Tagli alla sanità pubblica e al sociale: intervista a Vittorio Agnoletto
Vittorio Agnoletto: Il disagio psichico e i tagli allo Stato
Sociale. La situazione dei servizi psichiatrici. La rivoluzione disattesa nel
centenario della nascita di Basaglia
INTERVISTA E CONVERSAZIONE
CON VITTORIO AGNOLETTO
I tagli alla sanità, il disagio psicologico crescente (soprattutto da dopo
la pandemia), il calvario che spesso le persone con esigenze specifiche
(anziani, bambini, persone con disabilità) sono costrette ad attraversare. Il
tutto a cent'anni esatti dalla nascita di Franco Basaglia.
Laura Tussi ha intervistato per noi Vittorio
Agnoletto, qui sotto trovate le corpose e
interessanti riflessioni scaturite sulla situazione della sanità in Italia, in
particolare rispetto al disagio psichico: https://shorturl.at/tuDjs
di LAURA TUSSI
Introduzione:
Attualmente assistiamo a varie discrasie
e sperequazioni sociali con i molteplici tagli allo Stato sociale, alla sanità,
in genere ai servizi sanitari, con la riduzione del reddito di cittadinanza e
la mancanza di tutele sui luoghi di lavoro, anche per gli ingenti investimenti
in armi e in guerre, e ancora varie pressioni lavorative e molteplici
manifestazioni di mobbing. Per non parlare dei risvolti delle guerre in atto,
con i tagli al welfare per gli investimenti in armamenti, e delle varie
pandemie e le loro ripercussioni sull’immaginario collettivo.
Tutti fattori che incidono oltre che sul
benessere fisico delle persone anche e soprattutto sull’assetto psichico del
soggetto coinvolto. Aumento di nevrosi, di psicosi, di spunti depressivi, di
sintomi ansiogeni, di stati paranoici di ogni sorta.
Come è possibile far fronte a tutto
questo? Basaglia con la sua rivoluzione dettata dalla legge 180 voleva che il
disagio psichico e psichiatrico venisse incanalato, accolto e curato in una
serie di strutture psico-sociali sul territorio, ad esempio i Centri di salute
mentale per adulti (che hanno una differente denominazione nelle varie Regioni,
in Lombardia CPS Centro Psico Sociali) e le Uonpia (Unità Operativa Neuropsichiatria Psicologia Infanzia Adolescenza), i
Centri Diurni e le varie tipologie di Comunità. Quale l’evoluzione della
legge 180 e della riforma e rivoluzione di Basaglia che ha portato a una grande
emancipazione e conquista sociale ossia alla chiusura dei manicomi?
Come si manifesta oggi il disagio
mentale? Qual è lo stato attuale delle Uonpia e dei Centri di Salute Mentale?
A quali operatori, medici e servizi è
necessario rivolgersi in caso dell’insorgere di un disturbo psichico e
psichiatrico e soprattutto come è possibile conoscerne i sintomi?
Vittorio Agnoletto – medico, docente e attivista – ci accompagna in un
viaggio abbastanza tormentato fra i meandri della sanità italiana, in
particolare quella che si occupa di disturbi psicologici e psichiatrici.
L'occasione è il centenario della nascita di Franco Basaglia, fautore di una
grande rivoluzione i cui frutti però rischiano di essere dispersi da una
politica sanitaria che negli ultimi anni ha visto quasi solo tagli di fondi e
di servizi.
Con la sua rivoluzione dettata dalla legge 180, Franco
Basaglia aveva l’obiettivo di far sì che il disagio psichico e psichiatrico
venisse incanalato, accolto e curato in una serie di strutture psico-sociali
sul territorio, come i centri di salute mentale per adulti – che hanno una
differente denominazione nelle varie Regioni –, le UONPIA – Unità Operativa
Neuropsichiatria Psicologia Infanzia Adolescenza –, i Centri Diurni e le varie
tipologie di Comunità.
La conversazione con
Vittorio Agnoletto
Ma qual è stata negli anni l’evoluzione della legge
180, della riforma e della rivoluzione di Basaglia che ha portato alla grande
emancipazione e conquista social della chiusura dei manicomi? Come si
manifesta oggi il disagio mentale? Qual è lo stato attuale delle UONPIA e dei
Centri di Salute Mentale? Queste e molte altre domande abbiamo rivolto
a Vittorio
Agnoletto, con il quale abbiamo condotto una lunga chiacchierata per capire, a un
secolo dalla nascita di Basaglia, qual è la situazione attuale in Italia e
quali le possibili soluzioni alle criticità presenti.
