Produrre acciaio a tutti i costi per alimentare l’industria delle armi?

 

Il caso Taranto. Produrre acciaio a tutti i costi per alimentare l’industria delle armi. Necessario più che mai disincentivare le spese militari e investire sulla pace 

di Laura Tussi



Non si vuole riconvertire l’ILVA di Taranto perché produrre acciaio a tutti i costi serve ad alimentare l’industria delle armi. Così le acciaierie risultano doppiamente mortifere: uccidono con l’ inquinamento e contribuiscono ad uccidere nelle guerre che vengono combattute anche per alzare il fatturato delle industrie militari

È necessario più che mai disincentivare le spese militari e investire sulla pace.
I poteri forti attuano investimenti negli armamenti come gli F35, le bombe nucleari nato B 61-12, i droni e nelle grandi opere inutili come la TAV e le opere militari come il Muos.
La richiesta di acciaio ormai scarseggia sul mercato globale. Invece i poteri forti incentivano le grandi opere colossali e militari per incrementare la domanda di acciaio in un sistema e in un mercato che sono in realtà al tracollo e al collasso.

Le politiche globali devono al contrario investire sulla pace cioè la riqualificazione ambientale e le bonifiche delle città e dei siti contaminati e inquinati come Taranto che subisce politiche scellerate e corrotte altamente inquinanti.

Le politiche globali con l’impatto negativo sull’ambiente non rispettano la tutela e la salvaguardia del patrimonio culturale e ambientale e la tutela della sicurezza sul lavoro e non rispettano, costituzionalmente parlando, la salute e la vita di operai, lavoratori e cittadini.

Il caso Taranto propone il diritto alla salute e alla vita soppiantato dalle logiche politiche bieche di profitto, dalla ricerca del massimo profitto dei padroni, dei poteri forti votati alla tirannia del capitalismo neoliberista e finanziario e votati al becero ricatto capitalista che vede contrapposti lavoro o salute e lavoro o vita.

I sistemi forti dettano legge. A Taranto la società civile organizzata in cittadinanza attiva è contro il mostro dell’acciaio, la fabbrica della morte, il siderurgico infernale.
Molte associazioni pacifiste sono membro ICAN assieme a altre associazioni, operanti sul territorio nazionale e assieme a oltre 500 ONG, realtà associative, Onlus operanti in tutto il mondo per la messa al bando degli ordigni nucleari.

Acciaio di guerra: il lato nascosto dell’ILVA di Taranto

Mentre il dibattito pubblico si concentra sulle vicende giudiziarie, sull’inquinamento ambientale e sulle ricadute occupazionali del siderurgico di Taranto, c’è un aspetto spesso taciuto che merita di essere riportato al centro dell’attenzione: a chi serve oggi la produzione di acciaio dell’ex ILVA? E soprattutto, quanto di quell’acciaio finisce nelle filiere della difesa e dell’industria bellica?

In un contesto globale segnato dal riarmo generalizzato, con guerre in corso e crescenti tensioni internazionali, la domanda diventa più che mai urgente. Lo stabilimento di Taranto — il più grande d’Europa per capacità produttiva — è considerato un impianto “strategico” dallo Stato italiano. Ma strategico per cosa, esattamente? Non solo per la produzione di materiali di base per l’edilizia e l’automotive, ma anche per la fornitura di acciaio speciale destinato all’industria militare.

Molti osservatori sottolineano che l’acciaio prodotto a Taranto viene utilizzato da aziende della difesa come Leonardo (ex Finmeccanica) e Fincantieri, che costruiscono navi militari, aerei da guerra, sistemi missilistici e blindati. In altre parole, una parte significativa del metallo che esce dagli altiforni tarantini potrebbe finire nei cantieri di armamenti destinati all’esportazione o all’impiego da parte delle forze armate italiane.

Si tratta di un fatto noto nei circoli industriali e governativi, ma raramente affrontato nel dibattito pubblico, come se parlare del legame tra ILVA e industria bellica fosse un tabù. Eppure, in un momento in cui l’Italia aumenta la propria spesa militare oltre il 2% del PIL, la continuità della produzione di acciaio — persino in perdita, con soldi pubblici — potrebbe trovare una delle sue giustificazioni proprio nella necessità di alimentare senza interruzioni la filiera della difesa.

In questo senso, il caso ILVA non riguarda solo Taranto, l’ambiente o i livelli occupazionali. È parte integrante di un modello economico che mette al centro la produzione e l’esportazione di armi. Un modello che richiede una base siderurgica nazionale affidabile e sotto controllo statale. La “strategicità” di Taranto non va letta soltanto in termini civili, ma anche e forse soprattutto in chiave militare.

Ecco perché il futuro dell’ex ILVA non può essere discusso senza considerare anche questo legame. I cittadini di Taranto, che da decenni pagano con la salute il prezzo della produzione siderurgica, hanno diritto a sapere se stanno sacrificando la loro vita per sostenere, indirettamente, la macchina bellica nazionale. E il Paese ha il dovere di interrogarsi su quale modello di sviluppo vuole perseguire: uno fondato sulla riconversione ecologica e civile della produzione, o uno in cui l’acciaio, anche a costo di morte e inquinamento, continua a servire la guerra.

Per quanto riguarda l’ambito della siderurgia, a Taranto vi è un alto tasso epidemiologico di incidenza tumorale per vari agenti inquinanti emessi dall’impianto siderurgico più grande d’Europa. Nel quartiere tamburi molte persone sono affette da malattie cancerogene, tre persone su 18.
Le realtà ambientaliste di Taranto hanno sollevato un terremoto politico e giudiziario, una contrapposizione netta tra politica partitica e magistratura.
Il 26 luglio 2012 il Gip – Giudice per le Indagini Preliminari Patrizia Todisco emette la sentenza “con la salute e la vita non si può mercanteggiare”.
I deputati alla camera e al Senato hanno votato decreti legge salva Ilva e ammazza Taranto.

I poteri forti, i partiti, le autorità ecclesiastiche hanno un atteggiamento omertoso e hanno nascosto la verità con l’omertà e il silenzio, occultando la verità di inquinamento e malattie e morte.

Da indagini su Taranto emerge una equazione tra le lobby dell’acciaio e i poteri forti per tenere nascosti i dati sull’inquinamento: è una verità amara e tragica, ma è la verità.
In realtà il riarmo nucleare e l’inquinamento atmosferico sono dettati e imposti da un sistema malato: da poteri forti distinti e separati, ma comunque poteri forti.

Commenti

Post più popolari