Gaza è un genocidio al femminile perché le maggiori vittime sono donne che mettono al mondo a vita e danno luce all’esistenza
Gaza è un genocidio al femminile perché le maggiori vittime sono donne che mettono al mondo la vita e danno luce all’esistenza
di Laura Tussi
Gaza continua a sanguinare. Ogni giorno nuovi bombardamenti, nuove macerie, nuove vite spezzate. Ma ciò che segna in modo devastante e irreversibile questo dramma è il volto femminile del genocidio in corso. Le statistiche, pur nella loro crudezza, ci parlano chiaro: secondo i dati delle Nazioni Unite, oltre il 70% delle vittime civili sono donne e bambini. Le maggiori vittime sono le donne, madri, giovani ragazze che custodiscono il mistero della vita. Donne che mettono al mondo i figli, che donano luce all’esistenza e che oggi vengono colpite con ferocia inaudita.
Non è solo una guerra di distruzione materiale, ma un attacco al cuore stesso della generatività. Uccidere una donna significa recidere un albero di vita, significa cancellare la possibilità di un futuro. Le madri di Gaza vengono ferite due volte: nel corpo, perché i bombardamenti non risparmiano nessuno, e nell’anima, perché assistono impotenti alla morte dei figli. Una ginecologa palestinese, in una testimonianza raccolta da Medici Senza Frontiere, ha raccontato: “Ogni parto qui è un atto di resistenza. Ogni madre che sopravvive e stringe il suo bambino tra le macerie è un miracolo che sfida la morte”.
Il genocidio assume così una dimensione specificamente femminile: cancellare le donne equivale a impedire che la vita continui, che la comunità possa rigenerarsi, che la speranza possa ancora respirare. È come colpire le radici stesse dell’umanità. Amnesty International ha denunciato che “gli attacchi indiscriminati hanno devastato il sistema sanitario, privando le donne di cure fondamentali durante la gravidanza e il parto”.
La tragedia del dolore innocente si consuma ogni giorno tra le macerie di Gaza. Le donne raccolgono i corpi dei figli, lavano il sangue dalle strade, cercano di dare un po’ di pane e acqua ai più piccoli, mentre la comunità internazionale resta paralizzata. Eppure queste donne non sono soltanto vittime: sono testimoni di resistenza, custodi della memoria, custodi di una speranza che nessuna bomba può spegnere del tutto. Una giovane di Rafah ha detto ad alcuni osservatori dell’ONU: “Ci vogliono cancellare come madri, ma noi continueremo a mettere al mondo la vita, anche dentro le rovine”.
Gaza è genocidio al femminile perché la logica della guerra non tollera la generatività, non accetta la forza mite di chi dona la vita. Nel volto delle madri palestinesi, sporco di polvere e rigato dalle lacrime, leggiamo una verità che ci riguarda tutti: non c’è pace senza giustizia, non c’è futuro senza dignità, non c’è vita senza il rispetto del grembo che genera.
Occorre ascoltare queste donne, dar loro voce, proteggerle con la forza del diritto internazionale e con la coscienza civile del mondo intero. Perché se lasciamo che la maternità venga annientata sotto le bombe, tradiremo noi stessi, la nostra umanità e la nostra capacità di futuro.
Gaza è genocidio al femminile. E da questa verità dobbiamo partire, con la forza della denuncia e con la radicalità della pace, per costruire un mondo diverso, un mondo dove la vita sia sacra e inviolabile.
Donna nelle relazioni per una società impostata sul portato della pace e della giustizia sociale per i più fragili dell’umanità
La finalizzazione delle differenze per impostare e connettere legami di amore e pace tra le implicite e esplicite diversità del genere umano.
Per ogni essere umano vivere significa costruire, instaurare ponti di relazioni, all’interno dei quali ciascuno si riconosce come essere sessuato in rapporto con altri di sesso simile e diverso. Riflettere intorno a questo tema significa impegnarsi rispetto all’incontro, alla comunicazione con l’altra e l’altro: “Solo e sola non esisto. Ho bisogno del mio tu”. Questo riflette l’alto portato dell’ideale di pace in ogni longitudine e latitudine del nostro martoriato pianeta e della nostra comune umanità sul baratro della crisi dell’annientamento.
