ILVA. L’unica strada è una vera riconversione. Intervista a Massimo Ruggieri, Presidente di Giustizia per Taranto.
ILVA. L’unica strada è una vera riconversione. Intervista a Massimo Ruggieri, Presidente di Giustizia per Taranto.
Intervista di Laura Tussi
Il Governo
Meloni procede senza parere favorevole degli enti locali per non fermare i
forni, continuando una produzione che uccide. Mentre l’unica strada è una vera
riconversione. Intervista a Massimo Ruggieri, leader di Giustizia per
Taranto
Sorge una città nel sud dell’Italia che è stata la culla della Magna
Grecia abbracciata da due mari: chi la visita ne rimane folgorato per la
bellezza e la storia millenaria, visto che è stata fondata nel 706 avanti
Cristo. Eppure…
Eppure da due decenni è banalmente la città dell’Ilva!
È solo una delle offese che vengono inopinatamente fatte a
Taranto: non è più la sede di uno dei musei archeologici più importanti
d’Italia e d’Europa (sono decine di migliaia i visitatori del MArTa, ogni
anno), non quella del Castello aragonese (fortezza medievale tra le più
ammirate), ma il territorio che ospita il siderurgico più grande e più
inquinante d’Europa.
Quella fabbrica, sebbene stia lentamente collassando per conto
suo, è ancora in grado di distribuire diossine e morti, benzene e malattie,
polveri sottili e dolore.
Una città stremata ha raccolto tutte le sue energie residue per gridare a chi
doveva apporre una firma alla continuazione della produzione con modalità
obsolete e altamente insalubri, ‘Chiudete quel mostro!’, ‘Bloccate il
catorcio!’
In piazza erano davvero in tantissimi a portare la propria
indignazione e la voglia di un futuro fatto di aria pulita e mare
incontaminato: l’iniziativa è stata organizzata da Giustizia per Taranto, forse
l’associazione ambientalista con più soci (in tutt’Italia!) dell’intera
provincia.
Abbiamo raggiunto telefonicamente Massimo Ruggieri che di Giustizia per Taranto
è il presidente.
1) Presidente Ruggieri, a Taranto state vivendo
giorni particolarmente delicati per la questione legata all’ex-Ilva. Ne vuole
parlare?
Sì, è in dirittura di arrivo il procedimento
per autorizzare l’ex-Ilva per dodici anni con il ripristino di tre altiforni a
carbone. Sostanzialmente si sta riportando la fabbrica al periodo dei Riva con
tutte le conseguenze che quella nefasta gestione comportò. Un’evidente
forzatura del Governo per favorire la produzione ad ogni costo. Si intende,
poi, edulcorare questa nuova Autorizzazione Integrata Ambientale con un accordo
di programma interistituzionale che prevede un percorso di ‘decarbonizzazione’
estremamente vago, la cui valenza sarebbe tutta da verificare e i cui costi
(non meno di due miliardi di euro) sono scaricati su chi acquisirà la fabbrica.
A tale proposito vale la pena ricordare che la gara pubblica aperta dal Mimit
solo qualche mese fa, non ha trovato alcun compratore disponibile a investire
più di 500 milioni di euro su una fabbrica che è ormai ridotta ai minimi
termini.
2) Fuori dalla Puglia, passa il messaggio che
volete chiudere la fabbrica sebbene siano stati fatti degli interventi per
ammodernarla. Come considera questa narrazione?
