Voracità “bio” delle multinazionali dell’agrochimica
Agroindustria “bio-opportunistica”.
Voracità
“bio” delle multinazionali dell’agrochimica
Sergio
Ferrari
Recentemente,
le grandi aziende agrochimiche internazionali si sono riorientate verso la
produzione di input biologici per l’agroindustria. Anche se solo 20 anni fa le
aziende attive nel mercato globale degli insetticidi di tipo “bio” si contavano
sulle dita di una mano, oggi sono più di 1.200. Più che una conversione
ecologica, tutto indica che si tratti della scoperta di una nuova e succulenta
vena per espandere i suoi profitti già multimilionari.
L'ONG
internazionale Grain, con sede a Barcellona, in uno
studio pubblicato nella seconda metà
di agosto conferma che tutte le grandi società agrochimiche - come Bayer, BASF,
Corteva, FMC, The Mosaic Group, Syngenta, UPL e Yara, tra le altre - operano già in quest'area. Sotto il nome di
Corporate Bioinputs: il nuovo business tossico dell’agrobusiness, lo studio conferma
che detta “penetrazione
in questo mercato avviene in modo aggressivo a causa del suo modo tipico di
procedere, attraverso acquisizioni, accordi di licenza e fusioni”.
La
storia degli ultimi decenni del settore agrochimico è piena di paradossi. Fino
alla fine degli anni ’90, la Monsanto (che dal 2018 appartiene alla società
tedesca Bayer) produceva e vendeva esclusivamente pesticidi chimici destinati a
combattere drasticamente i parassiti in vaste aree di monocolture, con impatti
disastrosi per l’uomo e l’ambiente. Ora si propone di controllare il mercato
mondiale degli insetticidi di tipo “bio”. Durante tutto questo tempo, furono
soprattutto i contadini ad utilizzare pesticidi non chimici, come quelli
derivati dal
microrganismo Bacillus thuringiensis (Bt), con un impatto più lento e particolarmente adatti
alle unità
produttive più
piccole (
https://grain.org/es/article/7176-bioinsumos-corporativos-el-nuevo-negocio-toxico-de-la-agroindustria
).
Opportunismo come base per il
profitto
Lo
dice il rapporto Bioinsumos. Opportunità di investimento in America Latina,
pubblicato nel 2023 dalla FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per
l’alimentazione e l’agricoltura), il mercato globale degli input biologici ha
raggiunto i 10,6 miliardi di dollari nel 2021, mentre quello degli input
agrochimici ha raggiunto i 245.000 milioni di dollari. Si prevede che nel 2026
il settore dei bioinput rappresenterà circa 18,5 miliardi di dollari, quasi il
doppio rispetto a cinque anni prima, risultato di una crescita accelerata
dovuta alla voracità transnazionale
(https://openknowledge.fao.org/server/api/core/bitstreams/6f0feb21-441d-4662-aed5-03085a951d90/content
).
Grain
sostiene che buona parte del mercato globale dei bioinput sia già nelle mani
delle principali multinazionali dei pesticidi. Nel 2022, la Bayer ha
commercializzato input di biotipo per un valore di 214 milioni di dollari e
prevede 1,6 miliardi nel 2035. Le vendite dell'azienda americana Corteva nel
2023 hanno raggiunto i 420 milioni di dollari, e quelle del gruppo Syngenta,
con sede in Svizzera, 400 milioni. Queste aziende, così come il resto dei loro
concorrenti, sono interessate ai biopesticidi perché sono i prodotti che
vendono di più: circa la metà del mercato globale dei bioinput. L’altra metà
comprende biofertilizzanti per nutrire le colture e biostimolanti per
migliorare la loro capacità di assorbimento dei nutrienti. Per garantire questa
crescita accelerata, le grandi aziende hanno concentrato il loro interesse solo
su pochi prodotti, quelli che contengono il microrganismo Bt: il 90% del
mercato globale dei biopesticidi.
In
termini di impatto regionale, il mercato più grande per gli input di biotipo si
trova negli Stati Uniti e in Canada, seguiti dall’Asia-Pacifico, dall’Europa e
dall’America Latina. Un caso emblematico è quello del Brasile, uno dei mercati
in più rapida espansione e, quindi, un obiettivo importante per le imprese
agrochimiche transnazionali. Nel giugno 2024, il Brasile ha registrato la
vendita di 1.273 input bioagricoli: metà biopesticidi, l’altra
biofertilizzanti. Destinati per lo più alle principali monocolture, come soia,
mais e frumento, l’82% di questi input è stato prodotto da aziende straniere.
Secondo il Ministero dell'Agricoltura brasiliano, oggi i biofertilizzanti
vengono utilizzati su quasi 40 milioni di ettari e i biopesticidi su 10 milioni
di ettari. L’attuale superficie coltivabile in questo paese sudamericano è di
quasi 79 milioni di ettari.
Lo
studio della FAO evidenzia l’entità dell’uso di pesticidi in America Latina.
