Aderiamo alla mobilitazione dei lavoratori e delle lavoratrici dello spettacolo

Buonasera a tutte e buonasera a tutti. Soltanto pochi minuti di attenzione, pochi minuti di umanità. Finalmente i teatri sono di nuovo aperti. Ma io resto a casa. Io che son fatto della stessa sostanza di cui son fatti i sogni mi son risvegliato in un incubo: i teatri riaprono ed io resto a casa. Io che recitavo, io che danzavo, io che lavoravo dietro le quinte, in graticcia, in consolle, io che sistemavo i costumi, io che disegnavo le scene, io che componevo le musiche, io che organizzavo, amministravo, dirigevo, io che staccavo i biglietti.. Ed anche accanto a voi un posto resterà vuoto. Osservate quel posto vuoto, poi guardate sul palco. Non c’è da sentirsi un po’ più soli? Chiudete gli occhi e poi riapriteli, sbattete le palpebre; qualcuno sarà dinanzi a voi stasera, su di un palco, ma a casa ci sono tante altre anime che avrebbero voluto essere qui per donarvi il loro lavoro. C’è da sentirsi tutti un po’ più soli. Soli forse già lo eravamo ed in parte lo saremo ancora. I teatri non riaprono per tutti, ma solo per alcuni. Io resto a casa, e non sono solo. Siamo in tanti, siamo molti di più di quelli che sul palco ci torneranno. Siamo una comunità: noi che abbiamo lavorato su di un palco e voi che siete stati su quelle poltrone. Abbiamo provato allora a dare un segnale forte, un segnale di rinnovamento. Ma il cambiamento potrà avvenire solo nella misura in cui saremo coscienti di essere tutti interconnessi, consapevoli che tutti gli ambiti lo sono, e che solo nella misura in cui lavoreremo per metterli in relazione riusciremo a lasciarci alle spalle questa lancinante sensazione di solitudine. E se non sarà in un teatro sarà proprio là fuori: la strada, le piazze, i giardini delle città ritorneranno spazi per il nostro ed il vostro teatro. E lì vi aspetteremo! Il vuoto non esiste; se non nelle nostre forme di pensiero autodistruttive e sabotanti. La pagina bianca non è –nulla-, non è assenza; è presenza irriducibile. È vuoto generatore, che è in noi e che è ovunque. Lo spazio vuoto del teatro è già teatro, ed entrando nel teatro vuoto lo si può sentire. Vuoto generatore del tutto. Il vuoto non è assenza. L’assenza è quella dello Stato, che si mostra muto, sordo e del tutto insensibile di fronte ai nostri appelli; finge di poter risolvere la complessità del lavoro dell’Arte, della Cultura e le vite di coloro che la fanno e la diffondono, con categorie, numeri, parametri, come se il lavoro immateriale di cui è fatto tutto ciò che vedrete stasera fosse misurabile e quantificabile. Eppure tutte le donne e gli uomini di Stato si sono nutriti di ben altro, di vita, di Cultura, di teatro, di piazze e di pensiero generatore di vita. Siamo il terzo paesaggio della Cultura, e siamo ovunque, perché siamo anche tutti quanti voi. Siamo la biodiversità culturale che vive in ogni luogo, e che tutto fa vivere. Possiamo combattere insieme, trasversalmente a tutta la società, per i nostri diritti, per il carattere immateriale del nostro lavoro, per un reddito universale ed incondizionato, per un reddito di esistenza. Ora invece siamo nel paradosso della guerra al corpo, ovvero la guerra a noi stessi, al tempo ed allo spazio fragile del corpo, alla sua imperfezione, alla sua realtà. Non riguarda solo noi, riguarda tutti. Riguarda tutti la nuova continua organizzazione del lavoro e le nuove continue modalità di sfruttamento, riguarda tutti il latifondismo delle piattaforme digitali e la messa a profitto del lavoro immateriale e dei diritti smaterializzati. Non possiamo toccarci adesso. Non possiamo passarci un oggetto. Non possiamo ballare insieme, interagire fisicamente. Non possiamo. Non posso. Ma posso chiedervi di essere con me. Qui e ora. Posso chiedervi di sentire, adesso, che siamo tutti coinvolti in questa separazione. Siamo tutti coinvolti in questo in-contro che sta avvenendo per alcuni e per altri no. Posso chiedervi di essere coinvolti? Non basta dire che i teatri sono aperti. Il testimone passa a voi. Non lasciate che il nostro appello resti senza risposta. Aiutateci a raccontare e diffondere la nostra storia comune. Con tutto l’amore che c’è. E come ERESIA: Le Rivoluzioni siamo noi?

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