L’Italia non ripudia affatto la guerra

 

L’Italia non ripudia affatto la guerra finché permette che il suo territorio produca strumenti di morte. La vergogna della fabbrica delle bombe insanguinate in Sardegna. Un presidio al Tribunale di Cagliari.

di Laura Tussi



Il 24 novembre ci troveremo davanti al Tribunale di Cagliari per esprimere la nostra solidarietà alla persona denunciata, e adesso sotto processo, per aver preso la parola contro la multinazionale di guerra Rheinmetall-Rwm durante un dibattito pubblico.

Rwm ha utilizzato anche in altre occasioni le querele temerarie per imporre il silenzio e soffocare qualunque voce critica rispetto al suo operato nel territorio. Nello specifico, rispetto al piano di ampliamento dell’azienda: le autorizzazioni ottenute hanno seguito un iter opaco e viziato da palesi illegittimità, illegittimità che sono state poi riconosciute dalla sentenza del Consiglio di Stato.
Proprio in questi giorni si aspetta la decisione finale della Giunta Regionale in merito alla VIA ex post sugli ampliamenti: mai come in questo momento é importante sostenere la lotta e continuare a fare pressione affinché si arrivi ad un parere negativo.

Contro la repressione e le intimidazioni rispondiamo con solidarietà e partecipazione.
Invitiamo tutti e tutte a prendere parte al presidio e a tutte le iniziative che verranno organizzate nei prossimi giorni e settimane. StopRwm

Ci sono parole che, da sole, raccontano un intero universo di dolore e di responsabilità. In Sardegna, a Domus Novas, le chiamano “bombe insanguinate” perché il sangue delle vittime fa parte ineludibilmente del “prodotto finito”. È un’espressione che nasce dal popolo, dalla consapevolezza delle persone che nell’Iglesiente vivono con dignità e che non accettano che la propria terra venga associata alla morte di altri esseri umani. Sono le madri e i padri che vogliono guardare i propri figli negli occhi sapendo di essersi schierati dalla parte giusta; sono i giovani che rifiutano l’idea che il futuro possa essere costruito sulla sofferenza di comunità lontane; sono i lavoratori che non vogliono veder trasformata la loro professionalità in complicità con crimini di guerra. La gente per bene, in Sardegna come ovunque, ha un senso naturale della giustizia, e quel senso oggi è ferito.

Costruire bombe per uccidere i bambini

Quelle bombe prodotte a Domus Novas sono state esportate per anni verso Paesi come l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, impegnati nel devastante conflitto in Yemen. Sono armi italiane che hanno attraversato mari e deserti per poi esplodere sui villaggi, sulle case, sui mercati, spezzando vite innocenti. È impossibile pensare che un ordigno possa essere definito “neutro” solo perché esplode lontano. Ogni bomba porta con sé una responsabilità morale, e quando quella bomba è costruita in un territorio italiano, quella responsabilità riguarda tutti noi. E tutti sappiamo che le vittime dei bombardamenti in Yemen come a Gaza sono in buona parte bambini, i più indifesi tra i civili.

La nostra Costituzione non lascia spazio all’ambiguità. L’articolo 11 afferma che l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli. Non la contempla, non la giustifica, non la relativizza: la ripudia. Eppure, nella realtà concreta, nel silenzio di molti apparati istituzionali, sul nostro territorio continua a prosperare un’industria che della guerra è parte integrante. È un paradosso che offende la ragione e la coscienza.

L’ipocrisia degli enti locali (e della Chiesa)

E a questo si aggiunge un altro livello di responsabilità, troppo spesso ignorato. Le autorità locali hanno precisi doveri di legge: devono tutelare la salute, l’incolumità e il benessere della popolazione. Il codice civile parla chiaramente. Eppure, davanti alla produzione di ordigni destinati ai conflitti più sanguinosi del pianeta, troppe amministrazioni si sono rifugiate dietro l’alibi del “non spetta a noi”, come se la legalità potesse essere una coperta da tirare o accorciare a seconda della convenienza. È stata tradita la funzione fondamentale di protezione del bene comune.

Un discorso analogo vale per le diocesi sul cui territorio si costruiscono gli ordigni: perché i vescovi fingono di ignorare che Satana lavora proprio lì vicino alle curie, in quei capannoni che sono sotto gli occhi di tutti e che essi preferiscono fare finta di non vedere?

I numeri che emergono da anni di monitoraggi indipendenti non lasciano spazio ai dubbi. Tra il 2015 e il 2020 migliaia di bombe prodotte nello stabilimento RWM di Domus Novas sono state esportate verso la coalizione guidata dall’Arabia Saudita. L’Italia, in quella fase, è arrivata a essere uno dei principali fornitori europei di armamenti a quei Paesi. Organizzazioni come la Rete Italiana Pace e Disarmo hanno documentato che molte delle bombe cadute sullo Yemen recavano codici identificativi riconducibili alla produzione sarda. In quello stesso Yemen, secondo l’ONU, si è verificata la più grave catastrofe umanitaria dei nostri tempi, con decine di migliaia di civili uccisi dai bombardamenti aerei.

Questi dati non sono opinioni: sono fatti. E raccontano una verità da cui non possiamo distoglierci. Parte del dolore che devasta lo Yemen è passato per fabbriche situate nel cuore della Sardegna. Questo dovrebbe essere sufficiente a scuotere qualunque coscienza.

Un risveglio della società civile

Ma se la politica istituzionale, spesso, tace o tenta di giustificare l’ingiustificabile, la società civile non ha mai smesso di farsi sentire. In Sardegna, come nel resto d’Italia, negli ultimi anni sono cresciuti movimenti, reti e campagne che hanno denunciato con coraggio ciò che stava accadendo nel sud dell’isola. Il Comitato RWM Stop, la Rete Italiana Pace e Disarmo, il Centro Studi Sereno Regis, l’Associazione Sardegna Pulita, gruppi pacifisti, comunità cristiane impegnate, studenti, docenti, intellettuali, insieme a campagne internazionali come Stop Arming Saudi Arabia, hanno raccolto prove, organizzato manifestazioni, presentato ricorsi legali, proposto piani di riconversione industriale. Hanno mostrato che esiste un altro modo possibile di difendere il futuro: non con le armi, ma con il lavoro pulito e giusto.

La conclusione a cui si giunge davanti a questa realtà non può essere timida né condizionata dal linguaggio della diplomazia. La Sardegna non può e non deve essere terra di guerra. Non deve essere ricordata per le sue bombe ma per la sua cultura, la sua storia millenaria, la bellezza dei suoi paesaggi, il coraggio della sua gente. Le istituzioni locali non possono più nascondersi dietro la finzione dell’impotenza: la legge affida loro la tutela della collettività, e quella tutela non è un’opzione ma un dovere. Consentire la presenza di un’industria che produce morte significa venire meno a tale mandato.

Nessuno può dire: non sapevo

Finché in Italia si costruiranno ordigni destinati a massacrare civili dall’altra parte del mondo, non potremo affermare con onestà di rispettare il ripudio della guerra enunciato nella nostra Carta fondamentale. Oggi nessuno può dire “non sapevo”. Sappiamo, e proprio perché sappiamo, abbiamo l’obbligo morale e civile di agire. La storia giudicherà non solo ciò che abbiamo fatto, ma ciò che abbiamo tollerato. E non possiamo permettere che il nome della Sardegna resti associato al marchio infamante delle bombe insanguinate. È il momento di scegliere da che parte stare. E scegliere la vita non dovrebbe richiedere coraggio: dovrebbe essere il gesto più naturale del mondo.

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