L’equinozio d’autunno e le future nostalgie

 

L’equinozio d’autunno e le future nostalgie

di Rodrigo Rivas

 


Tra poco i miei crisantemi - amaranto, viola, rossi, bianchi, marroncini - dispiegheranno la loro tavolozza. 

 Dando loro l'acqua, penso ai Gazawi e alla loro irrefrenabile voglia di vivere. 

Gli immagino spingendo i loro carretti tra palazzi sventrati, transitando in mezzo alla morte a pieno sole. 

 In questa mattina di settembre, mezzo milione di loro è ancora deciso a restare nella loro casa.

Mezzo milione meno quei 30, almeno, che sono stati ammazzati stamane.

La contabilità e una tecnica funerea. 

 Come a Gaza, anche qui da me c'è il sole e tutto, eccetto i vecchi cacciatori, celebra la vita.

Sulle sempreverdi colline umbre s'insinuano il rosso e il giallo che, inframezzati, dipingono il sempiterno autunno che ritorna sulla groppa del suo cavallo della barba rossa portandosi appresso svolazzanti foglie morte e la loro pioggia color pastello. 

Domani, 22 settembre, padre sole ci regalerà l'equinozio d'autunno, l'evento astronomico col quale equilibra la luce ed il buio donando al giorno e alla notte quasi la stessa durata. 

Ma a Gaza la notte buia e il giorno luminoso saranno molto simili. 

Vi dominerà l'onnipresente ed onnipotente terrore. Quanto manca perché i carri armati ricomincino a sparare?

Sarà difficile dormire ma spero che possano farlo almeno i bambini. 

Fin da quando la mezzaluna fertile diventò tale sulle pianure bagnate dal Tigri e dall'Eufrate, per coloro che impararono a vivere da esseri umani l'autunno simboleggia la fine del raccolto e la non sempre facile preparazione dell'inverno.

Dovrebbe essere, per coloro che vogliono continuare a vivere da umani, un momento di riflessione e transizione, di celebrazione e gratitudine per l'abbondanza e armonia della natura.

Ma, quando parla la morte, la natura ammutolisce. 

A Gaza la natura è ammutolita.

Essendo una piaga contagiosa, presto potrebbe essere ammutolita pure la Cisgiordania. 

L'equinozio d'autunno mi ha sempre regalato fugaci ricordi d'infanzia.

Oggi si mescolano alle mie future nostalgie in un tempo che mi sfugge, che penso sfugga a tutti quelli che si sentono ancora umani. 

Per mia fortuna, posso ancora disporre di una memoria i cui unici confini sono le mie ignoranze.

Sconfinata, malgrado tutto riesce ancora a decollare. 

È il mio antidoto alle tristezze che altrimenti diventerebbero a loro volta sconfinate. 

 Perché la gente triste non può che produrre tristezza, vi suggerisco di salire pure voi, ogni tanto, a bordo di una vostra illusione supersport.

Forse per scarso spirito, quella che io adopero per volare è fatta da poche cose. 

Ora, ad esempio, mentre attendo l'equinozio mi bastano le parole di Pablo Neruda, che ho cercato di rendere al meglio in italiano, e la magia di un violino ed una chitarra con cui Stephane Grapelli e Julian Bream mi riportano le nuvole ("Nuages). 

 

Non ci sono fascistoni né suprematisti che tengano: l'autunno, i crisantemi, le nubi e la musica sono nostri.

Un giorno, presto spero, potremmo sederci ad osservarli ed ascoltarli con i ragazzi dell'ulivo sopravvissuti all'orrore.

Sento già la nostalgia di quel futuro prossimo.

 

Torna l'autunno

Pablo Neruda 


Un giorno vestito a lutto cade dalle campane

come un trepido tessuto vagamente da vedova.

È un colore, 

un sonno di ciliegie disperse sulla terra,

uno strascico di fumo che, senza tregua,

muta il colore dell'acqua e dei baci. 


Non so se mi capite: 

quando dall'alto si avvicina la notte, 

quando il solitario poeta

alla finestra sente correre il corsiero dell'autunno

e le foglie della paura calpestata crepitano nelle sue arterie,

c'è qualcosa nel cielo, grosso come una lingua

di bue, c'è qualcosa nel dubbio del cielo e dell'aria. 

 

Tornano le cose al loro posto,

l'avvocato inevitabile, 

le mani, l'olio, le bottiglie,

tutti gli indizi della vita: 

i letti, soprattutto,

pieni di un liquido cruento.

La gente affida i loro segreti a loschi orecchi,

gli assassini scendono dalle scale.

Ma non è questo, 

è il vecchio galoppo,

è il cavallo del vecchio autunno che trema.

La schiuma della paura gli copre le guance, 

l'aria che lo insegue ha la forma di un oceano

e porta con sé un vago profumo di marciume sotterrato. 

 

Tutti i giorni scende dal cielo un colore di cenere

che le colombe devono spartire sulla terra;

la corda che l'oblio e le lacrime intrecciano,

il tempo che ha dormito lunghi anni nelle campane.

Tutto,

i vecchi abiti tarlati, 

le donne che vedono venire la neve,

i papaveri neri che nessuno può

contemplare senza morire,

tutto cade tra le mani che sollevo

in mezzo alla pioggia.

 

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