E’ una narrazione figlia della propaganda del Governo. Si vuol far credere che i problemi di Taranto siano stati superati mentre drammi, sperperi e contraddizioni sono ancora sul tavolo. La cosa è certificata a partire dalla sentenza della Corte di Giustizia Europea che presto stabilirà sanzioni per l’Italia, rea di non tutelare i cittadini di Taranto dall’inquinamento. Inoltre a ottobre si aprirà un nuovo processo ai danni di Acciaierie d’Italia (attuale gestore della fabbrica) in quanto continua a inquinare. Tuttavia, occorre sgomberare il campo dall’assunto nel quale si racchiude spesso la narrazione sull’ex-Ilva e cioè che si è vittime del dualismo fra salute e lavoro. Non è così ormai da anni, poiché alla mancata tutela della salute e dell’ambiente nel territorio, si affianca anche una gravissima crisi economica e occupazionale. L’Italia spende centinaia di milioni di euro all’anno per la cassa integrazione di migliaia di lavoratori di Acciaierie d’Italia e a questo si aggiungono le enormi perdite economiche che quella fabbrica comporta ogni giorno, dal momento che produce sotto i livelli che le procurerebbero profitti. Motivo per il quale si ha urgente bisogno di spingere la produzione a livelli insostenibili per la nostra comunità, ma in grado di tornare a generare profitto (sempre ammettendo che ci siano spazi nell’attuale mercato dell’acciaio, cosa mai considerata dalla politica). In più è noto da tempo che, qualunque gestore acquisirà gli impianti, dovrà dar luogo a importanti esuberi e, se davvero si intenderà sostituire gli attuali altiforni con forni elettrici, si arriverà a quasi due terzi di possibili licenziamenti.
3) Vuole parlare dei sindacati che a Genova hanno avuto un ruolo decisivo nella chiusura della pericolosa ‘area a caldo' del capoluogo ligure?
Purtroppo, il ruolo dei sindacati in questa
vicenda è di assoluta retroguardia. La violenza con cui il Governo ricatta i
tarantini agitando lo spettro dei licenziamenti in caso di chiusura, anche solo
parziale, della fabbrica, funziona per prima proprio su di loro. Ciò li porta
da anni a salvaguardare la produzione e quasi a temere prospettive di riduzione
o di decarbonizzazione della fabbrica, in considerazione dei posti di lavoro in
meno che comporterebbero. Oltre a qualche sporadico appello alla sicurezza sul
lavoro e all’ambiente, a volte pare di poter sovrapporre le loro posizioni a
quelle di Confindustria. D’altra parte, a Taranto non dimentichiamo che, per qualche
anno fecero scendere in strada i lavoratori della fabbrica accanto all’azienda
per protestare contro la magistratura che aveva appena fermato gli impianti
dell’area a caldo poiché insicuri per i lavoratori e inquinanti. A Genova una
ventina di anni fa le lotte si fecero, al contrario, per pretendere la chiusura
degli impianti più inquinanti e si fu capaci di ottenere questo successo con la
forza rivendicativa di un’unione di intenti con il quartiere e la città. Quegli
impianti furono trasferiti a Taranto raddoppiando la capacità inquinante
dell’Ilva nella nostra città, ma qui, evidentemente, i loro effetti non sono
stati giudicati dai sindacati ugualmente dannosi.
4) E che ruolo ha avuto la politica nazionale rispetto alla tutela della salute e della vita dei tarantini?
Nessuno, poiché non ha affatto tutelato i
tarantini. La politica nazionale si è sempre apertamente e poderosamente
schierata dalla parte della produzione e della finanza che ne ha garantito la
prosecuzione. La prova più evidente è l’iper legiferazione che ha riguardato
l’ex-Ilva, per la quale siamo arrivati a contare oltre venti provvedimenti ad
hoc per innalzare limiti agli inquinanti, assicurare fondi, aggirare i
provvedimenti della magistratura e rendere legali le straordinarie ingiustizie
generate dalla fabbrica.
5) Da milanesi sappiamo bene che l’attenzione
dei tarantini è rivolta al tribunale della nostra città che potrebbe mettere la
parola ‘fine’ ai tormenti e al dolore di un’intera comunità. Può spiegare bene
su cosa deve decidere?
