Dall'uomo indebitato a quello frustrato: se la miseria non produce rabbia ma rassegnazione
Qualche anno or sono si parlava della condizione del lavoratore o dell'essere umano indebitato solo per arrivare a fine mese, per pagare mutui, onorare prestiti bancari o semplicemente per mettere insieme pranzo e cena, fu oggetto di studio in un libro di Maurizio Lazzarato che analizzava, qualche anno or sono, dal punto di vista economico e filosofico una condizione diffusa tra la classe lavoratrice.
Quel lavoratore non ha acquisito nel tempo coscienza della sua condizione e del lento erodersi dello stato sociale, meno che mai ha acquisito consapevolezza delle cause (profonde) della erosione del potere di acquisto e di contrattazione.
A distanza di quasi tre lustri possiamo ammettere errori e ritardi del movimento operaio nel trasmettere coscienza diffusa di una condizione economica e sociale non passeggera ma di lungo corso.
Ripensavamo al lavoratore indebitato nell'ascoltare la relazione del rapporto Gallup sulla percezione che la forza lavoro possiede a proposito della propria condizione di vita, ebbene a dominare sono sentimenti diffusi di profonda stanchezza, insoddisfazione e frustrazione. Ci chiediamo se la percezione diffusa tra la forza lavoro italiana sia poi differente da quella registrata in altri paesi europei, di certo la frustrazione non si traduce in rabbia e opposizione sociale a conferma che la bassa conflittualità tra capitale e lavoro in terra italica
Per esperienza diretta sappiamo quanto siano diffusi esaurimento, estraneità e anche sindrome di autentica dissociazione del lavoratore dalla propria condizione di vita e lavorativa, ci si ammala da tempo sul lavoro e per il lavoro non solo contraendo malattie professionali ma anche perchè diffusi sono gli episodi di mobbing,le pressioni datoriali e dei loro sottoposti, le forme di burn-out sono assai presenti e più di quanto si pensi tanto che numerose aziende prevedono periodicamente la presenza di psicologi, di colloqui motivazionali, di sportelli di ascolto.
Un lavoro mal pagato è causa di malessere ma i bassi salari non hanno prodotto, eccetto nella logistica per iniziativa di pochissimi sindacati conflittuali, movimenti di rottura. Poi il welfare inadeguato e insufficiente non aiutano le famiglie a trovare soluzioni per la cura di minori ed anziani, gli squilibri tra vita privata e lavoro sono crescenti come anche i meccanismi di controllo e di repressione
Ma questo malessere non è oggetto di riflessione collettiva, le risposte sono pensate a livello individuale o nascoste come si fa con la polvere sotto i tappeti.
In alcuni enti pubblici il rischio da stress correlato è medio ed alto, pensiamo a servizi educativi, alla sanità e agli agenti di polizia Municipale, parliamo di decine di migliaia di lavoratori e lavoratrici, questi dati confermano che anche nella Pubblica amministrazione si lavora in condizioni di diffusa e crescente precarietà.
Ma rispetto al passato c'è una grande differenza ossia il chiudersi a riccio di tanti lavoratori e lavoratrici per i quali tristezza, preoccupazione e stress non determinano una rabbia tramutabile in azione sociale e sindacale, in conflitto collettivo.
Questa è la vera novità, peggiorando le condizioni di vita e di lavoro non arriva la risposta politica e sociale, manca insomma la conflittualità. e da qui dovrebbero scaturire serie riflessioni sui meccanismi di controllo e di dissenso costruiti da tempo dal capitale.
due riflessioni
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