Apprendere per pensare la pace. La scuola torna a essere un luogo decisivo per imparare a convivere tra diversi

 

Apprendere per pensare la pace. La scuola torna a essere un luogo decisivo per imparare a convivere tra diversi 

di Laura Tussi



Nel nostro tempo, attraversato da guerre che sembrano non conoscere tregua e da un clima di crescente aggressività verbale e sociale, la scuola torna a essere uno dei luoghi decisivi per imparare la pace. Non solo come valore etico, ma come vero e proprio processo cognitivo ed educativo. Oggi più che mai, educare alla conoscenza significa educare alla nonviolenza: formare menti capaci di comprendere, riflettere, dialogare, immedesimarsi. È in classe che prende forma la possibilità di un futuro meno ostile, fatto di convivenza, responsabilità e cura reciproca.

Il pensiero, infatti, è una modalità apprenditiva che apre la mente a dimensioni capaci di generare pace, dentro di noi e nel mondo circostante. Pensare significa apprendere il valore dell’assenza di violenza, riconoscere il bello della relazione, vivere la conoscenza come un atto che costruisce e non distrugge. La scuola è il primo laboratorio di questo percorso: qui si intrecciano i contenuti della conoscenza e i processi cognitivi degli allievi, che imparano non solo nozioni ma anche modi di stare al mondo, nella direzione di un micro o macrocontesto di pace.

La psicologia evolutiva, negli ultimi decenni, ha dedicato grande attenzione allo sviluppo delle competenze sociali dei bambini. Negli anni Quaranta, Jean Piaget individua le strutture formali della mente, interpretando lo sviluppo cognitivo come una sequenza di stadi che determinano il modo di conoscere, indipendentemente dai contenuti. Nella sua visione, il focus è sulla struttura mentale più che sui processi, e le modalità cognitive operano allo stesso modo in ogni campo del sapere, compresa la capacità di costruire relazioni nonviolente.

Negli anni Sessanta, con l’affermazione della scienza cognitiva, la prospettiva cambia: si approfondisce il rapporto tra processi mentali e contenuti appresi. Il soggetto è visto come un organismo che riceve, elabora, immagazzina e recupera informazioni per potersi orientare nel mondo interno ed esterno. La conoscenza si distingue così in dichiarativa – fatta di concetti, teorie e relazioni – in procedurale, che riguarda il “come fare”, e in metaconoscenza, cioè la capacità di riflettere e valutare ciò che si apprende.

A ben vedere, una pedagogia orientata alla pace ha radici antiche. Aristotele aveva già tentato di comprendere i meccanismi psicologici che presiedono la formazione dell’essere umano, partendo dalle sensazioni e arrivando, tramite l’intelletto, alla costruzione di idee e concetti. Locke sosteneva che ogni conoscenza provenga dall’esperienza, un principio che si presta perfettamente alla formazione della nonviolenza come pratica concreta. Herbart, nel XIX secolo, propone una psicologia capace di affrontare i problemi umani cercando soluzioni riconciliative: l’essere umano è plasmabile, educabile, e la conoscenza si radica nell’esperienza e nell’ambiente, lontano da logiche belliche.

La psicologia, per Herbart, è il fondamento di ogni intervento educativo. Da essa si sviluppa l’insegnamento capace di favorire la multilateralità degli interessi, cioè una formazione ampia e polivalente che coinvolge il soggetto in un processo di trasformazione interiore. Le discipline fondamentali – matematica, lingue, storia, scienze – devono essere affrontate secondo un principio di concentrazione, permettendo alla mente di alternare fatica e pausa, studio e bellezza, impegno e pace.

Piaget, nella sua epistemologia genetica, descrive il passaggio da uno stadio mentale all’altro come l’esito dell’interazione tra il bambino e l’ambiente. Nella fase sensomotoria, il piccolo non distingue ancora sé dal mondo; nel periodo preoperatorio interiorizza simboli e segni; nella fase delle operazioni concrete costruisce e trasforma il reale sviluppando progressivamente la dimensione relazionale; nell’età dell’adolescenza, con le operazioni formali, matura il pensiero ipotetico-deduttivo, capace di considerare possibilità, alternative, scenari. È qui che nasce la capacità di immaginare il bene, la pace, la cooperazione.

Persino il disegno infantile per Piaget è una forma di realismo interiore: le figure non rispettano proporzioni accademiche perché sono rappresentazioni affettive, simboliche, legate ai valori. Il bambino disegna ciò che sente, non ciò che vede, e in questo traduce la sua idea di bello, di relazione, di armonia.

Educare alla conoscenza, allora, non è mai un atto neutro. Significa formare individui capaci di pensare la pace: persone che sappiano riconoscere l’altro, cercare il senso, immaginare mondi nuovi. Perché la pace non si improvvisa. Si impara. Si costruisce. Si pensa.

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