Gli enti locali e la guerra
“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli
altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali;
consente in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di
sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra
le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni rivolte a tale scopo”
Questo è l’art 11 della Costituzione italiana, eppure nonostante il ripudio della guerra il nostro paese ha partecipato a innumerevoli conflitti sotto l’egida Onu, Nato o dietro ad alleanza temporanee tra paesi occidentali. E al contempo siamo un paese che ripudia la guerra ma ospita decine di basi militari Usa e Nato da cui partono rifornimenti e logistica militare nelle varie aree del Globo. E' quindi utile nascondersi dietro al dettato costituzionale ignorando l’effettivo apporto del nostro paese alle strategie di guerra?
Ha veramente senso il costante richiamo al dettato costituzionale se lo stesso poi si rivela del tutto inutile a fermare la partecipazione a conflitti bellici, non serve da argine alla spesa militare che nel Globo, in tre anni, è cresciuta del 20 per cento con la Ue a superare il 17 e i paesi Nato che rappresentano da soli oltre il 55 per cento della spesa militare globale?
Se è indubbio che i Comuni siano stati penalizzati
dalle manovre fiscali e finanziarie degli ultimi decenni, nonché dai tetti di
spesa imposti dalla Ue e recepiti nella nostra Costituzione, è altrettanto vero
che la militarizzazione non porterà beneficio alcuno, anzi è quasi certo che il
Riarmo determini nuove riduzione di spesa, tagli diffusi e anche a minori trasferimenti
di risorse.
Gli enti locali hanno molto da perdere ma ci chiediamo quale sia il vantaggio derivante dalla presentazione di ordini del giorno all'interno dei consigli comunali molti dei quali sostengono le opere di compensazione scambiando la militarizzazione con alcune opere civili.
Insomma un autentico compromesso, i consiglieri comunali votano a comando dai capigruppo e il più delle volte senza intervenire nelle commissioni e nelle sedute pubbliche. L'idea di vendere degli ordini del giorno contro la guerra come salto di qualità dei movimenti ci sembra assai paradossale primo perchè queste mozioni non vengono votate e secondo perchè lasciano il tempo che trovano o sono finalizzate a rendere credibili soggetti politici impresentabili.
Quando poi si parla di cospicui tagli ai Comuni fino a
metterne in pericolo le stesse funzioni sociali pensiamo che la economia di
guerra sia parte attiva di quel processo antidemocratico che rafforza la
finanza, i processi speculativi e le disparità economiche e allora non potrà
bastare una semplice dichiarazione di intenti senza mai mettere in discussione
gli interessi economici, ideologici e politici che sostengono i processi di
militarizzazione e l’economia di guerra e appunto alimentano le opere di compensazione.
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