“Giovanni Pesce. Per non dimenticare”
“Giovanni Pesce. Per non dimenticare”. Dalla guerriglia antifascista alle posizioni contro l’energia nucleare, in un documento dall’alto spessore storico e culturale
di Laura Tussi
Con Fabrizio Cracolici, abbiamo lavorato insieme fino al 2021 – anno in cui Cracolici ha lasciato la presidenza Anpi locale a una persona più giovane – con l’Archivio Storico della città di Nova Milanese, alla memoria della Guerra di Liberazione, e abbiamo “scoperto” e restaurato un video inedito (le vecchie bobine erano abbandonate negli scaffali polverosi di una biblioteca!) che possiamo ritenere di notevole importanza storica e culturale: una intervista, risalente al lontano 1983, effettuata dai bibliotecari, al nostro partigiano ormai scomparso (nato nel 1918, è morto nel 2007), militante comunista di estrazione e origine operaia, conosciuto con il nome di battaglia “Visone” e “Ivaldi”.
A Calolziocorte un piccolo paese del circondario di Lecco sorge una attivissima realtà ossia Arci Spazio Condiviso che ha ospitato la presentazione del libro “Giovanni Pesce. Per non dimenticare” (edito da Mimesis) curato da chi scrive in collaborazione con Fabrizio Cracolici, videomaker e attivista per la pace.
Un
folto pubblico di amici e conoscenti, molto grati per il racconto
riportato, ha ascoltato le parole contenute nell’intervista inedita di
Pesce, narrazioni di pace che, ricolme di coraggio, risultano più che
mai attuali nei tempi oscurantisti e repressivi che stiamo vivendo
tutti.
Dal video è stato ricavato un
libro, corredato di DVD con appunto l’intervista-video di Pesce,
pubblicato dalla Mimesis Edizioni, che riporta anche testimonianze di
note personalità del mondo della politica e dello spettacolo che lo
hanno conosciuto e frequentato: Vittorio Agnoletto, Daniele Biacchessi,
Moni Ovadia; ed infine, ovviamente – non poteva mancare – la figlia
Tiziana Pesce.
Nel
video Giovanni Pesce racconta la propria vita, dal duro lavoro, come
migrante, in miniera, a La Grand Combe, nel sud della Francia, alle
leggendarie azioni di lotta nelle Brigate Internazionali, contro il
regime fascista del generale Franco, in Spagna, dal confino a Ventotene
alla Resistenza Partigiana Antifascista a capo dei GAP (gruppi di azione
patriottica) sia a Torino, che a Milano, con il compagno di lotte, il
leggendario Dante di Nanni.
Molto
importante è la storia d’amore di Pesce con la sua compagna di vita e di
lotta Onorina Brambilla detta Nori. Essi si incontrano nella Milano
occupata dai nazisti, stremata, affamata, disseminata di luoghi
dell’orrore: è Daniele Biacchessi che racconta come diventeranno
inseparabili ed intrecceranno le loro vite anche all’insegna della lotta
antifascista (vedi: “Giovanni e Nori, una storia d’amore e di
Resistenza”, Laterza, 2014).
La figura di Pesce è complessa e nobile e va inquadrata in un periodo storico che non può prescindere dalla soggettività dei protagonisti di allora: essi combattevano un “male assoluto” – il nazifascismo – secondo la stessa definizione di Gianfranco Fini, che del MSI è stato l’ultimo segretario e questo riconoscimento va considerato una vittoria della cultura antifascista.
Allo
stesso tempo però in molti credevano – e Pesce era tra questi – in un
“Paradiso in Terra” per la verità molto relativo, degenerato per la
pretesa di imporre con la forza condizioni sociali irrealizzabili.
Sempre più la Storia avrebbe rivelato che il “comunismo reale”, quello
di Stalin, si trattava di pura illusione, infangata da crimini
imperdonabili, secondo lo stesso rapporto di Krushev al XX Congresso del
PCUS (1956).
L’idea che, secondo
Pesce, anche l’Italia debba imitare la Russia dei Soviet è la parte
caduca della sua eredità politica e culturale: resta invece pienamente
valida la sua idea pacifista, anche se non nonviolenta, che, proprio per
l’esperienza dei tragici conflitti mondiali, bisognasse finirla con
tutte le guerre, e l’invito conseguente ai giovani a battersi per il
disarmo nucleare, quindi per la sopravvivenza dell’Umanità.
Ecco l’appello pacifista ed antinucleare di Pesce che possiamo ascoltare dalla sua viva voce nel DVD allegato al libro curato da chi scrive con Cracolici: “Far parte di questa associazione, l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, che raccoglie e unisce la stragrande maggioranza dei Partigiani significa continuare, attraverso l’attività politica e organizzativa, a difendere gli ideali della Resistenza e a denunciare di fronte all’opinione pubblica gli scandali, la corruzione, quanto sta avvenendo nel nostro Paese, ma soprattutto, attraverso la nostra associazione, lottare per portare a compimento gli ideali della Resistenza. Ma credo che l’attività principale dell’ANPI è quella oggi di far rivivere lo spirito dell’unità antifascista, di far rivivere lo spirito della Resistenza, per impegnare tutte le forze politiche a lottare con più convinzione e denunciare il pericolo di guerra. Una denuncia per coloro che fomentano la guerra, per coloro che attraverso il terrorismo, le bombe, l’energia nucleare, vorrebbero scatenare il terzo conflitto mondiale. Il nostro scopo è soprattutto quello della lotta per la Pace…”.
