La gratitudine a fini di mercato: il caso delle cooperative

Passa dalla gratitudine il rapporto tra cliente e banche o istituti finanziari che siano, è proprio quel concetto di gratitudine ad essere mal riposto in istituzioni che operano solo a fini di profitto.

Non c'è da scomodare la filosofia occidentale ma l'idea che l'individuo e i suoi sentimenti siano decisivi anche a fini accumulativi è sempre piu' forte. Ma cosa sarà mai l'economia della gratitudine di cui parla un recente testo di Montigny (banca Mediolanum) edito da Mondadori?

La gratitudine la ritroviamo ovunque, anche nel rapporto tra lavoratori e soci  con la cooperativa , la gratitudine è un sentimento nobile se non utilizzato a fini di mercato, per assoggettare la forza lavoro al dominio del datore.

La gabbia della gratitudine è stata infranta con le lotte degli anni sessanta e settanta ma successivamente la gabbia è stata ricostruita e ha stretto le sue maglie negli anni delle esternalizzazioni dei servizi, nei lustri che hanno visto chiudere tante fabbriche rafforzando il terziario legato ai servizi e agli appalti.

Anni nei quali per altro le condizioni di agibilità sindacale sono state ridotte al pari del potere di acquisto e di contrattazione anche attraverso un sistema di relazioni sindacali che privilegia i firmatari dei contratti.

Nel corso degli anni abbiamo ascoltato parole di riconoscenza di tante lavoratrici e lavoratori che attribiuiscono alle cooperative il merito di averle inseriti nel mondo del lavoro, il costo di questa riconoscenza è dato dai bassi salari, dai pochi contributi previdenziali, dagli orari spezzati, dal pagamento delle quote associative, nel caso dei soci, che assorbono parte delle esigue retribuzioni.

Quante volte abbiamo sentito lavoratrici e lavoratori ammettere che i bassi salari sono comunque preferibili alla disoccupazione  in tempi nei quali trovare una occupazione diventa come vincere al totocalcio. E possiamo  razionalmente dire il contrario?

Senza essere ingenerosi verso il sistema delle cooperative e il loro ruolo storico non possiamo che prendere atto di questa subalternità stratificata nel corso degli anni che ha portato tanti soci a pagare di tasca propria la crisi o errate operazioni di mercato, le passività accumulate per scelte industriali rivelatesi sbagliate. Alcune centrali cooperative con migliaia di dipendenti stanno uscendo dalla crisi facendo pagare ai soci la rinuncia a parti importanti del loro salario rinunciando per sempre a rivedere anche una minima parte del capitale versato per acquisire lo status di soci. Le cooperative sono allora parte integrante di un sistema di sfruttamento, per tirare avanti i lavoratori devono pagare un costo salato..

Sono migliaia i lavoratori e le lavoratrici delle cooperative , ne esistono di tanti tipi e non sono tutte uguali .
Ma nelle cooperative non esiste una reale democrazia decisionale, anzi sovente troviamo managers e dirigenti che la fanno da padroni (in tutti i sensi) e operano scientemente per abbassare il costo del lavoro contando su contratti nazionali sfavorevoli (per i lavoratori) che consentono di partecipare agli appalti al ribasso di tanti Enti pubblici.

Esistono contratti nazionali pensati appositamente per abbassare il costo del lavoro e per includere molteplici tipologie di prestazioni, costruiti con poche clausole sociali attenuatesi nel corso del tempo.

Nel corso del tempo si sono dimostrate giuste alcune parole d'ordine come quelle che rivendicavano uguaglianza salariale e contrattuale tra la forza lavoro negli appalti e nella committenza ma nessuno, inclusi i sindacati di base, si è attrezzato per raggiungere obiettivi reali di miglioramento salariale.

Lo stesso discorso vale per la rinegoziazione degli appalti tra committente e appaltatori che in teoria sarebbe stata possibile in virtu' del Decreto Cura Italia, solo rarissimi i casi nei quali soci e lavoratori abbiano fatto propria l'idea di imporre alle cooperative un tavolo con la committenza per riorganizzare la natura degli appalti in tempi pandemici.

La debolezza e la ricattabilità sono dominanti come il senso di gratitudine introiettato da tanti lavoratori e lavoratrici che antepongono gli interessi della cooperativa alla rivendicazione, per loro, di condizioni di vita e salariali dignitose.

E i sindacati hanno finito con l'arrendersi alla condizione di subalternità accontentandosi nel migliore dei casi dell'anticipo degli ammortizzatori sociali, rinunciando a priori ad aprire nuovi scenari all'insegna della conflittualità e di contrasto alla logica degli appalti al ribasso, alla loro rinegoziazione come avviene in queste settimane costringendo gli appaltatori ad accettare riduzioni di spesa che a loro volta scaricheranno sull'anello debole della catena lavorativa: i\le dipendenti degli appalti.

E gli stessi sindacati conflittuali spesso si sono limitati a giuste rivendicazioni senza mai entrare nel merito delle questioni , senza indagare e combattere quella filosofia della gratitudine che ha portato alla subalterna e acritica riconoscenza verso datori di lavoro che a loro volta sono parte di quella filiera del ribasso e dello sfruttamento.

Non ci sono ricette precostituite ma è innegabile che non potrà esserci una vera lotta agli appalti al ribasso senza il protagonismo di quei lavoratori oggi subalterni alle cooperative , di questo e di molto altro dobbiamo iniziare a parlare.


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