L’imperialismo nucleare mentre il mondo torna alla corsa agli armamenti
L’impegno per la pace, che dura da decenni, è stato utile alla sua causa? L’imperialismo nucleare mentre il mondo torna alla corsa agli armamenti
di Laura Tussi
Decenni di lotte per il disarmo e la denuclearizzazione, ma la pace è ancora lontana
Gli Stati Uniti hanno deciso di accelerare il dispiegamento in Europa delle nuove bombe nucleari tattiche B61-12, destinate a sostituire le obsolete B61. Questo significa che anche l’Italia – in particolare le basi di Ghedi, vicino a Brescia, e di Aviano, in provincia di Pordenone – si prepara ad accogliere ordigni ancora più moderni e letali. La consegna, inizialmente prevista per la primavera 2023, è stata anticipata a dicembre.
Negli anni passati la mobilitazione contro il nucleare era più forte, coordinata e radicata nei territori. Oggi, invece, regna una frammentazione che indebolisce la capacità di opposizione, lasciando campo libero a scelte governative destinate a incidere profondamente sulla sicurezza del continente.
Negli anni Ottanta uno dei segnali più significativi dell’impegno dal basso fu il movimento per la denuclearizzazione dei Comuni, un’iniziativa capillare che mirava a coinvolgere le amministrazioni locali nel rifiuto delle armi atomiche. Il primo Comune italiano a dichiararsi zona denuclearizzata fu Robassomero, nel 1981. Una Nuclear Free Zone è un territorio che si impegna a non ospitare né consentire il transito di armamenti nucleari: una dichiarazione simbolica, certo, ma politicamente potentissima.
L’idea delle zone denuclearizzate nasce negli anni Cinquanta, quando l’incubo nucleare diventa parte della vita quotidiana delle popolazioni europee. Si ricordano le proposte istituzionali del britannico Eden nel 1955, del polacco Rapacki o del primo ministro svedese Olof Palme, che immaginava una vasta area libera da armi atomiche nel cuore d’Europa. Proposte rimaste senza successo, ma che alimentarono un diffuso attivismo popolare.
Le prime esperienze internazionali
In Australia il movimento antinucleare ottenne un risultato storico: il blocco della vendita di uranio alla Francia, responsabile degli esperimenti atomici nel Pacifico. In Germania la mobilitazione fu imponente; in Giappone la denuclearizzazione coinvolse non solo città, ma anche scuole, università e stabilimenti industriali. In Irlanda, la metà del territorio fu dichiarata zona denuclearizzata dagli enti locali.
In Italia l’ondata di attivismo raggiunse l’apice tra inizio anni Ottanta e primi anni Novanta. Dopo Robassomero, si dichiararono denuclearizzate la Valle d’Aosta, le province di Trento, Perugia, Parma e diverse grandi città come Bologna, Urbino, Pisa e Livorno. Fiorirono comitati locali, campagne educative, iniziative ecumeniche – come quelle delle chiese evangeliche, metodiste e valdesi – che proposero di dichiarare denuclearizzati anche i luoghi di culto.
Erano scelte simboliche, ma di grande forza culturale e politica: affermavano il rifiuto della logica della deterrenza e della corsa agli armamenti, e indicavano una direzione alternativa.
Una scena dagli anni Ottanta
Dal culmine del campanile di Giotto, a Firenze, negli anni Ottanta apparve un enorme striscione: «Via i missili da Comiso». Era il gesto di un gruppo di giovani che chiedeva al governo Craxi lo smantellamento degli euromissili schierati in Sicilia. Nei volantini distribuiti ai passanti rivendicavano anche un referendum istituzionale, vincolante, che permettesse al Paese di pronunciarsi contro la trasformazione dell’Italia in una piattaforma nucleare. Una iniziativa che raccolse vasto consenso popolare e che rimane una delle immagini più vivide del pacifismo italiano.
Il rischio nucleare globale
Il rischio nucleare non appartiene al passato. È un pericolo globale e quotidiano, come ricordano numerosi studi e documentari. In Totem and Ore (2019), il regista John Mandelberg ricostruisce gli esperimenti nucleari britannici nelle terre aborigene australiane: test condotti senza alcuna informazione alle popolazioni locali, con conseguenze devastanti. L’attrice aborigena Ursula Yovich lancia un appello che riassume il senso delle battaglie di ieri e di oggi: «Nel mondo non ci deve essere più spazio per le armi nucleari».
Anche il medico e attivista Vittorio Agnoletto ricorda che la distinzione tra nucleare civile e militare è una costruzione ingannevole: «Non esiste un nucleare buono e uno cattivo: per costruire le bombe viene utilizzato il plutonio ricavato dalle scorie delle centrali».
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