Il Tribunale di Milano è stato interpellato
attraverso un’inibitoria rivolta contro Acciaierie d’Italia da un’associazione
chiamata Genitori Tarantini ed altri cittadini che, difesi dagli avvocati Rizzo
Striano e Amenduini, hanno chiesto se fosse normale che la fabbrica produca in
assenza autorizzativa e procurando danni sanitari ai tarantini. La richiesta
esplicita è stata di sospendere gli impianti dell’area a caldo, ovvero quella
più inquinante. Questo è il motivo per cui il Ministro Urso ha avuto particolare
fretta per far approvare la nuova Autorizzazione Integrata Ambientale per
l’ex-Ilva. Tuttavia, resta ancora da verificare se la fabbrica non produca
danni a salute e ambiente. In caso di pericoli gravi e rilevanti per
l’integrità dell’ambiente e della salute umana - hanno puntualizzato i giudici
della Corte di Giustizia Europea che hanno fornito parere al Tribunale di
Milano -, l’esercizio dell’installazione deve essere sospeso.
6) Lottate da anni contro poteri fortissimi ché
demoliscono tutte le conquiste fatte per le strade e nelle aule di giustizia
(anche europee).
Se le cose andassero per il verso della giustizia sociale e ambientale, Taranto diventerebbe un esempio virtuoso a cui guardare da ogni parte d’Italia e non solo.
E’ esattamente così e ne siamo convinti e
consapevoli. L’esempio a cui spesso guardiamo per ragioni di sovrapponibilità,
è quello della Ruhr, in Germania. Lì, a fronte di una crisi economica,
ambientale e sanitaria, si dette luogo negli anni ’90 al più straordinario
esempio di riqualificazione di un territorio, avendo il coraggio e la
lungimiranza di chiudere con l’era dell’acciaio e superandola con un programma
partecipativo che, in soli dieci anni, ne ha cambiato e migliorato le
prospettive economiche e occupazionali coniugandole con ambiente e salute. Oggi
il suo bacino minerario è patrimonio Unesco, ci sono tre volte più occupati
rispetto a quando c’era la fabbrica e i suoi luoghi hanno lasciato spazio a
musei di archeologia industriale, attività ricreative e culturali di ogni tipo,
attirando milioni di visitatori l’anno. La cosa più incredibile è che, per
decisione di quanti parteciparono al percorso di riconversione, lì si intese
puntare sul paesaggio. Un paesaggio che, tuttavia, andava creato artificialmente,
mentre Taranto ha dalla sua una ricchezza naturale che necessiterebbe di molto
meno.
7) Giovedì 17 luglio il governo si è approvato
da solo l’Aia senza parere favorevole degli enti locali.
Si sono accollati una responsabilità enorme
viste le condizioni cadenti in cui versa il siderurgico tarantino.
Il Governo Meloni, come anche i suoi
predecessori, ha mostrato molta poca responsabilità. Non tanto e non solo
perché ha deciso scavalcando il territorio e i suoi rappresentanti, ma perché
usa tale prepotenza per continuare a vessare la nostra popolazione. Ovunque nel
mondo si sta abbandonando il carbone come fonte energetica, qui siamo in grado
di rilanciarlo! Per di più continuando a derogare a prescrizioni mai rispettate
che la fabbrica si porta dietro da anni. Non solo mantenendo i lavoratori in
condizioni di precarietà economica, ma anche di incolumità fisica. Oltre,
naturalmente, a eludere gli interventi delle magistrature europee e nazionali.
8) Come associazione ambientalista, cosa pensa
di fare ora Giustizia per Taranto alla luce della totale chiusura?
Riteniamo che quest’AIA vada smontata in tutto
il suo assetto, evidenziandone lacune e superficialità, fino ad impugnarla
davanti al Tribunale Amministrativo. Sperando che al fianco della città, che
anche in queste ore sta manifestando in piazza tutto il suo disappunto per gli
ultimi provvedimenti, possano esserci gli stessi enti locali che hanno opposto
il loro diniego motivato a quest’AIA irresponsabile. Insomma, continueremo in
ogni sede, istituzionale, strade e tribunali, a cercare di far valere dignità e
giustizia per la nostra città.
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