Ipocrisia e smart working

L'argomento non scalda i nostri cuori, anzi induce a riflettere su quanto sia ormai basso il livello di discussione.
Un presidente regionale di Confindustria appena eletto rilascia una dichiarazione a dir poco infelice (ma in fondo è quanto pensano molti padroni e numerosi lavoratori\trici), per Bigazzi (è il suo nome) i lavoratori pubblici in smart sono dei privilegiati e dovrebbero versare una sorta di contributo di solidarietà pari al 3\4% del loro salario e a favore delle famiglie in difficoltà.

Il pensiero di Bigazzi appartiene alla vecchia guardia padronale, quella moderna e avanzata sa bene che il lavoro agile, se gestito a fini capitalistici,puo' diventare utilissimo per risparmiare sul costo del lavoro e per il semplice fatto che stando a casa, lontano da colleghi\e, il singolo dipendente non avanzerà obiezioni di carattere sindacale subendo una organizzazione del lavoro su misura che alla occorrenza imporrà aumento dei carichi e delle mansioni senza un euro in cambio. Risulta del tutto incomprensibile come i sindacati complici siano diventati fautori dello smart working dopo averlo ignorato per anni e senza comprendere che i contratti da loro stessi firmati consentono ai datori di aggirare la parità di trattamento rispetto alla presenza, ad esempio non erogando i buoni pasto o peggio ancora senza riconoscere istituti contrattuali.

Continuiamo con il Bigazzi pensiero: Confindustria, il neo presidente Bigazzi chiede di imporre il contributo di solidarietà ai dipendenti pubblici in smart working
ci sono quattro milioni di dipendenti pubblici in smart working che nessuno controlla. Molti di loro, sostiene Ichino, è come se fossero in ferie che ora si vogliono prolungare fino al termine del 2020. Sono persone che se ne stanno tranquillamente a casa, non rischiano il posto di lavoro, hanno più tempo libero e risparmiano i soldi del trasporto casa-lavoro.

Il problema non è il numero dei dipendenti in smart è piuttosto la totale incapacità degli enti pubblici e dei suoi dirigenti di riorganizzare i servizi per consentire ai cittadini di avere risposte reali, se  proprio bisogna prendersela con qualcuno non dovrebbero essere i lavoratori e le lavoratrici ma quanti hanno in carico l'organizzazione degli uffici e dei servizi.

Bigazzi non è un gaffeur, dice cio' che pensa come il prof Ichino che ha rilasciato dichiarazioni del medesimo tenore e con meno scusanti visto che le tematiche del lavoro le studia da 40 anni.

Diversamente  i sindacati firmatari di contratto non raccontano tutta la verità e non hanno mosso un dito contro la decisione dell'Aran di demandare alla contrattazione aziendale istituti contrattuali che dovrebbero valere erga omnes. E' fin troppo facile difendere lo smart accettando le decurtazioni economiche o facendo credere di contrastarle quando fanno l'esatto contrario.

La vera sfida da lanciare riguarda ben altro, dal rifiuto dei patti di stabilità e dei tetti di spesa che per gli enti locali , in materia di personale e non solo, sono rimasti intatti, alla critica verso contratti nazionali che hanno sancito la perdita di potere di acquisto e di contrattazione. Questa arrendevole prassi sindacale nasconde la morbosa attenzione verso il rinnovo dei contratti e soprattutto il potenziamento del welfare aziendale (barattato con aumenti reali in busta paga), la imminente riforma , in pejus, dei profili professionali, le assunzioni con il contagocce e un piano di effettivo rilancio della Pa rinviato alle caldende greche.

Fin troppo facile prendersela con infelici esternazioni di un vecchio padrone (ha 80 anni) quando si è accondiscendenti con dirigenti, governo e con il capitalismo rampante, quello che ha già deciso di potenziare lo smart con decurtazioni economiche a norma di legge.

Ma alla sostanza ormai si privilegia l'apparenza e proprio per questo il risveglio sarà praticamente doloroso per i lavoratori e le lavoratrici, in smart e non.

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