Necessario prendere apertamente le distanze dalla dissennata politica di riarmo europeo, che in Germania vedrà schierare missili ipersonici americani Dark Eagle
Necessario prendere apertamente le distanze dalla dissennata politica di riarmo europeo, che in Germania vedrà schierare missili ipersonici americani Dark Eagle
di Laura Tussi
Da questa deriva occorre prendere le distanze in modo netto, perché la sicurezza non si costruisce accumulando sistemi d’arma sempre più avanzati, bensì investendo nella diplomazia, nel dialogo e nella prevenzione dei conflitti.
Il Dark Eagle, arma convenzionale ma ipersonica, è un sistema dotato di una velocità tale da complicare qualsiasi strategia di difesa. La sua capacità di colpire a migliaia di chilometri di distanza in pochi minuti lo rende uno strumento di pressione strategica, più che un semplice apparato difensivo. Che un’arma del genere venga schierata al cuore dell’Europa non è un fatto neutro né rassicurante: significa accettare che l’equilibrio della sicurezza continentale venga spostato su una logica puramente militare, nella quale ogni mossa genera reazioni a catena.
La Germania, tradizionalmente prudente in materia di politica militare, si trova ora a fare da epicentro di questa trasformazione. L’arrivo del Dark Eagle la può rendere, involontariamente, un bersaglio strategico in caso di crisi internazionale. Una parte dell’opinione pubblica tedesca lo ha già sottolineato con lucidità: non c’è deterrenza che giustifichi il rischio di trasformare il proprio territorio in un deposito di armi avanzate destinate a innalzare la temperatura del conflitto globale. Le preoccupazioni non riguardano solo la sicurezza fisica, ma anche l’impatto politico di una scelta che appare in contrasto con la tradizione europea di equilibrio e moderazione.
La Russia ha reagito come prevedibile, denunciando un’escalation diretta alle proprie frontiere. La NATO, dal canto suo, parla di adeguamento necessario. Ma al di là delle contrapposizioni retoriche resta la domanda centrale: davvero si crede che il continente diventerà più sicuro aumentando la portata distruttiva delle proprie armi? È davvero questo l’orizzonte che l’Europa vuole darsi, proprio mentre affronta sfide economiche, sociali e climatiche che avrebbero bisogno di investimenti completamente diversi?
Prendere le distanze da questa politica di riarmo non significa negare la realtà delle minacce né banalizzare la complessità del conflitto in Ucraina. Significa però rifiutare la logica del “più armi per più sicurezza”, che la storia europea del Novecento ci ha già insegnato essere fallimentare. Significa ricordare che il nostro continente è stato progettato per essere una comunità di pace, non un’arena di sperimentazione per nuove tecnologie belliche. Significa soprattutto rivendicare una visione di sicurezza fondata sulla cooperazione, sulla diplomazia multilaterale, sul disarmo progressivo, strumenti oggi messi ai margini da un clima politico sempre più incattivito.
Il 2026 rischia dunque di segnare un tornante decisivo. L’arrivo dei Dark Eagle potrebbe sembrare a qualcuno un segnale di forza, ma rischia invece di diventare l’emblema di un errore storico: l’illusione che la pace si garantisca preparando la guerra. L’Europa dovrebbe piuttosto lavorare per ridurre il livello di minaccia, non per innalzarlo; per costruire ponti, non sistemi ipersonici; per rafforzare la diplomazia, non le capacità di colpire a migliaia di chilometri.
Dissociarsi da questa corsa al riarmo non è un atto di ingenuità, ma di responsabilità. È un modo per ricordare che la pace non si improvvisa e che le scelte prese oggi avranno conseguenze profonde sul mondo che consegneremo alle generazioni future. L’Europa ha bisogno di coraggio politico, non di missili. E ha bisogno di ritrovare la sua vocazione originaria: essere un laboratorio di dialogo, non un nuovo campo di schieramento.

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