Una commissione d’inchiesta per Attanasio, Iacovacci e Paciolla: le famiglie chiedono verità, lo Stato dia prova di dignità
Una commissione d’inchiesta per Attanasio, Iacovacci e Paciolla: le
famiglie chiedono verità, lo Stato dia prova di dignità
di Laura Tussi
A Palazzo Madama, lo scorso 5 novembre, in una sala gremita di
parlamentari, familiari e giornalisti, è stata presentata la proposta di legge
per l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta sulle morti
dell’ambasciatore Luca Attanasio, del carabiniere Vittorio Iacovacci e dell’osservatore
ONU Mario Paciolla. Tre vicende diverse, accadute in due continenti lontani, ma
unite dalla stessa richiesta che ormai da anni pesa sulla coscienza nazionale:
sapere davvero cosa è accaduto, restituire verità e giustizia ai loro nomi.
La proposta è stata depositata dal senatore Marco Lombardo, di Azione,
primo firmatario del testo. Accanto a lui, nel corso della conferenza stampa,
sedevano i familiari di Attanasio, di Iacovacci e di Paciolla. È stata una
presenza silenziosa ma eloquente: madri, padri, fratelli che da quasi cinque
anni si scontrano con omissioni, risposte parziali, piste interrotte, versioni
contraddittorie. Lombardo ha voluto dirlo senza giri di parole: “Non ci
rassegneremo. Lo Stato che non è stato in grado di difendere le loro vite deve
dimostrare almeno di difendere la loro memoria”.
Una memoria che, come ha ricordato, non riguarda soltanto tre famiglie, ma
il paese intero.
A parlare, uno dopo l’altro, sono stati i parenti delle vittime
dell’attentato nella Repubblica Democratica del Congo del febbraio 2021. In
quell’agguato, mentre viaggiavano in un convoglio del Programma Alimentare
Mondiale, furono uccisi l’ambasciatore Luca Attanasio, il carabiniere scelto
Vittorio Iacovacci e l’autista Mustapha Milambo. “Perché tanta ostilità verso
uno strumento di verità e giustizia che dovrebbe essere condiviso da tutti?”,
ha chiesto Dario, fratello del carabiniere di Sonnino. Nelle sue parole c’era
l’orgoglio per il senso del dovere di Vittorio, ma anche lo smarrimento di
fronte a uno Stato che – ha detto – “se volta le spalle ai suoi servitori,
allora nessuno è più davvero al sicuro”.
Poi è intervenuto Salvatore Attanasio, padre dell’ambasciatore Luca. “Sono
qui non solo come padre, ma come cittadino italiano”, ha esordito, ricordando
che Luca è caduto mentre rappresentava l’Italia in uno dei paesi più instabili
del mondo. Da cinque anni – ha ribadito – la famiglia chiede solo una cosa: la
verità. Non una verità di circostanza, non una sintesi accomodante, ma una
verità “vera, sostanziale”, capace di restituire dignità a chi ha servito il
tricolore con onore.
Nel suo intervento, Attanasio senior non ha nascosto la delusione per
l’assenza in sala di rappresentanti della maggioranza e del ministero degli
Esteri. “Mi duole non vederli qui”, ha detto con un filo di amarezza.
“Dovrebbero essere i primi a difendere il loro collega, il nostro
ambasciatore”. Ha poi rivolto un appello diretto alle Camere: approvare la
commissione all’unanimità, senza esitazioni. “È una questione di dignità per il
Paese. Chi si sottrarrà a questo impegno civile è come dichiararsi complice
indiretto di questo crimine”. La complessità del contesto internazionale e
della sicurezza nei paesi in conflitto, ha aggiunto, non può mai essere un
alibi per l’inazione: “La complessità non giustifica il silenzio”.
Infine, ha preso la parola Anna Paciolla, madre di Mario, l’attivista e
osservatore ONU trovato morto in Colombia nel 2020. Un caso segnato da
ambiguità fin dall’inizio: classificato come suicidio, poi riaperto, poi
nuovamente avvolto nel dubbio. “Mio figlio è stato ucciso”, ha detto con voce ferma.
“E qualcuno ha tentato di camuffare quel delitto”. Il suo intervento ha
allargato lo sguardo oltre la singola vicenda: il diritto alla verità, ha
ricordato, è riconosciuto dal diritto internazionale e “non ha un colore
politico”. È un principio che appartiene a ogni democrazia e che obbliga le
istituzioni a non abbandonare nessuno nel limbo delle mezze risposte.
La verità non riguarda soltanto tre famiglie, ma la credibilità stessa
dello Stato italiano. Le loro parole hanno riportato al centro del dibattito
pubblico ciò che spesso viene oscurato dal frastuono della politica quotidiana:
il dovere morale delle istituzioni di difendere chi le ha servite, di non
archiviare storie che restano ferite aperte nella memoria collettiva. Ora la
proposta di legge passa al Parlamento. E per molti, dentro e fuori l’aula, non
si tratta soltanto di istituire una commissione, ma di dimostrare che la
Repubblica sa ancora camminare a testa alta di fronte ai propri caduti.
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