Il disegno “Paura del buio” di Laura Tussi: dialogo tra genesi e perfezionamento

 

Il disegno “Paura del buio” di Laura Tussi: dialogo tra genesi e perfezionamento



A prima vista, il disegno “Paura del buio” di Laura Tussi, il cui titolo è mutuato da una celebre canzone del gruppo rock Iron Maiden, si presenta come uno studio sulla dualità, un’esplorazione consapevole e avvincente del suo stesso processo creativo. È un’opera che rifiuta di essere vista come un’immagine finita e statica, invitando invece l’osservatore ad assistere al percorso che va dall’impulso grezzo alla realizzazione raffinata. L’artista non si è limitata a creare un’immagine, ma ha scelto di inquadrarla nel contesto della sua stessa creazione.

La decisione formale più sorprendente è il trattamento deliberato dei bordi. Il lato inferiore e quello destro non sono semplicemente incompiuti; sono “raffinati” fino a raggiungere uno stato di astrazione. Qui, l’artista ha utilizzato i pastelli Derwent e i pastelli a cera per costruire forme che poi si dissolvono nel fondo della carta. I bordi sono morbidi, le linee suggestive piuttosto che descrittive, raggiungono una qualità grafica quasi stilizzata. È come se stessimo osservando l’essenza del soggetto, il suo ideale platonico, prima che si manifesti pienamente nel nostro mondo. Quest’area parla il linguaggio dei simboli e dei sogni, affidandosi alle implicazioni e all’immaginazione dell’osservatore per completare la narrazione.

In netto e mozzafiato contrasto, la sezione sinistra del disegno è una sinfonia di meticolosa raffinatezza. È qui che l’artista libera tutto il potenziale cromatico e materico delle sue capacità espressive. I pastelli Derwent creano campiture di colore profonde e vellutate, mentre i pastelli a cera introducono aree di intensità luminosa e levigata, catturando la luce e creando un dinamico gioco di opaco e lucido. Questa sezione è densa di informazioni visive: sottili gradazioni di tonalità, dettagli intricati e un complesso gioco di luci e ombre. È un mondo pienamente realizzato, una testimonianza del potere dell’osservazione paziente e della padronanza tecnica.

La vera genialità dell’opera, tuttavia, risiede nel ponte tra questi due regni: la penna nera. Questa è la spina dorsale strutturale del disegno. Funziona sia da impalcatura che da sutura. Nelle sezioni stilizzate, il tratto a penna può essere sciolto, gestuale, una rete di graffi decisi che tengono insieme le forme nascenti. Spostandosi verso sinistra, nella zona rifinita, queste stesse linee diventano precise, ponderate e intricate, definendo i bordi, scolpendo i dettagli e fornendo una nitidezza grafica che fa da contrappunto alla morbidezza dei pastelli. La penna non si limita a delineare; narra la transizione dalla possibilità alla realtà.

Non ci rimane una singola immagine, ma un dialogo profondo. Dove risiede veramente l’arte? Nell’impulso iniziale e potente del segno stilizzato, pieno di energia e potenziale? O nel culmine disciplinato e glorioso del passaggio rifinito? Presentando entrambi gli stati simultaneamente, l’artista vuole sostenere che la magia risiede nella tensione tra di essi. Quest’opera è un’opera sul divenire, una metafora visiva dell’atto creativo stesso, eternamente sospeso tra il caos emozionante dei suoi inizi e la serena risoluzione della sua fine. Si tratta di un pezzo accattivante e intellettualmente rigoroso che rimane impresso nella mente anche dopo aver distolto lo sguardo.

Carlo Marino
#lamascheraditespi

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