La relazione, l’incontro, la comunicazione rivelano identità, similitudini, affinità ma anche differenze.
“Io sono, tu esisti”: pari e diversi, ma l’identità può omogeneizzare ed omologare e appianare le diversità e la differenza può mutarsi in estraneità, ostilità, competitività ed esclusione.
Occorre diventare “noi”, come comunità e pluralità che abbracciano posizioni diverse ed anche conflittuali.
Intendendo il conflitto come dinamica pedagogica di condivisione d’amore e non come risoluzione armata che porta sempre a ulteriore violenza. Gaza ad esempio è un genocidio al femminile perché le vittime principali sono le donne che generano e mettono alla luce la vita e l’esistenza degli esseri umani.
L’Agape biblico, l’amore fraterno e di genere insegna a finalizzare le differenze per impedire loro di diventare possesso, prevaricazione, sfruttamento, dipendenza, violenza, guerra. L’amore è la base dell’ideale sommo della pace e della giustizia sociale anche per un riscatto dei più fragili di Madre Terra.
L’amore insegna ad essere propositivi: “Io accolgo la tua differenza e tu la mia, per amore”, lasciandoci penetrare da questa reciprocità, vivendola come il dono in cui ognuno accoglie l’altro lasciandolo diverso. “Amo ciò che è in te e resta altro da me” (Luce Irigaray)
“Crescere, perciò vivere di relazioni, significa aprirsi ad un rapporto positivo con la propria realtà fatta di progetti e desideri che passano attraverso un corpo e si esprimono in un sesso, per riuscire ad amare tutto questo anche negli altri” sostiene Jacobelli.
Ogni atteggiamento che ignori le soggettività, mortifichi le dignità e codifichi un non ascolto, abbozzi spietatamente una negazione e disconferma dell’altro, calpesta sempre il contributo che ognuno ha, uomo e donna, da offrire al mondo, alla vita, alla verità ed impoverisca l’intera umanità.
Emerge una forte coscienza della diversità, della differenza come valore: il riferimento esplicito è al genio femminile.
Una specificità femminile che non contrasta in nessun modo con l’affermazione delle pari dignità nei rapporti di genere. La stessa evoluzione del femminismo colloca la ricerca della parità in un’ottica di tutela e di salvaguardia e non distruzione della diversità.
La presenza femminile dentro la società potrebbe maggiormente modificare le logiche che regolano la politica ed il lavoro, oltre che la cultura economicistica e utilitaristica corrente.
La sensibilità femminile può aiutare a percepire in particolare valori come la dimensione umana della vita, la disponibilità e solidarietà verso gli altri, la cura ed il farsi carico dei più deboli.
Ne consegue la necessità della formazione ed educazione alla diversità, per riconciliare le donne e gli uomini con la propria identità.
Dal femminismo elitario si è passati alla coscienza più allargata e inquietante, dalla inquieta trasgressione ed autonomia alla scomoda ricerca/proposta di integrazione della donna in un tessuto di solidarietà più ampio, di più vasto respiro, anche se spesso conflittuale.
Da questi presupposti scaturisce la richiesta di impegno concreto nelle istituzioni, il desiderio di introdurre nel macro-sociale le esperienze vissute dalla donna per secoli nel corso della “storia” (con la s minuscola) nel microsociale, l’esigenza del confronto di genere, uomo/donna sul terreno del quotidiano.
Il nucleo centrale dell’argomentazione è la ricerca di nuova solidarietà, di partecipazione delle donne alla costruzione della storia e di produzione di cultura e di legami di pace oltre che di amore in senso spirituale e psichico e fisico.
Nell’attualità così inquieta e difficile e complessa il contributo femminile appare una ricchezza forse decisiva per ricostruire un tessuto sociale smagliato, una società da ritessere nelle sue trame di reciprocità, di dialogo, di solidarietà, di pace e di giustizia sociale.
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