In questo appello possiamo ritrovare una consonanza con un altro grande partigiano, Stéphane Hessel, padre costituente della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, di matrice culturale socialista libertaria, il cui messaggio per la verità, ed il suo motto: “la nonviolenza è il cammino che dobbiamo imparare a percorrere”, sono stati giudicati molto più attraenti ed attuali dai movimenti dei giovani “indignati”, che hanno occupato le piazze di tutto il mondo affermando, nella scia delle analisi di Hessel, che “la Nuova Resistenza è la lotta contro la dittatura finanziaria, il conflitto sociale fondamentale oppone l’1% dei parassiti straricchi al 99% della gente comune ovunque, le basi del programma sociale della Resistenza storica sono ancora valide”.
Tiziana Pesce mi aiuta ora ad introdurre un aspetto che ritengo molto importante per la definizione della personalità e dell’importanza del padre: la sua abilità di guerrigliero che combatte in modo diverso dall’esercito di tipo tradizionale. “Per ciò che riguarda i gappisti mio padre affermava: “La tattica militare insegna che bisogna colpire il nemico nel punto in cui è più debole, invece la guerra partigiana impone una tattica diversa. Si deve colpire il nemico là dove è più forte e dove può ricevere colpi più duri. Ma si deve sempre colpire con la tattica del mordi e fuggi. Per questo motivo i gappisti, pur essendo pochi, potevano far sentire la loro presenza. Ma per ottenere questo risultato bisognava attenersi scrupolosamente alle regole della clandestinità e vivere in solitudine.
Si dovevano scegliere obiettivi politici per creare seri problemi al nemico, ma si doveva stare attenti a non colpire la popolazione civile. Spesso la nostra umanità ci esponeva a rischi maggiori perché cercavamo di distruggere luoghi presidiati dal nemico volendo comunque salvare la vita dei civili”.
La
competenza guerrigliera di Giovanni Pesce, che possiamo considerare il
“Che Guevara italiano” non solo per il grande coraggio ed ardimento
sempre dimostrato, ma per la sua capacità di coordinamento generale
delle azioni armate, va comunque tenuta in gran conto e ben studiata da
parte di chi si propone di progettare, sperimentare, realizzare un
modello di difesa sociale difensiva, alternativo a quello
professionalizzato e nuclearizzato NATO, non solo per l’Italia, ma per
l’intera Europa.
Un modello che, per
l’appunto, sia conforme allo spirito, ma anche alla lettera, della
Costituzione italiana: l’uso della forza militare non deve concernere
proiezioni di potenza all’esterno dei propri confini bensì solo
respingere aggressioni armate in atto facendo leva soprattutto, di
fronte ad eserciti preponderanti, sulla forza dell’unità popolare.
Nel
processo di transarmo che, ad esempio, gli obiettori alle spese
militari propugnano, si prevede di accrescere gradualmente il peso, fin
da subito rilevante, della componente civile rispetto alla componente
militare della difesa; che comunque va mantenuta e finalizzata a
politiche di pace appoggiate sui concetti fondamentali di “sicurezza
umana” e “sicurezza comune”.
Nel
frattempo deve crescere una difesa popolare nonviolenta (DPN) di base
che si sviluppa e si sperimenta nelle pratiche di lotta territoriali. Ad
esempio la resistenza alle Grandi Opere Inutili e Imposte, che trovano
un esempio trainante nei No-TAV della Valle di Susa.
La sperimentazione attuale può portare alla Rete di Ambasciate di pace, per una diplomazia popolare di base. Un esempio: il sostegno politico all’obiettivo di un Medio Oriente denuclearizzato, o ai Corpi civili di pace, se si vuole intervenire in conflitti esterni con metodo nonviolento.
Per
finire va riconosciuto ed apprezzato il lavoro svolto nell’ambito del
progetto istituzionale dal titolo emblematico “Per non dimenticare” da
noi promosso e curato fino al 2021.
Con
Fabrizio mi trovo a condividere un percorso – delicato e difficile –
per coinvolgere l’ANPI e le realtà antifasciste nella cultura
nonviolenta: non siamo oggi ai tempi della lotta contro Mussolini ed
Hitler (ed il militarismo giapponese), possiamo e dobbiamo impedire con
una intelligente strategia preventiva che ci si trovi in uno stato di
necessità dove non si agisce affatto, ma solo si reagisce, come si fu
costretti a fare nell’orribile periodo che anche Giovanni Pesce ci
richiama a non far ritornare: dobbiamo combattere politicamente per
tempo, con mezzi di pace omogenei a fini di pace, forze e realtà sociali
di pace.
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