La Nato dietro l’attacco turco in Siria
La Nato dietro l’attacco turco in Siria
Manlio Dinucci
Germania,
Francia, Italia e altri paesi, che in veste di membri della Ue
condannano la Turchia per l’attacco in Siria, sono insieme alla Turchia
membri della Nato, la quale, mentre era già in corso l’attacco, ha
ribadito il suo sostegno ad Ankara. Lo ha fatto ufficialmente il
segretario generale della Nato Jean Stoltenberg, incontrando l’11
ottobre in Turchia il presidente Erdoğan e il ministro degli esteri
Çavuşoğlu.
«La
Turchia è in prima linea in questa regione molto volatile, nessun altro
Alleato ha subito più attacchi terroristici della Turchia, nessun altro
è più esposto alla violenza e alla turbolenza proveniente dal
Medioriente», ha esordito Stoltenberg, riconoscendo che la Turchia ha
«legittime preoccupazioni per la propria sicurezza».
Dopo
averle diplomaticamente consigliato di «agire con moderazione»,
Stoltenberg ha sottolineato che la Turchia è «un forte Alleato Nato,
importante per la nostra difesa collettiva», e che la Nato è «fortemente
impegnata a difendere la sua sicurezza».
A
tal fine – ha specificato – la Nato ha accresciuto la sua presenza
aerea e navale in Turchia e vi ha investito oltre 5 miliardi di dollari
in basi e infrastrutture militari. Oltre a queste, vi ha dislocato un
importante comando (non ricordato da Stoltenberg): il LandCom,
responsabile del coordinamento di tutte le forze terrestri dell’Alleanza Stoltenberg
ha evidenziato l’importanza dei «sistemi di difesa missilistica»
dispiegati dalla Nato per «proteggere il confine meridionale della
Turchia», forniti a rotazione dagli Alleati. A tale proposito il
ministro degli esteri Çavuşoğlu ha ringraziato in particolare l’Italia.
E’ dal giugno 2016 che l’Italia ha dispiegato nella provincia turca
sudorientale di Kahramanmaraş il «sistema di difesa aerea» Samp-T, coprodotto con la Francia.
Una
unità Samp-T comprende un veicolo di comando e controllo e sei veicoli
lanciatori armati ciascuno di otto missili. Situati a ridosso della
Siria, essi possono abbattere qualsiasi velivolo all’interno dello
spazio aereo siriano. La loro funzione, quindi, è tutt’altro che
difensiva.
Lo
scorso luglio la Camera e il Senato, in base a quanto deciso dalle
commissioni estere congiunte, hanno deliberato di estendere fino al 31
dicembre la presenza dell’unità missilistica italiana in Turchia.
Stoltenberg
ha inoltre informato che sono in corso colloqui tra Italia e Francia,
coproduttrici del sistema missilistico Samp-T, e la Turchia che lo vuole
acquistare.
A
questo punto, in base al decreto annunciato dal ministro degli Esteri
Di Maio di bloccare l’export di armamenti verso la Turchia, l’Italia
dovrebbe ritirare immediatamente il sistema missilistico Samp-T dal
territorio turco e impegnarsi a non venderlo alla Turchia.
Continua
così il tragico teatrino della politica, mentre in Siria continua a
scorrere sangue. Coloro che oggi inorridiscono di fronte alle nuove
stragi e chiedono di bloccare l’export di armi alla Turchia, sono gli
stessi che voltavano la testa dall’altra parte quando lo stesso New York Times
pubblicava una dettagliata inchiesta sulla rete Cia attraverso cui
arrivavano in Turchia, anche dalla Croazia, fiumi di armi per la guerra
coperta in Siria (il manifesto, 27 marzo 2013).
Dopo aver demolito la Federazione Jugoslava e la Libia, la Nato tentava la stessa operazione in Siria. La forza
d’urto era costituita da una raccogliticcia armata di gruppi islamici
(fino a poco prima bollati da Washington come terroristi) provenienti da
Afghanistan, Bosnia, Cecenia, Libia e altri paesi.
Essi
affluivano nelle province turche di Adana e Hatai, confinante con la
Siria, dove la Cia aveva aperto centri di formazione militare. Il
comando delle operazioni era a bordo di navi Nato nel porto di
Alessandretta.
Tutto questo viene cancellato e la Turchia viene presentata dal segretario generale della Nato come l’Alleato «più esposto alla violenza e alla turbolenza proveniente dal Medioriente».
(il manifesto, 15 ottobre 2019)
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