A quali operatori,
medici e servizi è necessario rivolgersi in caso dell’insorgere di un disturbo
psichico e psichiatrico e soprattutto come è possibile conoscerne i sintomi?
Purtroppo in questo momento stiamo assistendo a un
aumento molto forte di persone che vivono condizioni di forte disagio
psicologico che non raramente può evolvere in una patologia psichiatrica.
Questo aumento dei disturbi psicologici potremmo anche definirlo come aumento
della fatica di vivere. Di questo parliamo. È una diretta conseguenza di quello
che è avvenuto e che sta avvenendo negli ultimi anni. Gli anni della pandemia
con tutto quello che hanno comportato: pensiamo ai lockdown e quindi a come è
cambiata completamente la vita quotidiana. Come è crollato il livello di
socializzazione. Quante persone si sono trovate a vivere situazioni di
solitudine o di coabitazione e coesistenza obbligata per periodi lunghi.
Per esempio, una delle conseguenze è stata la forte
tensione che ha segnato in molti casi la vita di coppia, con persone che
avrebbero voluto avere degli spazi propri, anche di solitudine e invece erano
obbligate a convivere nella stessa casa 24 ore al giorno. Questione centrale,
questa mancanza di spazi di autonomia. Così come la repentina riduzione
delle relazioni e degli spazi di socializzazione ha avuto una ricaduta pesante
sulla psicologia delle persone. Ma è subentrato anche un altro elemento che è
stato indagato pochissimo e cioè la pandemia ci trasmetteva anche la paura del
contatto con l’altro.
L’altra persona era vissuta e rappresentata come colui
o colei che poteva trasmetterci un’infezione mortale; questo favoriva un senso
di timore, di paura, verso gli altri. Questa condizione di vita ha avuto molte
conseguenze che ovviamente sono ricadute principalmente sulle persone più
deboli e più fragili. Ci sono fior di studi, per esempio uno realizzato
dall’Università di Trento, che mostrano come le donne abbiano pagato
pesantemente questa situazione; come siano aumentate le violenze dentro casa
senza possibilità di avere vie di scampo di fronte alla degenerazione e alla
rottura dei rapporti di coppia.
Chi ha fatto
maggiormente le spese di questa situazione?
Questo disagio l’hanno pagato maggiormente le persone
più fragili da un punto di vista fisico e/o psicologico. Per esempio, ho visto
le conseguenze nella vita di persone con disabilità che frequentavano dei
centri diurni e che da un momento all’altro si sono ritrovate nel mezzo di un
vuoto fisico e relazionale, rinchiuse in casa; anche i loro genitori e fratelli
sono stati obbligati a loro volta a forme di coabitazione difficile da reggere
sul piano psicologico e talvolta anche fisico, per l’assistenza pratica
necessaria. Tutta la famiglia è diventata “caregiver” del soggetto con
disabilità.
Pensiamo cosa ha voluto dire per gli anziani non poter
frequentare i loro centri di ritrovo o alle persone con Alzheimer e demenza
senile che frequentavano centri diurni che da un giorno all’altro sono stati
chiusi e al carico che è piombato sui loro familiari; pensiamo a quelli
isolati nelle RSA , dove per lungo tempo non hanno potuto ricevere
visite dei famigliari.
Ma le più grandi vittime di questa situazione sono
stati i minori. Sono tantissimi i bambini e gli adolescenti, che alla fine
della pandemia, quando è stato possibile tornare a frequentare i parchi, i
giardini e le squadre sportive, avevano timore di uscire e di ritrovarsi con
gli altri. Conosco diversi bambini e figli anche di amici e conoscenti, che non
volevano più frequentare luoghi con tante persone e fuggivano dai luoghi
affollati.
Parliamo un attimo
delle giovani generazioni: qual è la loro condizione oggi?
Questa è la generazione dei social e dei videogiochi;
è inutile negare che internet durante la pandemia sia stato anche d’aiuto nel
permettere ai ragazzini di socializzare a distanza coi coetanei. Ma finita la
fase acuta della pandemia internet e i social sono diventati anche degli ambiti
dove rifugiarsi, sfuggendo la realtà quotidiana. Non dimentichiamoci che la
scuola non svolge solo un ruolo legato all’istruzione, ma è anche l’ambiente
prioritario di socializzazione, di conoscenza e di contatto con l’altro. Per i
bambini il contatto è assolutamente essenziale per scoprire il mondo
circostante e per conoscere gli amici.
