L’omotransfobia come ferita aperta: un problema da sradicare. E dalla Sardegna arriva un nuovo segnale di resistenza
L’omotransfobia come ferita aperta: un problema da sradicare. E dalla Sardegna arriva un nuovo segnale di resistenza
di Laura Tussi
Per molte persone trans, in Italia come altrove, la vita quotidiana è segnata da difficoltà spesso invisibili: barriere nell’accesso al lavoro, alle cure mediche, alla casa, al rispetto sociale. Troppo spesso la discriminazione assume forme estreme: molestie, aggressioni, esclusione famigliare, violenza istituzionale. Le cronache internazionali registrano ogni anno centinaia di transicidi, una strage silenziosa che colpisce soprattutto le donne trans razzializzate, vittime di un intreccio brutale di transfobia, misoginia e razzismo.
Contrastare tutto questo non significa celebrare una ricorrenza una volta all’anno, ma impegnarsi quotidianamente per cambiare le fondamenta culturali sulle quali poggia la violenza di genere. L’omotransfobia cresce dove attecchiscono l’ignoranza, l’intolleranza, l’uso politico dell’odio e la difesa ossessiva di modelli di famiglia e di società rigidi, incapaci di includere l’alterità. Per questo la lotta necessita di un approccio nuovo, che combini educazione, diritti, ascolto delle comunità, politiche sociali e sanitarie realmente inclusive.
Eppure, nonostante le difficoltà, i segni di resistenza e di coraggio continuano a moltiplicarsi. Ed è proprio dalla Sardegna che arriva un segnale forte e necessario.
A Cagliari il corteo del 20 novembre: una piazza che resiste
Anche quest’anno, in occasione della Giornata del Ricordo delle Vittime di Transfobia, a Cagliari si è scelta la strada della mobilitazione collettiva. Il 20 novembre, alle 16, in piazza Anna Marongiu, un corteo organizzato da Madera, Unigcom e Iskintzidda ha chiamato la comunità a un momento di memoria, denuncia e resistenza.
La manifestazione si inserisce in un contesto politico nazionale e locale particolarmente teso. Con la stretta repressiva post–Decreto Sicurezza, le nuove proposte legislative e gli episodi recenti – come l’uso di idranti e lacrimogeni contro manifestanti antifascisti proprio a Cagliari – la difesa dei diritti umani e delle libertà civili appare sempre più urgente.
Le realtà promotrici ricordano come il capitalismo patriarcale e coloniale utilizzi la transfobia e la transmisoginia come strumenti di controllo dei corpi e di regolazione sociale, punendo chi si sottrae alla logica della famiglia eterosessuale tradizionale. Una denuncia che, nel caso della Sardegna, si intreccia con altre ferite profonde: l’occupazione militare del territorio, la carenza di servizi essenziali, le difficoltà di accesso alle cure, incluso il fatto che l’isola disponga di un solo centro pubblico dedicato alla disforia di genere, dove – secondo gli attivisti – il gatekeeping transfobico rimane prassi.
Nel documento che accompagna il corteo emerge una critica politica chiara: il rifiuto di vedere i diritti delle persone trans e LGBTQIA+ ridotti a strumento elettorale da partiti che, pur dichiarandosi progressisti, continuano a sostenere politiche ritenute coloniali, militariste o contrarie ai diritti umani su scala internazionale.
La richiesta è radicale ma semplice: cambiare un sistema che porta troppe persone a vivere la propria identità nella paura, nella marginalità o, nei casi più tragici, nella disperazione fino al suicidio.
Una battaglia di civiltà
L’omotransfobia non è un destino inevitabile, né un fenomeno marginale: è una forma di violenza sociale che può essere prevenuta, contrastata e sradicata. Richiede la forza della politica, della cultura, del mondo educativo, dei corpi intermedi, dei media. Richiede leggi che proteggano davvero, strutture sanitarie capaci di accogliere, scuole che sappiano educare alla libertà. Richiede ascolto delle comunità, sostegno alle famiglie, spazi sicuri per chi cerca un’altra possibilità.
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