“Sebbene la produzione agricola globale sia sostenuta dall’uso intensivo di
prodotti agrochimici”, sostiene, “secondo i dati del 2019, almeno nove paesi
dell’America Latina raddoppiano o triplicano il numero di chilogrammi di
pesticidi per ettaro utilizzati da paesi come Stati Uniti e Canada ". E
sottolinea che l'aumento delle temperature – causa dei cambiamenti climatici –
accelera il modo in cui i parassiti si riproducono, generando una maggiore
pressione sui sistemi produttivi della regione. Dati che rafforzano
l’importanza assegnata all’America Latina dalle aziende che producono input
agrochimici tradizionali e nuovi input biologici. E il doppio ruolo che
svolgono: da un lato, promuovere la produzione su larga scala e l’agrobusiness
(o l’agrobusiness per l’esportazione) e, dall’altro, contribuire al
riscaldamento globale e alla crisi climatica.
I prodotti agrochimici e il loro
potere devastante
La
corsa sfrenata delle grandi aziende agrochimiche nello sviluppo e nella
promozione di input biologici va di pari passo con formidabili progressi
tecnologici e scientifici. Come la capacità di modificare i geni, la biologia
sintetica e la scienza dei dati, che facilitano l’identificazione di
microrganismi per la formulazione di nuovi prodotti biologici. Ancor di più: i
progressi tecnologici consentono loro di garantire il controllo monopolistico
attraverso i brevetti. Secondo Grain, queste aziende scommettono di immettere
sul mercato questi prodotti geneticamente modificati senza dover affrontare
ostacoli normativi.
Il
brevetto è un titolo di proprietà industriale che riconosce il diritto
esclusivo su un'invenzione. Impedisce ad altri di realizzare, vendere o
utilizzare detta invenzione senza il consenso del suo proprietario. Tra il 2000
e il 2023 sono state registrate più di 44mila domande di riconoscimento
ufficiale di brevetti per bioinput in tutto il mondo.
Di
fronte a questa valanga di multinazionali che cercano di penetrare e imporsi
nel mercato degli input biologici a qualsiasi prezzo, i piccoli e medi
produttori agricoli possono fare poco. Secondo Grain questo processo è in corso:
“Può provocare una nuova ondata di privatizzazione dei modi di vita” che finora
sono stati tipici delle comunità contadine e dei loro saperi ancestrali. I
brevetti sui processi e sulle sequenze genetiche dei microrganismi creeranno un
mercato dei bioinput dominato dalle multinazionali, garantendo loro diritti
monopolistici. Ciò significa, precisa Grain, che chi vuole utilizzare prodotti
con determinati componenti o processi brevettati “deve ottenere l'autorizzazione
o pagare il diritto d'uso”. Come La Vía Campesina e Grain avevano già avvertito
nel 2015 nel loro documento congiunto su "La criminalizzazione delle
sementi contadine": resistenza e lotte, in caso di mancato rispetto dei
meccanismi stabiliti dal diritto internazionale dei brevetti, ai contadini
possono essere inflitte multe. Multe onerose e persino pene detentive (https://grain.org/es/article/5143-la-criminalizacion-de-las-semillas-campesinas-resistencias-y-luchas
).
Nuovo paradigma agricolo
Tema
di rilevanza globale con un impatto significativo in particolare per l’America
Latina e i Caraibi, che continua ad essere fondamentale per la sicurezza
alimentare e la preservazione della biodiversità sulla Terra. Infatti, una
regione che produce cibo per circa 1,3 miliardi di persone (più del doppio
della sua popolazione), riunisce il 50% della biodiversità del pianeta e ospita
sei dei Paesi del pianeta con la maggiore biodiversità: Brasile, Colombia,
Ecuador, Messico, Perù e Repubblica Bolivariana del Venezuela. E, allo stesso
tempo, ospita il maggior numero di specie alimentari selvatiche minacciate,
oltre a 200 milioni di ettari di terre già degradate.
Le
grandi aziende del settore agroalimentare sono tra le principali responsabili
della crisi climatica e di molti altri problemi globali. Per Grain “la
soluzione non consiste nella mera riduzione di pesticidi e fertilizzanti
chimici” perché entrambi sono componenti inevitabili del modello di agricoltura
industriale inserita in un sistema alimentare globale ingiusto e predatorio,
controllato da poche multinazionali. La soluzione viene dalla definizione di un
nuovo paradigma di produzione e distribuzione agricola.
In
questo quadro, come i movimenti sociali rurali propongono da decenni, la grande
sfida è realizzare una transizione verso l’agroecologia basata sulla conoscenza
contadina, sull’innovazione collettiva e sulla sovranità alimentare, rifiutando
soluzioni tecnologiche costose con brevetti aziendali che perpetuano solo
l’agricoltura industriale e le sue conseguenze devastanti. Si tratta
semplicemente di spostare il cursore sociale, mettendo al centro la salute di
ogni essere vivente e della Madre Terra (Pachamama come la chiamano i popoli
amerindi.
Sergio Ferrari
Giornalista RP/giornalista RP
Tel: (00 41) 078 859 02 44
sergioechanger@yahoo.fr
Traduzione curata
da Aldo Zanchetta e Andrea Vento
Commenti
Posta un commento