Ci siamo scontrati con dei poteri estremamente forti, poteri politici, economici e finanziari che non hanno esitato ad utilizzare qualunque forma di repressione per stroncare il movimento”. Intervista a Vittorio Agnoletto storico portavoce del Genova Social Forum

 

Ci siamo scontrati con dei poteri estremamente forti, poteri politici, economici e finanziari che non hanno esitato ad utilizzare qualunque forma di repressione per stroncare il movimento”. Intervista a Vittorio Agnoletto storico portavoce del Genova Social Forum 

di Laura Tussi



A distanza di oltre vent’anni dal G8 di Genova, il ricordo di quei giorni resta inciso

come una delle pagine più drammatiche della storia recente italiana. In mezzo al
caos, tra le inaudite violenze della caserma Diaz, le cariche indiscriminate e le
torture a Bolzaneto, emerse la figura di Vittorio Agnoletto, allora portavoce e
presidente del Genoa Social Forum. In un contesto difficilissimo seppe mantenere
lucidità, equilibrio e senso di responsabilità, diventando punto di riferimento per
decine di migliaia di persone scese in piazza per un altro mondo possibile. La sua
testimonianza è ancora oggi preziosa, perché ricorda come il movimento si trovò
di fronte a «poteri estremamente forti, politici, economici e finanziari, che non
hanno esitato ad utilizzare qualunque forma di repressione per stroncare quel
movimento».

Medico del lavoro e docente universitario, Agnoletto ha un lungo percorso di
impegno civile e politico: attivo nei movimenti per la salute e contro le
disuguaglianze, portò avanti battaglie internazionali per l’accesso universale ai
farmaci e per i diritti delle persone sieropositive, fondando la LILA, la Lega italiana
per la lotta contro l’AIDS. Dal 2004 al 2009 è stato europarlamentare per la
Sinistra Europea, distinguendosi per le posizioni in difesa dei beni comuni, dei
diritti sociali e della cooperazione internazionale. A Genova la sua autorevolezza e
il suo rigore morale permisero al Social Forum di avere una guida capace di
coniugare fermezza e dialogo, visione politica e capacità organizzativa. Il suo
impegno, radicato in un’etica della responsabilità e della non violenza, ha segnato
un’intera generazione di militanti e continua a rappresentare una voce critica e
lucida nel panorama pubblico italiano.

Sono passati quasi venticinque anni da Genova 2001. Un momento che ha
segnato la vita di molte persone e che ancora oggi, dopo tante analisi
politiche, indagini, processi, è una ferita aperta nella storia italiana. Come
racconteresti ad una ragazza o a un ragazzo nato nel 2001 o dopo, l’epoca
di Genova?
Direi loro che abbiamo fatto di tutto per lasciare ai giovani un mondo migliore e
che il movimento altermondialista dell’inizio di questo millennio ha rappresentato
un atto di enorme generosità perché, come ha ricordato Susan George, è forse
stato il primo movimento di persone che non lottavano per avere un vantaggio per
sé stesse, ma che lottavano per le generazioni future.
Ci siamo scontrati con dei poteri estremamente forti, poteri politici, economici e
finanziari che non hanno esitato ad utilizzare qualunque forma di repressione per
stroncare quel movimento. Proprio quel movimento però ha prodotto risultati
estremamente importanti in tante parti del mondo. Penso, per esempio, a quanto
è avvenuto in America Latina dove l’incontro tra i movimenti e le forze politiche di
sinistra ha aperto un decennio di grandi cambiamenti nel quale milioni e milioni di
persone sono state sottratte alla fame. In Europa il movimento è stato stroncato
dalla repressione, ma ha seminato molto. Per esempio, credo che il risultato
ottenuto dieci anni dopo sul referendum per l’acqua bene comune sia stato anche
il risultato del movimento di Porto Alegre e di Genova. Prima di quegli anni il
termine “Beni Comuni” non esisteva e a Porto Alegre e a Genova nel 2001 si
comincia a dire in modo molto chiaro che ci sono dei beni e che sono essenziali per
la vita umana e che devono essere sottratti alle leggi e alle logiche nefaste del
mercato.