Alla pandemia è subentrata la guerra e poi le guerre,
che hanno suscitato altri immaginari di paura e di terrore. Ma anche e
soprattutto immaginari di incertezza. L’incertezza del futuro spaventa tutti,
ma in particolar modo coloro che hanno dentro di sé la potenzialità, ma anche
il desiderio e il diritto di progettare la propria esistenza, che è ancora
tutta o quasi da costruire. Dopo una pandemia e nel persistente clima di guerra
e di investimenti in armi a discapito dello stato sociale, la capacità di progettare
e di immaginarsi una prospettiva positiva di futuro diventa molto molto
difficile.
Che mondo è quello in
cui stanno facendo il loro ingresso le nuove generazioni?
I media che ci stanno intorno continuano a mandare
messaggi sintonizzati sulla relazione amico-nemico e la relazione amico-nemico
significa che qualcuno ti deve difendere e che qualcuno potenzialmente ti può
fare del male. La mia generazione e quella precedente hanno vissuto in
un’epoca totalmente diversa: finita la Seconda Guerra mondiale, erano state
fondate varie istituzioni internazionali, dall’ONU all’OMS, per evitare che il
nostro futuro precipitasse nel passato verso altre guerre. Poi ci sono state le
speranze degli anni ’70, le grandi conquiste sociali e l’idea che mai e poi mai
avremmo potuto essere coinvolti in una guerra atomica.
Stringiamo il cerchio
e vediamo cosa sta succedendo in Italia.
In Italia oggi stiamo assistendo a un incessante
taglio dei servizi, ma prima ancora delle tutele sociali. Pensiamo alla
riduzione del welfare, al taglio del reddito di cittadinanza, alla riduzione
della spesa pubblica mentre il costo della vita aumenta enormemente come
conseguenza della pandemia e della spesa militare. I salari non aumentano come
aumenta l’inflazione. Le pensioni non aumentano come aumenta il costo della
vita.
Cresce il numero di persone che non riesce ad arrivare
a fine mese e saltano i confini tra la povertà del disoccupato e la sicurezza
dell’occupato; infatti, a causa dei bassi stipendi e della crescita
dell’inflazione e del costo della vita, abbiamo un numero sempre maggiore di
persone che, pur lavorando, vivono comunque una condizione di povertà.
Questa è la situazione attuale. Tu mi chiedi cosa si dovrebbe fare? Ovviamente
non ho una risposta complessiva.
Riesci a immaginare
qualche possibile soluzione?
Certamente sarebbe necessario un grande investimento
nel sociale e nel sanitario per cercare di dare una risposta alle tante forme
di disagio che sono cresciute in questi ultimi anni. Qui subentra una
riflessione interessante: quanto più si investe nelle politiche sociali, verso
le fasce di popolazione più deboli, tantomeno poi sarai obbligato a investire
nel sanitario. Se fai funzionare i servizi, moltiplichi i luoghi di ritrovo,
sviluppi lavori socialmente utili, contestualmente riduci la miseria, la sofferenza,
la solitudine e quindi il disagio psico-sociale e anche la
malattia. Questo è stato quello che ci hanno fatto credere quando, in
risposta alla pandemia è nato il PNRR che doveva essere un grande investimento,
la risposta dello Stato sociale alla pandemia.
Su 193 miliardi che dovrebbero arrivare in Italia dal
PNRR, solo 15 erano stati destinati al settore socio-sanitario! Come se non
fosse già questa una presa in giro, il governo ha tagliato altri 2 miliardi tra
riduzione del numero delle Case e degli Ospedali di Comunità e mancata
ristrutturazione degli ospedali esistenti. Di tutti i soldi del PNRR solo il 7%
sarà destinato alla sanità. Questo avviene dopo che negli ultimi due decenni
sono stati tagliati 37 miliardi tra mancato finanziamento e non adeguamento del
budget all’inflazione. E adesso il finanziamento pubblico alla sanità è attorno
al 6,3% del PIL e le previsioni per il 2026 sono di arrivare tra 6,1 e 6,2.
Altri paesi europei arrivano al 9%. L’Italia spende in
sanità per ogni persona la metà di quello che spende la Germania e poco di più
della metà di quello che spende la Francia. Negli ultimi vent’anni abbiamo
assistito ad una penetrazione sempre più forte del privato nel Servizio
Sanitario Nazionale e il privato investe solo nei settori dai quali può trarre
significativi profitti; e certamente, non otterrebbe grandi profitti da
interventi finalizzati a ridurre il disagio psicosociale.
In che modo queste
scelte politico-economiche si ripercuotono sulla quotidianità delle persone?
