Il nodo politico della guerra

 

La volontà del Governo è in subordine a quanto deciso a fine giugno nel summit Nato tenutosi in Olanda: nei prossimi 10 anni la spesa militare sarà più che raddoppiata fino al 5 % del Pil, già con la prossima Legge di Bilancio inizierà ad aumentare con almeno 6\7 miliardi di euro in più. Nel frattempo, l'economia di guerra muove i primi passi.



Mai come oggi i movimenti contro la guerra sono stati deboli e divisi, mai la risposta politica e sindacale è apparsa tanto frammentata e relegata a poche realtà

Resta innegabile che il tema sia soggetto a varie interpretazioni, da una parte a radicalizzare certe posizioni in campo sindacale e politico ma questa radicalizzazione coincide con la marginalità dei soggetti in lotta e prova ne sia la scarsissima adesione a scioperi che presto si riverserà negativamente sugli stessi organizzatori.

 Il problema non è organizzare scioperi ma farli riuscire, non saranno le fughe in avanti e le continue spaccature a restituire maggiore forza e credibilità ad una realtà o iniziativa sindacale e politica. Se davanti a una Finanziaria di guerra gran parte del mondo del lavoro è in silenzio e spettatore disinteressato non saremo davanti alla necessità di una riflessione seria evitando fughe in avanti, indizioni in solitaria giusto poi a sostenere di essere i soli conflittuali e combattivi? Lo diciamo con cognizione di causa dopo avere visto sparuti presidi partecipati in gran parte da non lavoratori

Al contempo assistiamo nel campo opposto a percorsi altrettanto asfittici anche se debitamente mascherati da iniziative larghe ed inclusive, percorsi contraddittori e gestiti in chiave elettorale. L'obiettivo resta quello di ottenere la partecipazione di soggetti quali Arci, Acli, Cgil Cisl Uil, questi tre sindacati sono per altro oggettivamente responsabili della spinta bellicistica in corso non avendo mai preso sul serio la necessità della riconversione industriale verso produzioni non belliche. 

E ci sembra che chiamare in ballo i Consigli comunali sia l'ennesimo tentativo di far passare delle mozioni come espressione di un diffuso e radicale rifiuto della guerra. Ma quale è il ruolo degli Enti locali? Molti di loro sono direttamente coinvolti nei progetti di guerra, tra giornate celebrative e merci di scambio tra processi di militarizzazione e opere di compensazione (recupero edifici abbandonati o rifacimento di strade in cambio del sostegno alla costruzione di nuove basi militari), massiccio in molti casi è il supporto tecnico alle infrastrutture militari.

Intanto il Governo potrebbe lavorare presto a un sostanziale divieto di sciopero, nei porti e negli aeroporti e in ferrovia, per motivi legati direttamente al trasporto della logistica militare facendo valere quel principio di segretezza che accompagna la sicurezza nazionale ed internazionale e ha reso impossibile tracciare gli spostamenti di armi lungo i nostri territori o avere contezza di quali materiali siano ospitati nelle basi Usa e Nato presenti in Italia.  E la segretezza ormai riguarda anche lo status dei lavori di nuovi impianti militari anche in questo caso procedure in deroga alle norme vigenti come il codice degli appalti, quindi semplificazione di norme per accelerarne la realizzazione

Vogliamo dirlo con estrema chiarezza: il pacifismo è divenuta una arma spuntata, chi da decenni si nasconde dietro la Costituzione e l’articolo 11 dovrebbe almeno prendere atto di avere condotto migliaia di persone in buona fede in un vicolo cieco. Ma ove non dovesse arrivare un intervento legislativo ci saranno la Commissione di garanzia e il decreto sicurezza, i provvedimenti disciplinari e i licenziamenti contro i singoli per avere violato la privacy aziendale, altre norme repressive d specificamente pensate per i movimenti contro la guerra nonostante quei movimenti abbiano spesso girato la testa dall’altra parte quando era il momento giusto per mobilitarsi.

La prossima Legge di Bilancio sarà una Finanziaria a supporto dell’economia di guerra, iniziare a ragionare su cosa fare nel prossimo autunno è più che mai necessario. E  parliamo non solo dell’Italia ma anche di altri paesi europei. E date simboliche come quelle del 4 Novembre potrebbero essere l’occasione propizia per contrapporsi all’economia di guerra, alla cultura giustificatrice dei processi di riarmo che poi andranno a circoscrivere anche gli spazi di libertà e di democrazia come si evince dal Pacchetto sicurezza e dalle minacce di intervento contro gli scioperi e i loro promotori.

Prima ancora di procedere con gli atti, con un testo di Legge ad opera del Governo, arrivano le solite narrazioni sul mondo  sempre «più brutale» a giustificare ingenti investimenti in difesa. Sono le parole di Macron in occasione dell’anniversario della presa della Bastiglia (14 Luglio 1789) , la classica vetrina per esaltare la potenza di fuoco francese e l’aumento della spesa militare di 6 miliardi di euro solo tra il 2026 e il 2027.

Ma lo stesso discorso vale per i silenzi istituzionali attorno agli attacchi feroci portati contro chi oggi invoca la rottura delle comunità internazionali con Israele e denuncia il genocidio palestinese.

L'Italia, pur dovendo fare i conti con i piani di risanamento del debito già concordati un anno fa con Bruxelles, a breve presenterà un testo con incremento delle spese militari.

Alcuni analisti ipotizzano nel frattempo che saranno sufficienti le deroghe ai tetti di spesa per gli investimenti militari, fatto sta che tre sono le ipotesi all'orizzonte ossia sospendere le regole in materia di bilancio, indebitarsi ulteriormente, tagliare le risorse al welfare per avere i fondi necessari al riarmo. 

Il governo italiano  questo anno spende poco più del 2 per cento ma già con la prossima Legge di Bilancio accrescerà gli stanziamenti non solo dei capitoli propri del Ministero della difesa  includendo progetti che paradossalmente sono a carico di altri Ministeri come parte delle missioni militari all’estero e la cybersecurity.

Sono innumerevoli, da sempre, le spese militari non direttamente afferenti al Bilancio della difesa ossia gli investimenti in armamenti, infrastrutture, cosiddette operazioni di peacekeeping, l’addestramento del  personale militare, il finanziamento di progetti di ricerca e sviluppo di nuovi sistemi di arma, quello che sappiamo è la necessità di trovare non meno di 7 miliardi di euro all’anno per il prossimo decennio portando la spesa dagli attuali 35 miliardi di euro a oltre 100. Ma alla fine le spese effettive in ambito militare saranno sempre maggiori di quelle ufficiali e dichiarate, l’esatto contrario di quanto avverrà invece con le risorse destinate a scuola, sanità e welfare che saranno le vittime sacrificali dei tagli indispensabili per abbattere i cosiddetti sprechi. Quello che fu un tempo la spending review presto sarà rappresentato dai tagli alle spese inutili e per giustificare la scure sulle spese sociali sarà indispensabile il supporto dei media, delle istituzioni alla propaganda di guerra. La Finanziaria è alle porte ed è ormai urgente, anzi inevitabile, iniziare a discutere del prossimo autunno, di cosa fare concretamente senza pensare che l'opposizione a un singolo progetto sia la soluzione di tutti i mali o al contempo utilizzare il no alla guerra per restituire credibilità a cartelli sindacali e alleanze innaturali responsabili di non avere mosso un dito in questi mesi davanti alla militarizzazione delle scuole e dell’università e ai progetti di guerra in generale

 

 

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