Alcune caratteristiche di quel movimento erano innovative, dalle decisioni
prese per consenso alla capacità di trovare convergenze fra diversi.
Secondo te, cosa ci hanno lasciato oggi le intuizioni del movimento
altermondialista?
Quel movimento ha rappresentato un’esperienza unica nella storia del nostro
Paese. Non vi è mai stato un movimento così vasto in grado di muoversi in modo
unitario. Abbiamo sempre preso le decisioni per consenso. È vero. Ma
l’interessante è spiegare in che modo abbiamo praticato questo obiettivo. Non
dovevamo per forza essere tutti d’accordo su tutto. La questione era impostata in
un altro modo. Ci siamo detti: abbiamo tutti sottoscritto un “Patto di lavoro” e un
documento sulle forme di mobilitazione (5/6/2001) che delineano l’orizzonte
dentro il quale ci muoviamo; sono le idee e le regole che tutti abbiamo condiviso.
All’interno di quanto stabilito nei due documenti è possibile prendere anche
iniziative diverse. Pensiamo a Genova, a venerdì 20 luglio, quando abbiamo
circondato la zona rossa. L’obiettivo non era che ognuno dichiarasse “io sono
disponibile a partecipare a tutte le iniziative proposte”, ma che nessuno dei
portavoce si alzasse per dichiarare che “No, quell’iniziativa che voi proponete non
si può fare, è in contrasto con il Patto di Lavoro e con quanto abbiamo
sottoscritto.”

I missionari, ad esempio, potevano dire: “Io pregherò a Boccadasse e non
parteciperò al corteo delle Tute Bianche. Ma ritengo che le modalità con cui sarà
organizzato quel corteo siano interne a quanto previsto dai documenti che tutti
abbiamo sottoscritto.” E così via. Chi aveva proposto l’iniziativa delle Tute Bianche
diceva “Noi faremo il corteo con le modalità indicate, nel rispetto delle persone e
delle cose e non andremo a Boccadasse a pregare, ma riteniamo che anche quella
scelta si inserisca all’interno di quanto scritto nel “Patto di Lavoro”. In questo
modo la sintesi uscita dalla riunione dei portavoce, non era un accordo al ribasso,
ma era un’intesa che rilanciava e teneva unito il movimento.
Il consiglio dei portavoce, costituito da diciotto persone, era anch’esso uno
strumento importante di democrazia. Ogni portavoce si riferiva a un gruppo di
associazioni, comitati, sindacati di base e Fiom e via dicendo con il quale era
omogeneo per settore di intervento: dalle associazioni che lavorano sull’ambiente
e quelle di solidarietà coi migranti, a quelle impegnate nella tutela della salute e
così via. Ogni portavoce riportava la discussione del Consiglio alle associazioni che
rappresentava e il parere di costoro nella riunione dei portavoce. Una volta
assunte le decisioni il portavoce del movimento, il sottoscritto, le doveva
comunicare all’esterno cercando di rappresentare l’immagine e l’unità del
movimento. Era un’unità reale ed è quella che ha spaventato molti poteri.
Infatti, hanno fatto di tutto per cercare di rompere quell’ unità. Ecco, credo che
questo modello potrebbe fornire anche idee e suggerimenti nella situazione attuale
dove vi sono diversi movimenti e campagne, spesso monotematici, che hanno
difficoltà nel lavorare insieme e a costruire delle reti. Forse da quell’esperienza ci
può arrivare qualche insegnamento.

