Resoconto lotte studentesche

 

Il Green Pass è una sorta di punta dell’iceberg perché questa è la miccia che ha dato il via al nostro movimento, ma la base è una riflessione iniziata con il lockdown per alcuni e per altri molto tempo prima. Infatti nelle nostre discussioni come gruppo abbiamo collettivizzato le nostre esperienze e riflessioni fatte prima e durante la pandemia, dalle quali si evince che certe norme restrittive vengono inserite per altri interessi non sanitari, senza cognizione di causa. Il GP è solo l’ultima di queste misure che però è un punto focale che può accomunare tutti.

Rispetto all’emergenza, in questo caso sanitaria ma potremmo parlare anche della crisi bellica o quella economica, critichiamo il suo utilizzo come strumento per legittimare qualsiasi attività di governo. Sostanzialmente la base politica e rappresentativa per un’azione governativa sensata manca e si sfrutta costantemente il tema dell’emergenza di turno per portare avanti un’agenda ben precisa che, nonostante la fase cambi, utilizza le stesse formule per attaccare i diritti, reprimere, ridurre la spesa pubblica e via dicendo. È questo ciò che miriamo a scardinare: questo meccanismo per il quale anziché richiamare a una volontà popolare e raggiungere una legittimazione democratica dell’attività di governo, questo diventa sempre più indipendente dalle forze costituzionali che dovrebbe rappresentare, in primo luogo il Parlamento, sulla base di un vincolo esterno cioè qualcosa a cui ci si richiama per giustificare la propria attività.
Nell'analisi che abbiamo fatto nello specifico del GP, molti hanno trovato diversi elementi rispetto alla gestione dell’emergenza come strumento per governare che devono essere fatti saltare: non intendiamo, quindi, limitarci solo ad andare contro il GP, ma contro tutto ciò che sta attorno e si è costruito come il tipo di propaganda a cui ci stanno facendo abituare, il martellamento mediatico in cui non si dà spazio davvero al contraddittorio, in cui vi è una totale demonizzazione e il tentativo di individuazione del colpevole in una minoranza. Questi sono tutti strumenti il cui utilizzo non è nuovo, ma che si stanno intensificando, ieri per la pandemia, oggi per la guerra. Il punto è bloccare questi automatismi del potere che vanno contro gli interessi delle masse, che esse ne siano consapevoli o meno.

Abbiamo provato ad avviare un dialogo inviando una lettera al Rettore firmata come gruppo di studenti che semplicemente non ha avuto risposta, poi l’abbiamo mandata anche a tutti i professori che ci hanno addirittura accusato di essere brigatisti! Questo perché secondo loro la nostra lettera faceva tornare in mente “i tempi bui degli anni di piombo”, attaccandosi al fatto che non erano firmate con nomi e cognomi; il che è ovvio perché ci siamo firmati come collettivo… Noi chiedevamo semplicemente un confronto.

Altre volte ci hanno dato letteralmente dei “dementi” e questo pensiamo sia un fatto da segnalare perché, screditandoci in questo modo, hanno fatto crollare ogni possibilità di dialogo in quanto questa etichetta implica non solo che non possiamo dialogare ma che proprio secondo loro è impossibile a livello cognitivo.

Quello dell’università si è rivelato un ambiente del tutto conformista dove manca una qualsiasi forma di critica allo stato di cose presenti. Noi con la nostra lettera abbiamo semplicemente spinto a creare una discussione sul tema, in un luogo che dovrebbe essere, per eccellenza, la casa del sapere critico per sviluppare dibattiti senza pregiudizi o moralismi che si basino sulle argomentazioni riportate.Questo rapporto/non rapporto con l’università lo possiamo trovare invece nelle lezioni all’aperto che abbiamo svolto e stiamo continuando a portare avanti su temi specifici, riguardanti la pandemia ma non solo. Molti sono i professori che sposano la nostra posizione critica sulla questione.

Il tema della scienza ci è caro, essendo noi studenti universitari. Oggi purtroppo la scienza va avanti su interesse di privati, a partire dal livello accademico. Si parla sempre di scienza e di ricerca come se non fossero condizionate economicamente e politicamente dai privati. La ricerca pubblica è ridotta all’osso, basta vedere che i professori in università sono premiati se portano contratti privati dall’esterno. Se non si inquadra questa situazione si svuota anche il termine “scienza” nell’atto più pratico e completo rispetto al fatto che i privati se la sono completamente comprata. Usufruire di un certo servizio senza che questo abbia una funzione pubblica sradica tutto il concetto perché dettato da logiche di profitto, vale per la scienza, per la ricerca e anche per l’università in generale.

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