Il caso Taranto. Produrre acciaio a tutti i costi per alimentare l’industria delle armi. Necessario più che mai disincentivare le spese militari e investire sulla pace
Il caso Taranto. Produrre acciaio a tutti i costi per alimentare l’industria delle armi. Necessario più che mai disincentivare le spese militari e investire sulla pace
di Laura Tussi su FARO DI ROMA
Le politiche globali devono al contrario investire sulla pace cioè la riqualificazione ambientale e le bonifiche delle città e dei siti contaminati e inquinati come Taranto che subisce politiche scellerate e corrotte altamente inquinanti.
Le politiche globali con l’impatto negativo sull’ambiente non rispettano la tutela e la salvaguardia del patrimonio culturale e ambientale e la tutela della sicurezza sul lavoro e non rispettano, costituzionalmente parlando, la salute e la vita di operai, lavoratori e cittadini.
Il caso Taranto propone il diritto alla salute e alla vita soppiantato dalle logiche politiche bieche di profitto, dalla ricerca del massimo profitto dei padroni, dei poteri forti votati alla tirannia del capitalismo neoliberista e finanziario e votati al becero ricatto capitalista che vede contrapposti lavoro o salute e lavoro o vita.
Acciaio di guerra: il lato nascosto dell’ILVA di Taranto
Mentre il dibattito pubblico si concentra sulle vicende giudiziarie, sull’inquinamento ambientale e sulle ricadute occupazionali del siderurgico di Taranto, c’è un aspetto spesso taciuto che merita di essere riportato al centro dell’attenzione: a chi serve oggi la produzione di acciaio dell’ex ILVA? E soprattutto, quanto di quell’acciaio finisce nelle filiere della difesa e dell’industria bellica?
In un contesto globale segnato dal riarmo generalizzato, con guerre in corso e crescenti tensioni internazionali, la domanda diventa più che mai urgente. Lo stabilimento di Taranto — il più grande d’Europa per capacità produttiva — è considerato un impianto “strategico” dallo Stato italiano. Ma strategico per cosa, esattamente? Non solo per la produzione di materiali di base per l’edilizia e l’automotive, ma anche per la fornitura di acciaio speciale destinato all’industria militare.
Molti osservatori sottolineano che l’acciaio prodotto a Taranto viene utilizzato da aziende della difesa come Leonardo (ex Finmeccanica) e Fincantieri, che costruiscono navi militari, aerei da guerra, sistemi missilistici e blindati. In altre parole, una parte significativa del metallo che esce dagli altiforni tarantini potrebbe finire nei cantieri di armamenti destinati all’esportazione o all’impiego da parte delle forze armate italiane.
Si tratta di un fatto noto nei circoli industriali e governativi, ma raramente affrontato nel dibattito pubblico, come se parlare del legame tra ILVA e industria bellica fosse un tabù. Eppure, in un momento in cui l’Italia aumenta la propria spesa militare oltre il 2% del PIL, la continuità della produzione di acciaio — persino in perdita, con soldi pubblici — potrebbe trovare una delle sue giustificazioni proprio nella necessità di alimentare senza interruzioni la filiera della difesa.
In questo senso, il caso ILVA non riguarda solo Taranto, l’ambiente o i livelli occupazionali. È parte integrante di un modello economico che mette al centro la produzione e l’esportazione di armi. Un modello che richiede una base siderurgica nazionale affidabile e sotto controllo statale. La “strategicità” di Taranto non va letta soltanto in termini civili, ma anche e forse soprattutto in chiave militare.
Ecco perché il futuro dell’ex ILVA non può essere discusso senza considerare anche questo legame. I cittadini di Taranto, che da decenni pagano con la salute il prezzo della produzione siderurgica, hanno diritto a sapere se stanno sacrificando la loro vita per sostenere, indirettamente, la macchina bellica nazionale. E il Paese ha il dovere di interrogarsi su quale modello di sviluppo vuole perseguire: uno fondato sulla riconversione ecologica e civile della produzione, o uno in cui l’acciaio, anche a costo di morte e inquinamento, continua a servire la guerra.
I poteri forti, i partiti, le autorità ecclesiastiche hanno un atteggiamento omertoso e hanno nascosto la verità con l’omertà e il silenzio, occultando la verità di inquinamento e malattie e morte.
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