Il tribunale nega il buono pasto al personale pubblico in smart : si perde il 10% del salario

 

Ancora una volta, nel silenzio assenso dei sindacati complici firmatari dei contratti, la contrattazione nella PA viene stravolta attraverso lo strumento legislativo.

Nel decreto 34  è stato rilanciato e prorogato il lavoro agile ripetendo che non ci sarebbe stata alcuna penalizzazione ma nei fatti di sta facendo l'esatto contrario e una recente sentenza del Tribunale di Venezia, la numero 1069/2020,  dà ragione al Comune che aveva negato il riconiscimento del buono pasto al personale in smart working sostenendo che non ci sia alcun bisogno di discuterne con le rsu e le Organizzazioni sindacali.
 
E come avevamo piu' volte sostenuto, ogni decisione arbitraria (a nostro avviso almeno) si poggia dsu interpretazioni del contratto nazionale enti locali, ad esempio gli articoli 45 e 46 del  CCNl 2000, anche se la legge sullo smart è successiva a questa data e dovrebbe indiurre l'Aran ad adeguare i contratti alle normative vigenti.
 
Ma ogni volta che c'è da tutelare la forza lavoro o interviene il legislatore per impedirlo o si interpretano contratti scritti in modo tale da consentire al datore  o Ente che sia una interpretazione dannosa per il personale.
 
In teoria il lavoratore in smart working non avrebbe un orario di lavoro predefinito, in  pratica gli Enti hanno imposto una rendicontazione giornaliera del lavoro svolto con tanto di orario confondendo lo smart con il telelavoro.
 
Il buono pasto viene poi considerato una sorta di benefit e non , come dovrebbe essere, un istituto contrattuale vero e proprio da contrattare in ogni Ente e la responsabilità di questa situazione è dell'Aran ma anche dei sindacati firmatari di contratto.
 
E evidente che si voglia risparmiare sulla forza lavoro del pubblico impiego come accaduto nei nove anni di blocco contrattuale e lo si fa scientemente negando quel buono pasto che rappresenta una parte importante della nostra retribuzione
 

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