Aumenta il manifestarsi della malattia psichiatrica e
del disagio sociale e contemporaneamente diminuiscono fortemente i servizi. I
CPS – Centri Psico Sociali, i Centri di Salute Mentale, sono ridotti ai minimi
termini. Questi servizi, come altri, dovrebbero prevedere al loro interno
diverse figure professionali: medici, psichiatri, psicologi, assistenti
sociali, infermieri, educatori… Al contrario ci troviamo di fronte addirittura
a CPS che rimangono senza psichiatri, o che passano da otto o nove a solo due o
tre.
Quando il numero di psichiatri, e più in generale del
personale, è insufficiente, cambia la modalità di relazionarsi con gli utenti e
si riducono in modo drammatico le opportunità terapeutiche disponibili. Se non
vi è il personale per poter fornire una psicoterapia, gestire i gruppi di auto
aiuto, se non si è in grado di gestire i centri diurni, la cosa più facile, e
talvolta l’unica possibile, è somministrare terapie prettamente farmacologiche
ansiolitiche, sedative e di contenimento. Oltretutto in ambito psichiatrico la
continuità terapeutica – quindi la relazione medico-paziente – è fondamentale,
direi che è più importante che in altri ambiti della medicina.
Questa situazione diventa ancora più pesante per i
minori, bambini e adolescenti. Sono stato contattato, attraverso 37e2, da famiglie che
erano disperate perché non c’era un letto in un reparto dove ricoverare il
figlio. Un collega, pediatra neonatologo, mi raccontava che nel suo reparto era
stata ricoverata una ragazzina di 14 anni che aveva compiuto atti
autolesionistici. Ricoverata in reparto insieme a bambini di uno o due
anni.
Sarebbe necessario un grande investimento nel sociale e nel sanitario
per cercare di dare una risposta alle tante forme di disagio che sono cresciute
Ma sono anche stato contattato da genitori che
protestavano per il figlio sedicenne ricoverato in reparti psichiatrici per
adulti. Sono pochissimi i reparti di neuropsichiatria dedicati ai minori fino
ai 18 anni con significative problematiche psichiatriche e/o con gravi disturbi
di personalità in una fase molto delicata della loro esistenza. Tutto
questo proprio mentre tra i minori sono in significativo aumento varie
manifestazioni di disagio, come conseguenza della pandemia e del contesto
sociale. Pensiamo all’anoressia. Qualcuno ha idea di quali sono i tempi di
attesa perché un ragazzo e una ragazza, soprattutto le ragazze in questo caso,
riescano a essere presi in carico da un servizio pubblico? Spesso il giovane e
la famiglia sono totalmente abbandonati a sé stessi.
Parliamo ora dei più piccoli. Posso portare esempi.
Una mamma aveva bisogno che una UONPIA, che è l’Unità Operativa di
Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, certificasse la condizione
del figlio per poter avere a scuola l’insegnante di sostegno. Questa mamma ha
presentato la domanda all’UONPIA a marzo della prima media e la visita è stata
fissata un anno e mezzo dopo. Solo a quel punto il ragazzo ha potuto avere
l’insegnante di sostegno, ma nel frattempo erano trascorsi due anni scolastici;
questo ritardo influisce sullo sviluppo di quel ragazzino, sul formarsi della
sua personalità e non solo sull’ apprendimento, ma anche, per fare un esempio,
sulla stima e disistima verso sé stesso.
Un altro tema
scottante è la gestione di persone, soprattutto minori, con disturbi specifici.
A questo proposito c’è un’altra cosa che trovo
veramente inaccettabile e che coinvolge molte regioni italiane che si ritrovano
con un alto numero di richieste di presa in carico di minori per situazioni
gravi, ad esempio per l’aumento dei tanti casi che rientrano nello spettro
dell’autismo, che non è più solo l’autismo così com’era definito
precedentemente, ma che comprende differenti quadri clinici di diversa
complessità.
Di fronte a questa situazione alcune regioni hanno
stabilito che le UONPIA, a corto di personale, debbano dare la precedenza alle
situazioni più gravi e che, di conseguenza, la certificazione di DSA, che sono
i Disturbi Specifici dell’Apprendimento, possa essere rilasciata anche da
strutture private che, per la presenza di varie figure professionali e di
competenze specifiche, vengono inserite dalla regione in specifici elenchi. In
una situazione di emergenza e per una fase transitoria, questa soluzione può
essere anche comprensibile. Ma…
L'Uonpia e la gestione
dei Disturbi Specifici dell'Apprendimento
Piccolo particolare. La certificazione di DSA da parte
di queste strutture private è a pagamento. Riassumiamo: la regione, attraverso
i suoi servizi pubblici, non riesce a garantire la certificazione di DSA ai
ragazzini perché deve dare la precedenza a patologie più gravi e delega questa
attestazione sanitaria a strutture private indicate dalla stessa regione, ma le
famiglie devono pagare 400 euro o più.
