno e dei popoli dovrebbe rifulgere. Ora non è così, e perciò rifulge solo la pochezza e l'ignoranza dei più.

Approfondiamo questo avvicinamento al potere proletario.

"Evidentemente l'arma della critica non può sostituire la critica delle armi, la forza materiale non può essere abbattuta che dalla forza materiale, ma anche la teoria si trasforma in forza materiale non appena penetra tra le masse." (Critica della Filosofia del diritto di Hegel, Introduzione, 1843-1844). Due elementi: il primo riguarda la questione della violenza materiale - le armi - come strumento di lotta politica reale, contro la stessa realtà del capitalismo. Forza contro forza; il secondo, l'equiparazione della teoria, lotta teorica che si trasforma in arma quando diventa patrimonio comune del proletariato. La filosofia è lotta di classe nella teoria (Louis Althusser, 1976-1978).

Perciò l'attenzione verso forme di violenza e potere era già presente in Marx, ed in Engels. Con la consapevolezza del percorso che il proletariato doveva affrontare. Soprattutto era la fase della dittatura e del proletariato che accendeva contrasti con la galassia anarchica.

Negli Appunti sul libro di Bakunin "Stato e anarchia", si legge: "Noi abbiamo già manifestato la nostra profonda ripugnanza per la teoria di Lassalle e di Marx, la quale raccomanda ai lavoratori - se non come ideale finale almeno come principale scopo immediato - la creazione di uno stato popolare che, secondo la loro spiegazione, non sarà altro che il proletariato. Domandiamo: se il proletariato sarà il ceto dominante, su chi dominerà? Questo significa che rimarrà ancora un altro proletariato, il quale sarà sottomesso a questo nuovo dominio, a questo nuovo stato."

A queste affermazioni di Bakunin, Marx risponde: "Questo significa che, fino a quando esistono altre classi, e particolarmente la classe capitalista, fino a quando il proletariato lotta contro di essa [] deve adoperare dei mezzi violenti, cioè dei mezzi governativi; esso stesso rimane ancora una classe, le condizioni economiche su cui si basa la lotta di classe e l'esistenza delle classi non sono ancora scomparse, ma devono essere violentemente eliminate o trasformate, e il processo della loro trasformazione dev'essere violentemente accelerato."

Alcuni accenni rivelatori si hanno nel riferimento alla considerazione che durante la lotta per il controllo del potere di stato il proletariato è ancora una classe (esso stesso rimane ancora una classe). E questo lo mette nella situazione di dovere lottare con le altre classi che comunque esistono. Siamo ad un percorso che deve portare verso lo scioglimento del proletariato contro altre classi ad una forma di proletariato-stato. Le classi sono perciò sparite e quindi anche il proletariato non è più una classe. Se rimanesse in questa forma evidentemente la critica di Bakunin avrebbe un buon motivo per colpire nel segno, ma la situazione di lotta di classe deve volversi verso una situazione sociale senza più classi.

Questa riflessione la troviamo anche, ad esempio, in una parte di un libro collettaneo che si intitola appunto Il Potere, nel quale, in una ventina di pagine si possono leggere analisi quali quella che sto esaminando. Situazione che deve portare alla scomparsa della divisione in classi. Naturalmente questa è una condizione che deve apparire alla fine del percorso, che Marx si augura possa avvenire completamente, ma al di là da venire negli anni della sua vita. (Il potere, a cura di Giuseppe Duso, Carocci, 1999, pp. 363 - 385).

Sulla trasformazione del proletariato da classe antagonista ad unica classe economico-politica Marx prende come riferimento La Comune, tentativo francese durato poco, circa settanta giorni nel 1871, alla caduta di Napoleone III. In quella situazione si possono intravvedere in traluce quello che sarebbe potuto accadere, a livello di potere di stato e/o di potere sociale in genere, se non avessero soffocato questo tentativo. Soffocamento da parte dei vincitori tedeschi, ma anche da parte egli sconfitti francesi non comunardi e dalla critica feroce della totalità dell'Europa borghese ed imperiale di allora.

Per chiudere: l'obiettivo da raggiungere è delineato nella Critica al programma di Gotha: Da ognuno secondo le sue capacità ad ognuno secondo i suoi bisogni. (1875 - 1891) Inciso che nella sua brevità nasconde il processo che abbiamo cercato di delineare. Il tempo lungo della lotta di classe dovrebbe traboccare in questo definitivo assetto sociale.

 

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