Potere di acquisto dei salari e delle pensioni: facciamo il punto!!
Per anni a ogni contestazione sulla perdita del potere di acquisto è stato risposto: "abbiamo vissuto troppo a lungo al di sopra delle nostre possibilità, è quindi arrivato il momento di ripianare il debito e di fare sacrifici"
Ironia della sorta i diritti acquisiti, dal sistema contributivo per calcolare l'assegno previdenziale al welfare universale, dai 35 anni di contributi per avere il massimo della pensione alla scala mobile, si sono presto trasformati in lussi.
Non ci sono stati eccessi di una generazione, a parte forse le baby pensioni che poi restano una concessione clientelare di partiti a caccia di voti, se oggi abbiamo bassi salari, pensioni da fame, lavori precari e instabili qualche spiegazione dovremmo cercarla altrove senza colpevolizzare le generazioni precedenti.
E i bassi salari non sono certo conseguenza del livellamento contrattuale degli
anni Sessanta e Settanta.
E altro aspetto da considerare è il sistema fiscale, se volessimo sfidare la ingiustizia sociale andremmo a ripristinare le vecchie aliquote per quanto il Governo Meloni continui a ripetere che i suoi interventi in materia hanno ridotto le disuguaglianze, da quanto vediamo invece vogliono rendere difficile la riscossione dei crediti da lavoro nell’interesse delle sole imprese.
A noi questa
narrazione non hai mai convinto, generica, approssimativa e costruita su luoghi
comuni, non un dato sul numero degli occupati e su quello dei pensionati, non
una statistica aggiornata sul rapporto tra pensione percepita e gli ultimi
stipendi in età lavorativa, sugli anni versati e sull’effettivo peso dei
contributi.
Se oggi il
numero dei part time incolpevoli è di gran lunga superiore al passato la
responsabilità non è della forza lavoro ma del sistema che preferisce i
contratti di poche ore al tempo pieno e quella tipologia di contratti determina
nel tempo pensioni da fame. E poi è cambiato il sistema con cui calcolare
l’importo pensionistico, si è alzata l’età media della pensione, è sufficiente
guardare al rapporto annuale INPS per comprenderlo.
E le
pensioni anticipate di qualche anno or sono sono state una eccezione, se
vogliamo una sorta di mossa elettorale o di spinta aziendale al ricambio
generazionale, paradossalmente i nuovi posti di lavoro sono pagati meno, hanno
inquadramenti contrattuali, almeno per i primi anni, peggiori.
L’età per
uscire dal mondo del lavoro sta per arrivare a 68 anni, i contributi richiesti
per il pensionamento anticipato sono pur sempre 41, ai nostri genitori ne
bastavano 35 per uscire dal mondo del lavoro con un assegno decente.
Rapporto
Inps: disparità evidenti, sale l'età media dei pensionati
L’età
previdenziale si è alzata non perché andavamo in pensione troppo presto ma
perché a un certo punto della storia europea le risorse si sono spostate dai
redditi al capitale, dal welfare universale alla previdenza integrativa, sono
aumentati gli anni effettivamente lavorati. L’età media per il pensionamento di
vecchiaia si attesta oggi a poco più di 67 anni tra meno di 10 anni, con
l’aspettativa di vita, saremo a 68. E nella fascia di età che vai 58 ai 68 anni
infortuni e morti sul lavoro crescono in percentuale molto più che in altre
fasce.
Se avessimo
fatto pagare maggiori contributi alle aziende, che invece pagano sempre meno
tasse, oggi ci ritroveremmo in una condizione diversa o almeno senza eccessive disparità
negli importi pensionistici che si trasformano sovente in differenze di genere
con le donne che percepiscono assegni pensionistici inferiori del 34% rispetto
agli uomini pur essendo poco più della metà dei pensionati
E se
l’importo lordo mensile medio dei redditi da pensione è cresciuto del 4,4%
rispetto al 2023 la spiegazione è una sola: pochi occupati rispetto ai
pensionati, troppi contratti par time e un monte contributivo fin troppo
modesto.
Le
retribuzioni contrattuali tra il 2019 e il 2024 sono cresciute dell'8,3% a
fronte di un aumento dei prezzi nei cinque anni del 17,4% e hanno quindi perso
oltre nove punti percentuali di potere d'acquisto. Emerge dal Rapporto annuale
dell'Inps che sottolinea come grazie agli interventi sulla fiscalita' e i
contributi le retribuzioni nette abbiano perso meno punti sul potere
d'acquisto. Fatto 100 il valore medio del 2019, spiega l'Inps a proposito delle
retribuzioni, si arriva nel 2024 a 108,3.
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