Sei stato presidente nazionale della LILA (Lega Italiana per la Lotta
contro l’AIDS). Hai avuto importanti incarichi presso il ministero della
salute e nel 1994 sei stato “medico dell’anno” secondo la rivista
specializzata “Stampa Medica”. La visibilità che ti ha dato l’essere stato il
portavoce del Genoa Social Forum, ha in qualche modo determinato
cambiamenti nella tua vita professionale? Hai subito ritorsioni a causa
delle tue scelte?
Non vi è ombra di dubbio che l’esperienza del Genoa Social Forum (GSF) ha
modificato completamente la mia vita, anche perché contro il GSF è stato costruito
un muro durissimo, lo dobbiamo dire, dall’insieme del sistema politico, partitico,
mediatico. Salvo pochissime eccezioni è subentrato un tentativo di criminalizzare
fortemente il movimento. Non dimentichiamo che addirittura ci sono state
proposte di considerare il GSF un’associazione sovversiva. E ovviamente anche la
mia vita e la mia figura ne hanno risentito. Sono stato escluso e buttato fuori dalla
Commissione Nazionale AIDS e dalla Commissione per la lotta alle
tossicodipendenze, che facevano riferimento l’una del ministero della Sanità e
l’altra del ministero degli Affari sociali. Sono stato espulso da un giorno all’altro.
Non perché non avessi più le competenze scientifiche, ma per decisione politica
dei ministri di allora. La mia vita anche lavorativa ha dovuto ricominciare
completamente dall’inizio. Eppure, avevo già quarantatré anni.

Detto questo, rifarei quelle scelte perché credo che nella vita sia importante essere coerenti nei comportamenti con quello che si pensa, con le proprie idee, consapevoli che,
quando si fanno determinate scelte queste poi si pagano.
Anche perché che senso avrebbe avuto continuare a battermi con la Lila per far
arrivare i farmaci contro l’AIDS in tutto il mondo, lottando contro i brevetti e
contemporaneamente far finta di non sapere che quelle decisioni erano frutto delle
politiche neoliberiste decise dall’Organizzazione Mondiale del Commercio,
d’accordo con Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale che in quella fase
storica operavano sotto la regia del G8? Non sarebbe stato serio non denunciare
quelle responsabilità.
Poi ognuno, ovviamente, sceglie che senso dare alla propria vita.

Dopo Genova 2001, lo smarrimento si è impadronito di molte persone,
molti giovani soprattutto che hanno sperimentato il volto feroce dello
Stato. Quel volto feroce che, anche oggi si manifesta verso le persone più
deboli e indifese. Tu pensi che l’azione nonviolenta che comincia a
manifestarsi, soprattutto in forma spontanea, possa diventare contagiosa
ed essere motivo di speranza?
Mi auguro che l’azione nonviolenta possa diventare contagiosa. Credo alla forza
delle azioni nonviolente quando sono azioni collettive e di massa; per realizzare
queste è necessario un altissimo livello di consapevolezza e di coscienza politica.
Costruire azioni nonviolente di massa richiede tempo, esperienza e grande fatica,
ma è evidente che il confronto deve svolgersi su questo terreno. Se andiamo su
altri terreni rischiamo di contribuire alla fine della Storia umana. Alla fine del
pianeta. Non credo che ci possa essere una soluzione con la forza. Non lo credo
per quello che riguarda le dinamiche sociali e tantomeno lo credo per quello che
riguarda il quadro politico internazionale.

Sei stato parlamentare europeo dal 2004 al 2009 e in seguito, nel 2010,
candidato alla presidenza della Regione Lombardia. Poi, nel 2015 hai
fondato, insieme ad Emilio Molinari e Piero Basso, l’associazione
“Costituzione Beni Comuni”. Questa scelta di “uscire” dall’ambito
istituzionale da cosa è stata motivata? Quali sono gli ambiti di cui si
occupa l’associazione?
Costituzioni Beni Comuni si occupa dei temi contenuti nel nome stesso
dell’associazione: si batte per difendere i principi della Costituzione italiana e in
particolare per sottolineare come i diritti devono prevalere sulle leggi del mercato.
In questo contesto troviamo la battaglia per i Beni Comuni, per l’acqua, per
l’accesso ai farmaci, impegno che condivido anche in Medicina Democratica, per
un lavoro stabile sottratto alla precarietà e per tante altre istanze.
Ma il punto centrale è sempre il conflitto, che attualmente attraversa tutto il
mondo, tra la logica del profitto e l’affermazione dei diritti umani. Non vi è
nessuna possibilità di mediazione, anche perché i diritti sono un unico insieme
indivisibile e questo oggi è estremamente attuale. Non si possono dividere i diritti
civili dai diritti sociali o ci sono entrambi o non ci sono i diritti. I diritti civili
riguardano più gli aspetti dell’individualità, mentre i diritti sociali riguardano quella
parte di ciascuno di noi che è collettività e che è socialità e ambedue questi diritti
hanno dietro secoli di lotta. Non bisogna dividerli. Li dobbiamo tenere insieme.
Questo è uno dei principi fondanti di Costituzione Beni Comuni.

