Sardegna, Mediterraneo: dal Forum UnSilence di Barcellona all’allarme sui “droni killer”
Sardegna, Mediterraneo: dal Forum UnSilence di Barcellona all’allarme sui “droni killer”. L’isola che rifiuta la guerra e cerca un futuro diverso
di Laura Tussi
Tra tutte le delegazioni, quella sarda è stata una delle più ascoltate, forse perché ha portato al centro del dibattito internazionale un esempio concreto e doloroso: quello di un territorio che da decenni convive con poligoni militari, basi, servitù e stabilimenti di produzione bellica, e che oggi si ritrova a essere uno snodo strategico della nuova economia di guerra europea.
A rappresentare l’isola c’erano Simone Garau ed Eleonora Camba, dell’equipaggio di terra della Global Sumud Flotilla, insieme a Ennio Cabiddu, storico animatore della Campagna Stop RWM. Le loro voci hanno portato nel forum non solo denuncia, ma anche analisi documentate, dati, scenari e soprattutto domande. Domande difficili, urgenti.
La notizia che ha scosso il Forum: a Domusnovas si producono i droni “loitering”
Il momento più denso è arrivato quando gli attivisti sardi hanno raccontato ciò che ormai diverse inchieste internazionali segnalano da mesi: nello stabilimento RWM di Domusnovas e Iglesias, controllato dalla tedesca Rheinmetall, non vengono più prodotte soltanto bombe d’aereo — quelle stesse finite in teatri come lo Yemen — ma sono già operativi reparti dedicati ai nuovi droni kamikaze.
La platea internazionale del Forum è rimasta colpita: la Sardegna, terra di pastori, di miniere dismesse e di mare, si scopre snodo nevralgico di una filiera bellica tecnologicamente avanzatissima, una delle testa di un’Idra di Lerna – l’industria multinazionale delle armi Rheinmetall che gronda sangue innocente.
RWM: un’industria che cresce mentre il territorio si interroga
Quando gli attivisti hanno ricordato che l’azienda si presentava fino a pochi anni fa come una realtà “in crisi”, molti tra i delegati hanno scosso la testa. Oggi RWM è in piena espansione, al punto che si discute dell’assunzione di altri 250 lavoratori rispetto agli attuali 350.
Ciò che inquieta non è solo l’aumento produttivo, ma la traiettoria che disegna: una Sardegna sempre più inserita nel riarmo europeo, mentre la società civile locale continua a chiedere trasparenza, riconversione e un nuovo modello di sviluppo.
Le organizzazioni ambientaliste e pacifiste parlano apertamente di “colonizzazione industriale”, una dinamica che rischia di sacrificare ambiente, salute e vocazione culturale dell’isola a favore di infrastrutture militari sempre più invasive.
Le istituzioni regionali hanno avviato una nuova istruttoria ambientale sugli ampliamenti, mentre il MIMIT segue la questione attraverso un tavolo nazionale. Ma il disallineamento tra mobilitazione dal basso e strategie industriali appare evidente.
La Sardegna tra guerra e pace: quale destino?
Le domande poste dagli attivisti al Forum non sono astratte. Sono domande sulla vita quotidiana e sulla direzione futura: Che ruolo vogliamo assegnare a quest’isola? Una piattaforma di pace o un laboratorio di guerra?
Il Mediterraneo, terreno naturale in cui si colloca la Sardegna, è già da tempo un luogo di contraddizioni: rotte di migranti e rotte di armi si intersecano, tragedie e speranze convivono. In questo scenario, l’isola non è periferia ma centro, non è margine ma crocevia.
Per questo il lavoro degli attivisti non si è limitato alla denuncia: hanno intessuto relazioni con delegazioni provenienti da Libano, Palestina, Marocco, Cipro, Grecia, Spagna, Francia, Tunisia. Una rete che ha dato all’intero forum un respiro ampio e profondo. Il Mediterraneo è stato raccontato come “mare della fraternità”, ma anche come specchio delle paure e dei conflitti del continente europeo.
Riconversione, cooperazione, solidarietà: una strada possibile
Accanto alle analisi tecniche, è emerso un dato politico e umano: la Sardegna non si rassegna. Le comunità locali, le associazioni, gli studiosi parlano da anni di riconversione industriale, economia civile, turismo sostenibile, energie rinnovabili.
E in questi tre giorni di Forum la sensazione è stata chiara: la lotta contro RWM non è un fatto isolato. È parte di un movimento più grande che attraversa l’Europa e il Mediterraneo e che chiede un’identità diversa per un continente tentato ogni giorno dalla logica del riarmo. Sono stati esposti i motivi etici, ambientali e urbanistici per cui si chiede che la Regione Sardegna dica un secco no alla VIA (Valutazione di impatto ambientale) ex post con cui RWM vorrebbe sanare gli ampliamenti già realizzati.
In modo particolare, ha suscitato preoccupazione il passaggio della relazione nel quale i rappresentanti della Sardegna hanno sottolineato il pericolo che questa fabbrica di morte invece che alla chiusura vada incontro ad un radioso futuro, con fatturati spaventosi anche grazie alla nuova linea di produzione dei droni killer, su licenza della israeliana UVISION Ltd.
Molto importanti, inoltre, sono state le relazioni che i pacifisti sardi hanno tessuto con i delegati dell’area euromediterranea, relazioni che vanno a rafforzare la già intensa “Campagna Stop Rwm”.
L’eredità del Forum: il silenzio non è più possibile
Quando le delegazioni si sono salutate, molte persone hanno avuto la sensazione che, al di là delle relazioni e dei dati, qualcosa si fosse mosso davvero. L’UnSilence Forum ha dato un nome alla consapevolezza condivisa: il silenzio è finito.
La Sardegna, con la sua storia di sofferenza e resistenza, è un simbolo. Un richiamo per tutti i Paesi che vivono la tensione tra sicurezza e militarizzazione, tra sviluppo e etica, tra lavoro e coscienza.
Gli attivisti sardi hanno mostrato che una battaglia locale può diventare immediatamente globale. Perché riguarda il mondo in cui vogliamo vivere. E perché riguarda un tema che nessuna società può più ignorare: che pace è possibile, se continuiamo ad armare il mondo?
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