Tre domande su cosa fare oggi

 


In piazza contro il Genocidio e la Guerra ci sono pochi lavoratori, è poco presente il sindacalismo di base

Intanto è bene fare i conti la realtà, la scarsa consapevolezza della guerra riguarda il mondo del lavoro tout cort, nel caso del sindacalismo di base la situazione diventa drammatica se pensiamo che spesso le bandiere dei sindacati sono nelle mani di chi non lavora o pensiamo alle difficoltà di far scendere in piazza perfino i delegati Rsu. Non ci meravigliamo , del resto nella Pubblica amministrazione appartenere a un sindacato di base non determina interessamento verso le istanze degli appalti, se ci si disinteressa alle condizioni di chi fa le pulizie non si va affermando una visione chiusa e autoreferenziale ( o classista peggio ancora) del sindacato? La mancata consapevolezza di tanti e tante è anche figlia della incapacità di riposizionare i sindacati di base sul conflitto di classe e sulla opposizione al Governo, sarebbe il caso di prendere atto di questa situazione

 La contrattazione collettiva ha salvaguardato il potere di acquisto dei salari? Possiamo girarci dall’altra parte davanti alla guerra e al genocidio? 

La risposta è negativa, non esiste una contrattazione nazionale buona e una decentrata cattiva perché a disciplinare entrambi sono delle regole inique dettate negli ultimi 50 anni per indebolire il potere di acquisto e di contrattazione.

La svolta dell’Eur è arrivata nel momento di migliore salute dei movimenti conflittuali e sindacale e dalla seconda metà degli anni settanta ad oggi l'arretramento è stato complessivo, abbiamo perso potere di acquisto, di contrattazione, siamo cambiati noi stessi, ci ritroviamo tanto impauriti quanto chiusi nel nostro piccolo egoismo pensando di non essere sommersi dallo tsunami della guerra.

In questi anni ci siamo noi stessi piegati a quel  sistema di regole prodotte dalla ristrutturazione capitalistica a partire dagli anni Settanta.

il sindacato e la guerra

Prendiamo atto di una arretratezza politica e culturale che alla fine determina anche arrendevolezza sindacale (e viceversa).

Chi oggi pensa che si debba separare nettamente l’agire politico da quello sindacale commette un grave errore, non analizza la realtà e diventa un corpo estraneo specie con la finanziaria di guerra, europea e nazionale, alle porte. Verranno a bussare alle nostre porte tra tagli e riduzioni salariali, che pensiamo di fare allora? L’attacco portato alla democrazia sindacale nei luoghi di lavoro è un attacco politico

L’arretratezza sindacale e quella politica oggi sono strettamente connesse, potremmo anche sostenere, senza timore di smentita, che certe sovraesposizioni di natura politica servono ad occultare posizioni sindacali arretrate o la incapacità di guadagnare rapporti di forza a nostro vantaggio. Al contrario la mancata discesa in campo in ambiti politici va letta anche come incapacità di guardare alla realtà che cambia e ad un appiattimento su istanze sindacali anguste (chi pensa di cullarsi su qualche vittoria alle Rsu o su conquiste parziali avrà un amaro risveglio). La lotta di classe non è un pranzo di gala ma neppure un gioco a nascondino


Queste sono alcune riflessioni che pensiamo utile trasformare in riflessione collettiva. Sarebbe un successo oggi dare vita a coordinamenti di lavoratori contro l’economia di guerra, un segnale di unità sui contenuti e sulle pratiche conflittuali oggi necessarie e indispensabili per non consegnare la classe lavoratrice alle logiche della guerra e del militarismo.

Urge discutere in fretta di tutte le iniziative che intendiamo costruire senza pensare alla natura salvifica dello sciopero generale di fine novembre che potrebbe per altro arrivare troppo tardi rispetto all’agenda politica che ci impongono i dominanti.


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