Credo che in questo momento il ruolo che possono svolgere le associazioni e la
società civile e i movimenti possa essere estremamente importante. Nel mondo
politico vedo degli orizzonti molto molto limitati e anche troppo autocentrati.
Siamo in un momento complicato. Gli schemi del passato servono poco.
Necessitiamo di elaborare nuovi orizzonti e nuovi immaginari sul mondo che
vogliamo e credo che questo lavoro fondamentale possa realizzarsi principalmente
nella società civile. Detto questo non è che il bene sta da una parte e il male
dall’altra.
La politica istituzionale è e resta assolutamente necessaria, così come nella società
civile abbiamo purtroppo esempi di associazioni che mettono al primo posto
l’esaltazione della loro identità anziché gli obiettivi per i quali dicono di battersi.
Quindi non esiste una linea di demarcazione così netta, ma credo che oggi la
priorità sia quella, dentro il mondo della società civile, di elaborare e di
sperimentare nei territori pratiche di democrazia e di liberazione, perché una
teoria senza pratiche non va lontano.

Secondo la tua esperienza e guardando alla realtà odierna, su quali temi
le realtà attente alla solidarietà e alla costruzione di umanità dovrebbero
oggi maggiormente impegnarsi?
I temi li conosciamo tutti. Ne continuate a parlare e svolgete un lavoro incredibile
voi stessi, Laura e Fabrizio, di elaborazione e di divulgazione.
Oggi siamo consapevoli che per la prima volta nella storia umana in discussione vi
è il futuro dell’umanità e il futuro del pianeta e non è detto che le due cose
coincidano per forza. Perché potrebbe, un domani, esserci anche un pianeta senza
umanità per come siamo messi. Quindi l’obiettivo principale è dare un futuro al
Pianeta e agli esseri viventi e per fare questo è necessario cambiare il modello di
sviluppo e anche rallentare e modificare i ritmi delle nostre vite.
È altresì necessario costruire sperimentazioni di convivenza globale e quindi
estromettere la guerra dalla Storia e tutto questo non si può fare senza una lotta
per la giustizia sociale, ma queste sono cose che conoscete bene. Oggi è
prioritario costruire ponti tra i vari movimenti. Esistono i movimenti per la pace,
quelli per i diritti dei migranti, movimenti ambientalisti e quelli per il diritto alla
salute e all’abitare, solo per citarne alcuni. Dobbiamo avere la stessa
consapevolezza che abbiamo avuto vent’anni fa costruendo il Genoa Social Forum:
nessuno di noi può vincere la propria singola battaglia. Da soli noi non vinceremo
mai. Parlo anche di me, del nostro impegno contro i brevetti sui farmaci e sui
vaccini, campagna che non potrà raggiungere il suo obiettivo se non riusciremo
almeno a ridimensionare fortemente il potere dell’Organizzazione Mondiale del
Commercio (OMC) che è uno dei pilastri del neoliberismo.

L’OMC è anche l’organizzazione che distrugge l’agricoltura di prossimità, protegge
l’agrobusiness, favorisce la conquista dei terreni in Africa da parte delle
multinazionali con il conseguente abbandono delle terre da parte dei contadini e i
processi migratori forzati che ne conseguono. Allora se, dalla parte del
neoliberismo tutto si tiene, è fondamentale che a maggior ragione questo avvenga
anche dalla nostra parte.
Dobbiamo far sì che i nostri movimenti, certo rimanendo centrati sulla propria
specificità, imparino a lavorare insieme a trovare le connessioni. Così come
abbiamo imparato che ogni lotta ha una dimensione locale e una globale, così oggi
dobbiamo essere consapevoli che una campagna settoriale non ha nessuna
possibilità di cambiare la nostra situazione e di costruire un futuro diverso. Forse è
assolutamente inflazionata questa parola: “Ponti”; però credo che sia attuale, non
solo per ripudiare le guerre; dobbiamo costruire ponti e ponti, reti e strumenti di
connessione e comunicazione ed è anche venuto il momento di dire che queste
devono essere imprese collettive.

