Pensioni: la realtà sbugiarda il Governo
Il Governo Meloni non si distingue dagli Esecutivi precedenti, tutti insieme vedono la previdenza con interesse morboso pensando che i tagli alle pensioni liberino risorse da investire altrove, magari per rafforzare il sistema di defiscalizzazione a beneficio delle imprese oppure per finanziare i progetti di Riarmo.
L'ultima notizia è il taglio alla quota retributiva delle pensioni dei dipendenti pubblici che a fine dicembre 2015 avevano meno di 15 anni di contributi, parliamo di quanti usciranno, da qui ai prossimi anni, dal mondo del lavoro. E il taglio comporta il risparmio di milioni di euro nell'arco di alcuni anni, soldi sottratti ai lavoratori e alle lavoratrici
Le pensioni anticipate erogate prima dei
67 anni, che nell’arco di pochi anni diventeranno 68 con l’aumento della
aspettativa di vita, subiranno i tagli alle aliquote di rendimento.
Il centro destra aveva promesso, è bene ricordarlo, prima delle elezioni
la cancellazione della Fornero
regole nuove in materia di previdenza
In realtà la Fornero è rimasta al suo posto e oggi si mira a ridurre l'importo della spesa previdenziale riducendo lo sborso del Tfr e i contributi dai quali poi scaturisce l'ammontare del futuro assegno.
Il Governo interviene sulle posizioni
contributive già maturate solo per risparmiare sui futuri importi dell’assegno
previdenziale e del TFR.
Il Governo che prometteva il “superamento della Legge Fornero” o “quota 41 per tutti” si è rimangiato le promesse fatte, anzi ci contringeranno a posticipare l’uscita dal mondo del lavoro fino a quasi 70 anni di età solo per non subire decurtazioni ad una pensione che, calcolata con il sistema contributivo, si annuncia già più bassa di quella percepita dai nostri genitori.
Parliamo di miliardi di euro di tagli
alle pensioni dei lavoratori pubblici che già subiscono contratti nazionali
rinnovati a un terzo del costo della vita, buoni pasto fermi da lustri a 7 euro
quando nel privato sono quasi il doppio.
Il Governo che prometteva il
“superamento della Legge Fornero” o “quota 41 per tutti” si è rimangiato le
promesse fatte, anzi ci contringeranno a posticipare l’uscita dal mondo del
lavoro fino a quasi 70 anni di età solo per non subire decurtazioni ad una
pensione che, calcolata con il sistema contributivo, si annuncia già più bassa
di quella percepita dai nostri genitori.
L’incidenza
della spesa pensionistica lorda sul PIL in Italia nel 2022 (15,6 per
cento) risulta più elevata rispetto a Francia,
Germania e Spagna ma se guardiamo ad alcune proiezioni, ad esempio dati Istat
e il Rapporto AWG 2024 si capisce che obiettivo del Governo è quello di
ridurre fino al 13,7 la spesa previdenziale. Se perfino i centri studi legati
ai due rami del Parlamento stanno esaminando le dinamiche di spesa
previdenziale per rendere le pensioni compatibili con una economia a bassa
crescita possiamo sostenere che il Governo si prefigge alcuni obiettivi quali
scoraggiare l’uscita anticipata dal mondo del lavoro e per farlo ha bisogno di
diminuire il futuro importo dell’assegno pensionistico e l’ammontare del TFR
sperando, in tempi brevi , che lo stesso sia destinato interamente alla
previdenza integrativa.
Meloni
interviene ancora sulle pensioni sapendo che aggiustando il tiro (ad esempio
riducendo le aliquote di rendimento) si andranno a costruire dei meccanismi
atti a ridurre complessivamente la spesa previdenziale, ad affidarsi a quella
integrativa, a posticipare l’età della pensione, a scoraggiare uscite
anticipate Poi dovranno intervenire, e
qui diventa una impresa ardua, per accrescere la produttività del lavoro (in
Italia a lungo hanno pensato ad una unica soluzione ossia la riduzione delle
buste paga), per aumentare le ore lavorate, il numero degli occupati, ridurre
la vasta platea dei part time incolpevoli.
E a proposito del pragmatismo
Governativo non sfugga alla nostra attenzione la modalità con cui si sono
sottratti ai pronunciamenti della Corte Costituzionale che imponevano
tempistiche nel pagamento del TFR nella Pubblica amministrazione analoghe a
quelle del settore privato, dopo mesi i
lavoratori pubblici continuano a ricevere il loro TFR con anni di ritardo. La disparità
di trattamento è non solo inaccettabile ma la stessa Corte Costituzionale esce
delegittimata da questo desolante panorama.
Siamo in presenza
allora di scelte che vanno in una sola direzione: aggirare i principi
costituzionali, introdurre tagli e penalizzazioni per le lavoratrici e i
lavoratori pubblici che per altro, ormai da anni, subiscono una continua
erosione del potere di acquisto, tagliare le aliquote di rendimento, ritardare
le finestre di uscita per la pensione fino ai mancati impegni per la erogazione
in tempi accettabili del TFR/TFS. La
riduzione del valore medio della pensione rispetto a quello del reddito da lavoro è un elemento comune
ai paesi Ue, si tratta ora di rafforzare il
depotenziamento della pensione diminuendo progressivamente l’importo
dell’assegno la cui diminuzione è partita molti anni fa da quando sostituirono
il calcolo retributivo (la pensione si adeguava alla media delle retribuzioni
negli ultimi anni di lavoro) con quello contributivo
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