D’altra parte, è la certificazione di DSA che dà
diritto all’alunno sia di avere tutta una serie di strumenti compensativi che
facilitano l’apprendimento, per esempio il computer e la calcolatrice, sia di
usufruire di programmi di studio personalizzati. Quindi una famiglia o aspetta
anche due anni per poter avere la certificazione dalla UONPIA oppure deve
pagare la struttura privata. Siamo di fronte a un’evidente forma di
discriminazione.
Il mondo delle persone
che operano nella sanità come sta reagendo?
Proprio pochi giorni fa centinaia di operatori della
psichiatria hanno lanciato un grido d’allarme con un appello e una lettera
pubblica rivolta al Presidente della Repubblica e quella lettera comprendeva
anche un passaggio molto molto triste. Questi psichiatri, dopo aver descritto
le loro condizioni diventate insostenibili per il carico di lavoro e lo stress
con conseguente alto rischio di burnout, denunciano di trovarsi
quasi sempre a dover decidere tra il loro benessere e quello dell’utente.
E ancora, scegliere “tra rimanere sordo all’angoscia
dei pazienti e andare presto a casa (in fondo, quella guardia neanche ti
toccava). Oppure ascoltarli, i pazienti, per come meritano. Ma sapendo che
sacrificherai te stesso. I tuoi bisogni personali. Che uscirai di notte. E che
poche ore dopo tornerai in CSM [Centro di Salute Mentale, i CPS della
Lombardia, ndr]. A coprire forse un’altra guardia, che non dovresti fare. Ma
che farai”, recita il testo del documento.
Questa è una lettera importantissima che è stata
ignorata dalla maggioranza dei media. Un grido d’aiuto consapevole e disperato.
Una richiesta che proviene da un ambito della medicina che richiede interventi
continuativi nel tempo e spesso di lunga durata. Mettersi in cura da uno
psichiatra privato, seguire una psicoterapia, rivolgersi in fase di acuzie a
una clinica privata comporta ingenti spese che moltissime famiglie non possono
proprio sostenere e a costoro non rimangono che i lunghissimi tempi di attesa
prima che un CPS si prenda in carico il paziente, ma nel frattempo la vita
scorre, la patologia si manifesta e talvolta precipita in tragedia.
Chiudiamo tornando al
tema con cui abbiamo aperto: il centenario della nascita di Basaglia.
L’aspetto più triste è che tutto questo si verifica
nel centenario della nascita di Franco Basaglia, lo psichiatra che ha cambiato
la storia della psichiatria in Italia e probabilmente in tutto il mondo
occidentale e che ha posto la parola fine alle istituzioni totali come i
manicomi. L’ondata lunga dell’azione di Basaglia ha prodotto, più
recentemente, anche la chiusura degli OPG, gli Ospedali Psichiatrici
Giudiziari. Attenzione, non è vero che non rimane nulla di tutta
l’elaborazione di Basaglia. Non rimane nulla nelle scelte che vengono compiute
quotidianamente dalle istituzioni. Rimane invece molto nella testa, nel cuore e
nell’esperienza di tantissimi operatori.
Accanto a Franco
Basaglia anche Cesare Beccaria per i diritti umani nel nostro Paese
Anche se la nostra conversazione oggi non è mirata a
questo aspetto specifico, ritengo doveroso ricordare che quando parliamo di
disturbi psichiatrici, di disagio mentale e di disturbi di personalità non
possiamo dimenticarci quello che avviene nelle carceri, sia quelle per adulti
che quelle minorili – pensiamo a quanto
accaduto recentemente all’Istituto Beccaria di Milano –
e nei CPR, i Centri di Permanenza per il Rimpatrio, dove le persone rinchiuse
sono abbandonate totalmente a sé stesse e i suicidi e i tentati suicidi sono
una testimonianza atroce di quello che sta avvenendo.
E non è un caso che nei Cpr, come nelle carceri, i
farmaci più utilizzati siano gli psicofarmaci, usati in questo caso per sedare
una persona. Sono i luoghi dimenticati della nostra società. E allora a
fianco di Franco Basaglia dobbiamo ricordare Cesare Beccaria due figure fondamentali
per la storia dei diritti umani nel nostro Paese.
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