Davanti non dobbiamo mettere l’ “io”.
Nel momento in cui l’umanità rischia di non avere futuro davanti ci deve essere il
‘noi’ e per ‘noi’ dobbiamo intendere l’insieme dell’umanità. Non è un principio
religioso o puramente etico, è certamente anche un principio etico, ma oggi
coincide con l’obiettivo della sopravvivenza ed è quello che ci distingue
dall’avversario. Perché il neoliberismo ci sta massacrando tutti, sta concentrando il
potere in un numero sempre minore di persone, ma poi, tra gli stessi
rappresentanti del neoliberismo si innescano guerre e confronti letali per la
conquista di fette sempre maggiori di mercati e di profitti. Così come, per fare un
esempio su un altro terreno, il nazionalismo, produce conflitti e guerre tra i
sostenitori dei vari nazionalismi che oggi sembrano uniti come un solo uomo nel
dare la caccia ai migranti. È sufficiente guardare quello che in questo periodo
storico sta accadendo nel nostro Paese e in Ungheria. Ecco noi dobbiamo avere
proprio una prassi diversa. Superare ogni forma di individualismo e lasciare lo
spazio al “noi” e noi è l’umanità: l’umanità intera.

Su quali basi e con quali soggetti potrebbe riemergere oggi, a livello
nazionale e internazionale, un movimento con tanta intensità?
Sapessi rispondere non saremmo qui a discutere, ma staremmo conducendo delle
battaglie vittoriose.
Non ho una risposta su tutto questo. Penso solo che oggi non ci sia più spazio per
movimenti a dimensione puramente nazionale. Lo scontro è globale, i movimenti
devono essere globali, le strategie devono essere globali; questo è anche uno dei
motivi della crisi della politica, perché la politica partitica, se va bene, si dà un
orizzonte nazionale e in tempi limitatissimi, ad esempio quelli di una legislatura
legati alle fortune di uno o di un altro leader. Quindi dobbiamo costruire
movimenti universali e alleanze con i popoli di tutti i continenti, avendo la capacità
precisa di individuare l’avversario. Un esempio. Lo continuo a ripetere: è
inaccettabili che la vita di otto miliardi di persone sia nelle mani di quattro o
cinque consigli di amministrazione delle aziende che producono farmaci e vaccini e
che ne detengono i brevetti.

Organizzare una campagna mondiale contro questa situazione significa
organizzare una vertenza mondiale per un vero diritto alla vita che ovviamente si
coordini strettamente con quella contro le guerre; e tutto questo, a sua volta si
deve connettere con le altre campagne, come quelle per la difesa dell’ambiente
perché sappiamo che non ci può essere un futuro per una parte sola dell’umanità.
Dobbiamo sottolineare e non sottovalutare due aspetti. Innanzitutto, l’importanza
dell’informazione. La rete web è fondamentale perché oggi, anche nei Paesi
occidentali, non solo in quelli con sistemi dittatoriali, i mezzi di comunicazione
sottostanno a logiche monopolistiche e in Italia lo sperimentiamo molto più che in
altri Paesi.

Anche per questo è importante il lavoro e l’impegno che voi portate avanti
quotidianamente, un contributo piccolo, ma che si inserisce in un processo ampio,
fondamentale e articolato di informazione alternativa.
L’altro aspetto importantissimo è l’educazione, che significa anche costruzione di
memoria. Sono preoccupatissimo del fatto che le giovani generazioni studino
sempre meno la Storia; che non conoscano il passato e quindi abbiano difficoltà a
connettere tra di loro i singoli eventi e a dotarsi di una lettura generale. È
fondamentale fare informazione, educazione e formazione e non è un caso che il
nostro avversario, cioè il neoliberismo, agisca per distruggere la scuola pubblica e
l’università. Al neoliberismo non servono persone pensanti, non ha bisogno di
cittadini in grado di sviluppare una capacità critica. Ha bisogno solo di persone
pronte ad obbedire.


(con la collaborazione di Fabrizio Cracolici attivista per la pace e videomaker, coautore con Laura di molti libri e articoli)

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