ll nucleare civile è la strada maestra per fare accettare il nucleare militare.
ll nucleare civile è la strada maestra per fare accettare il nucleare militare.
di Laura Tussi
Il nucleare civile è la strada maestra per fare accettare il nucleare militare che distruggerà l’ umanità intera. Senza considerare i rischi specifici di incidenti nelle centrali
Tutto il movimento alternativo e per la giustizia climatica, inclusi i Fridays For Future, lì, tra gli “alemanni”, è antinucleare, contro l’atomo militare, ma anche contro l’atomo “civile”, in modo convinto e determinato, “identitario”, come è proprio fin dalla nascita dell’ecologismo “storico”; ed intende fare pesare il “problema”, mobilitando l’opinione pubblica,
Quanto proponevamo nel giugno 2021, in vista della Cop di Glasgow, a dieci anni dal voto del 2011, nella petizione per rispettare il referendum vinto dopo Fukushima, rimane oggi, quattro anni dopo, attuale e urgente, soprattutto per quanto riguarda quella che avevamo definito la direttrice due della nostra proposta, relativa agli impegni internazionali dell’Italia in senso antinucleare.
E’ arrivato, in particolare, il momento che il governo Meloni in sede europea, al limite ricorrendo al potere di veto, rigetti il tentativo dei Paesi, guidati dalla Francia, di fare accettare – nella tassonomia europea – il nucleare come energia indispensabile per la transizione energetica al modello rinnovabile, ritenuto universalmente sbocco finale necessario e inevitabile. Oggi però la stessa presidente della Commissione UE dopo il vertice del 23 ottobre ha proclamato il “bisogno del nucleare per fare fronte alla crisi energetica”. Bisognerebbe invece che il nostro esecutivo, interpretando coerentemente il mandato ricevuto dal voto popolare referendario.
Non ci sfugge, cosa però niente affatto evidente per gli stessi movimenti ecologisti, che il nucleare civile è base necessaria per un armamento atomico, come è evidente nel caso della “force de frappe” francese. Occorre impedire che parte dei finanziamenti europei per le energie rinnovabili finisca per sostenere una scelta strategico-militare, a conti fatti, al di fuori dei veri interessi europei di lungo termine e ancora di più degli obiettivi del Next Generation EU.
La COP26 di Glasgow non è affatto estranea a questa problematica perché anche per questa occasione, cruciale per la diplomazia internazionale – si tratta di una delle ultime possibilità di “agire per salvare il clima” – dobbiamo registrare un forte assalto della lobby nucleare per riprendersi spazi che l’accordo di Parigi del 2015 aveva non scontatamente chiuso.
Un elemento in questo senso significativo è ad esempio l’intervento a gamba tesa dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA, in inglese AIEA) che lancia una sua nuova pubblicazione appositamente destinata alla Conferenza ONU sul clima.
L’aspetto preoccupante dell’iniziativa è che essa è esplicitamente supportata da dichiarazioni ufficiali favorevoli di governi del calibro di USA, Cina, Russia, Francia, UK (guarda caso i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, tutti potenze atomiche militari), con il concorso di Giappone, Canada, Finlandia e Polonia.
Il rapporto “Nuclear Energy for a Net Zero World” è il tentativo dell’AIEA di sostenere gli investimenti e la politica che spaccerebbero il nucleare come contributo all’energia pulita globale.
Per la COP di Glasgow ci stiamo organizzando, come ecopacifisti, in direzione esattamente opposta: pensiamo sia necessario, se si ha a cuore una conversione energetica ed ecologica che si faccia sul serio la pace tra la società umana e la natura. Salveremmo oltretutto la specie umana dal pericolo di un collasso di civiltà se non addirittura dell’estinzione. Fare questa “pace verde” significa non solo sbarrare la porta al nucleare sia civile che militare, ma più chiaramente e radicalmente inserire in modo ufficiale il disarmo nel testo degli accordi di Parigi sul clima.
Le attività militari e belliche hanno un impatto ambientale e climatico – valutabile per alcuni studi intorno al 20 per cento delle emissioni globali – che non può essere ignorato e che esige il “taglio” parallelo delle spese militari e delle produzioni di armi, nonché la cessazione dei conflitti armati in corso e della preparazione di nuovi conflitti come presunta “deterrenza”.
A Glasgow, grazie alla presenza diretta di Ennio Cabiddu, abbiamo iniziato a prendere contatti che preparano la strada a una ICE (iniziativa dei cittadini europei) che impegni la Commissione UE a raccomandare agli Stati membri di aderire al TPAN – trattato di proibizione delle armi nucleari.
Per il Climate Camp di Roma in occasione del G20, pur esclusi dal programma ufficiale, siamo riusciti ad inserire i problemi della pace e della guerra all’interno della discussione sulle migrazioni. Non abbiamo invece discusso sulla situazione della rete di XR PACE: c’è necessità di rilanciarla anche per gettare un ponte tra lotte antimilitariste e nonviolente e lotte ecologiste e per l’uguaglianza sociale.
Si è protestato contro l’inquinamento delle industrie fossili in Sardegna, terra che subisce oltretutto l’impatto ecologico e sanitario devastante delle servitù militari.
Si pensino solo alle morti, civili e militari, per uranio impoverito (frutto anch’esso del ciclo nucleare), ma anche per altre forme di inquinamento, vicino ai poligoni di tiro in cui eserciti di tutto il mondo testano le armi utilizzate nei vari teatri di guerra della Terra.
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